Da Corriere della Sera del 07/12/2004
«Solo il boss può fermare i ribelli»
Napoli, i «soldati» del latitante Di Lauro: deve tornare. Ucciso dai killer incensurato di 26 anni
di Giovanni Bianconi
ROMA - Dopo averli annunciati sabato scorso, il ministro dell’Interno Pisanu è ora il primo ad aspettare i «nuovi, più importanti risultati» promessi nel contrasto alla camorra. I 23 omicidi commessi a Napoli nell’ultimo mese sono un segnale d’allarme anche per il Viminale, polizia e carabinieri stanno cercando di stringere i tempi del loro lavoro e a breve potrebbero essere in grado di dare una prima risposta all’ondata di «gangsterismo» che ha investito la città. Emergenza criminalità, viene chiamata, ed è una definizione utile a descrivere la situazione in cui si trova la stessa camorra che spara e uccide più del solito: agguati sopra la media per via della crisi in cui versano le organizzazioni criminali coinvolte nei traffici illegali. Un’emergenza, appunto. Le analisi degli investigatori giunte nelle ultime settimane sul tavolo del ministro dicono proprio questo, e dalle informazioni raccolte dai discorsi dei camorristi emerge perfino l’auspicio del «ritorno» dei latitanti sul territorio, per rimettere le cose a posto. A cominciare dal boss di Secondigliano Paolo Di Lauro, 51 anni, l’ormai noto Ciruzzo ’o milionario sparito due anni fa in seguito a un ordine d’arresto per traffico di droga, dal 2003 inserito nella lista dei ricercati in campo internazionale a fini estradizionali. A gestire gli affari sulla piazza napoletana è rimasto il figlio Cosimo, ’o chiatto , che domani compirà 31 anni, ma gli stessi affiliati dicono che non riesce a reggere l’urto della spaccatura verificatasi all’interno del clan. Gli omicidi dell’ultimo mese ne sono il segno più evidente, e allora ecco la sintesi dei discorsi carpiti dalle microspie e riferiti dagli informatori: «Gli adepti richiedevano espressamente la presenza sul campo del capo clan, non essendo il figlio in grado di gestire la situazione».
Naturalmente Ciruzzo ha un doppio problema nel tornare a Secondigliano: le forze dell’ordine che vogliono arrestarlo e gli «scissionisti» che, a questo punto, lo leverebbero volentieri di mezzo per vincere definitivamente la guerra. In carcere Paolo Di Lauro ha già un figlio, Vincenzo, di 29 anni; un altro, Domenico, è morto in un incidente stradale e le stesse fonti degli investigatori dicono che quella perdita ha «fortemente provato» il boss. In attività è rimasto Cosimo, «impegnato a frenare le mire» degli alleati di un tempo, come dicono gli analisti del Viminale. E di questa fazione che rivendica la propria autonomia rispetto a Di Lauro soprattutto nella conduzione del traffico di droga, esiste già un organigramma.
Nelle carte degli investigatori ci sono nomi, cognomi e soprannomi dei «ribelli» che vogliono mettersi in proprio e prendere una fetta più grossa del commercio di eroina, cocaina, marijuana, hashish e altre sostanze stupefacenti. Tutta gente fra i 30 e in 40 anni che ha maturato esperienze da «soldato» e ora vuole fare il salto nella catena di comando. Uno è chiamato ’a femmenella , un altro ’o Mekey ; erano i referenti del clan Di Lauro per vendere «la roba» nei rioni denominati Terzo Mondo, Case Celesti o con altri appellativi. Insieme avrebbero orchestrato ed eseguito il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salerno, uccisi a pistolettate il 28 ottobre, a Secondigliano, dove abitavano e lavoravano. Montanino, trent’anni appena compiuti, secondo le informazioni di polizia e carabinieri era «responsabile della vendita di cocaina nella zona di via Labriola, comparto H». Ma prima che venissero raccolti elementi sufficienti a metterlo in carcere sono arrivati i vecchi amici a toglierlo dalla circolazione. Provocando le vendette incrociate dell’ultimo mese.
La difficoltà per gli investigatori sta nel trasformare in prove che possano reggere davanti ai giudici le informazioni o le intuizioni raccolte su quello che sta avvenendo a Secondigliano. All’interno del vecchio clan Di Lauro, ma non solo. Perché prima che il gruppo di Ciruzzo ’o milionario si dividesse dando vita alla guerra interna - secondo uno stile inaugurato dallo stesso Paolo Di Lauro, che nel 1982 partecipò, secondo alcuni pentiti, all’omicidio del suo capo Aniello La Monica, un boss per il quale i commercianti del quartiere tennero le saracinesche abbassate il giorno del funerale - era stata già ingaggiata una guerra tra gli uomini di Ciruzzo e il clan dei Licciardi, componenti della vecchia «Alleanza di Secondigliano». I Licciardi miravano alla «conquista militare delle cosiddette «piazze di spaccio» occupate dai Di Lauro, imponendo un nuovo sistema: far pagare ai venditori di droga una sorta di «affitto» nella zona di competenza, senza curarsi delle forniture. E altri contrasti sono sorti per l’utilizzo del canale di riciclaggio: la vendita di trapani elettrici e apparecchi fotografici importati dalla Cina con marchi contraffatti.
Naturalmente Ciruzzo ha un doppio problema nel tornare a Secondigliano: le forze dell’ordine che vogliono arrestarlo e gli «scissionisti» che, a questo punto, lo leverebbero volentieri di mezzo per vincere definitivamente la guerra. In carcere Paolo Di Lauro ha già un figlio, Vincenzo, di 29 anni; un altro, Domenico, è morto in un incidente stradale e le stesse fonti degli investigatori dicono che quella perdita ha «fortemente provato» il boss. In attività è rimasto Cosimo, «impegnato a frenare le mire» degli alleati di un tempo, come dicono gli analisti del Viminale. E di questa fazione che rivendica la propria autonomia rispetto a Di Lauro soprattutto nella conduzione del traffico di droga, esiste già un organigramma.
Nelle carte degli investigatori ci sono nomi, cognomi e soprannomi dei «ribelli» che vogliono mettersi in proprio e prendere una fetta più grossa del commercio di eroina, cocaina, marijuana, hashish e altre sostanze stupefacenti. Tutta gente fra i 30 e in 40 anni che ha maturato esperienze da «soldato» e ora vuole fare il salto nella catena di comando. Uno è chiamato ’a femmenella , un altro ’o Mekey ; erano i referenti del clan Di Lauro per vendere «la roba» nei rioni denominati Terzo Mondo, Case Celesti o con altri appellativi. Insieme avrebbero orchestrato ed eseguito il duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salerno, uccisi a pistolettate il 28 ottobre, a Secondigliano, dove abitavano e lavoravano. Montanino, trent’anni appena compiuti, secondo le informazioni di polizia e carabinieri era «responsabile della vendita di cocaina nella zona di via Labriola, comparto H». Ma prima che venissero raccolti elementi sufficienti a metterlo in carcere sono arrivati i vecchi amici a toglierlo dalla circolazione. Provocando le vendette incrociate dell’ultimo mese.
La difficoltà per gli investigatori sta nel trasformare in prove che possano reggere davanti ai giudici le informazioni o le intuizioni raccolte su quello che sta avvenendo a Secondigliano. All’interno del vecchio clan Di Lauro, ma non solo. Perché prima che il gruppo di Ciruzzo ’o milionario si dividesse dando vita alla guerra interna - secondo uno stile inaugurato dallo stesso Paolo Di Lauro, che nel 1982 partecipò, secondo alcuni pentiti, all’omicidio del suo capo Aniello La Monica, un boss per il quale i commercianti del quartiere tennero le saracinesche abbassate il giorno del funerale - era stata già ingaggiata una guerra tra gli uomini di Ciruzzo e il clan dei Licciardi, componenti della vecchia «Alleanza di Secondigliano». I Licciardi miravano alla «conquista militare delle cosiddette «piazze di spaccio» occupate dai Di Lauro, imponendo un nuovo sistema: far pagare ai venditori di droga una sorta di «affitto» nella zona di competenza, senza curarsi delle forniture. E altri contrasti sono sorti per l’utilizzo del canale di riciclaggio: la vendita di trapani elettrici e apparecchi fotografici importati dalla Cina con marchi contraffatti.
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