Da La Stampa del 19/11/2004

Centrodestra alle prese col dilemma: dove trovare i sei miliardi per fare la riforma fiscale

Riduzione delle tasse, riparte il balletto delle cifre

Lega e Marzano: sfondiamo il muro del 3%. Siniscalco: me ne andrei

di Roberto Giovannini

ROMA - Nominato Gianfranco Fini alla Farnesina, la partita delle tasse è più che mai aperta. Alleanza Nazionale, Lega e Udc sembrano aver accettato, sul piano politico, la richiesta di Berlusconi di ripristinare la riforma dell’Irpef dal 2005. Ma a questo punto, la questione ritorna esattamente al punto in cui era prima del vertice di maggioranza che decise di ripiegare su un più modesto (3 miliardi) intervento su Irap e detrazioni familiari. Ovvero, non si sa né come reperire i 6 miliardi necessari, né c’è intesa sul come ripartire queste risorse su aliquote e scaglioni. E di fronte alle oggettive difficoltà per trovare la copertura finanziaria, in queste ore si rafforza la spinta - non si sa quanto condivisa da Berlusconi e dal suo entourage - per fare la riforma fiscale anche a costo di violare il tetto di deficit del 3 per cento.

I problemi sono esattamente quelli di qualche settimana fa. In cifra assoluta, 6,5 miliardi (cinque per l’Irpef, 1,5 per l’Irap) non sono una somma introvabile nel bilancio dello Stato. Ma già si era visto quanto problematico fosse reperirne i soli tre necessari per la miniriforma dell’Irap, peraltro considerata poco più che un’elemosina da Confindustria. Rimettere le mani nella Finanziaria da 24 miliardi è politicamente complicato, e tra l’altro tra ottobre e novembre la solidità della manovra 2005 è già stata intaccata dagli emendamenti. Le opzioni sul tavolo sono sempre più o meno le solite, quelle che rischiano di scontentare questa o quella parte dell’elettorato. Il partito di Fini recalcitra ma già si sa che rispetto ad alcune delle proposte di copertura individuate da Forza Italia, come il taglio delle risorse per i contratti dei pubblici dipendenti, qualche concessione si dovrà pur fare.

Forza Italia un suo menù di proposte per trovare i sei miliardi l’ha già messo a punto: blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, riduzione da quattro a due delle finestre per il pensionamento di anzianità, stop al +3,7% in due anni per gli aumenti salariali dei «pubblici», taglio a un miliardo degli sgravi Irap. Misure che avrebbero però l’effetto di scontentare importanti fette di elettorato. E non tutti gli addetti ai lavori concordano sulla praticabilità del dimezzamento delle finestre per le pensioni di anzianità, tenendo conto del fatto che la riforma appena varata stabiliva l’intangibilità dei diritti acquisiti dai pensionandi.

Alleanza Nazionale e Udc hanno rilanciato in queste ore un vecchio progetto: rivedere il trattamento fiscale delle rendite finanziarie, dai titoli pubblici ai certificati di deposito ai conti correnti bancari. Se si aumentasse l’aliquota dal 12,5% al 20% nelle casse dello Stato potrebbero entrare almeno 2-3 miliardi. Sull’altro piatto della bilancia bisognerebbe porre la reazione negativa di Bankitalia e soprattutto dei risparmiatori e dei «Bot People». Altre coperture «creative» o basate su entrate straordinarie per finanziare riduzioni di gettito strutturali - come il ricorso ai proventi di un condono edilizio che potrebbero non arrivare - incorrerebbero certamente negli strali di Bruxelles e dei mercati finanziari. Un’altra ipotesi l’avanza per An il «tecnico» Maurizio Leo: varare la riforma fiscale dal 2005 ma congelando i risparmi per i contribuenti e rinviandone gli effetti concreti al 2006. In pratica, solo dal gennaio 2006 per i dipendenti e dal luglio 2006 per chi compila «Unico» si avrebbero in tasca gli sgravi. Scontato il rischio che i cittadini/elettori considerino il rimedio peggiore del buco.

E così, ieri due ministri - Roberto Calderoli, della Lega, e Antonio Marzano, di Forza Italia - hanno espresso con chiarezza l’intenzione di varare comunque il taglio delle tasse anche a costo di finanziarlo in deficit. Anche a costo di violare quello che fino ad ora è sempre stato considerato un tabù insormontabile: far saltare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil sancito dal Trattato di Maastricht e dal «patto di stabilità e di crescita».

«La soluzione per il taglio delle tasse - dice Calderoli - è sfondare il muro del tre per cento previsto da Maastricht. Un patto che oggi è una iattura e che impedisce di aiutare i cittadini». Più indirette, ma nella stessa direzione, il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano, secondo cui il tetto del 3% al deficit-pil «non ha nessuna ragione economica accettabile». Ipotesi che fa orrore al ministro dell’Economia Siniscalco, che avrebbe dichiarato che in questo caso «dovrebbero trovarsi un altro ministro».

Contrario è anche il viceministro dell’Economia Mario Baldassarri (An), che ricorda che «l'abbassamento delle tasse non si fa “a buffo”. Non è credibile, non è sostenibile». I mercati finanziari sparerebbero a zero sull’Italia, declassando all’istante i «rating», e l’aumento di un punto dei tassi d’interesse sul debito pubblico farebbe saltare i conti pubblici. La proposta di Baldassarri è quella di rimettere con calma le mani nei tagli già applicati (il «Gordon Brown»): lavorando voce per voce, abbassando qui e là il 2% di aumento nominale, i 6 miliardi salterebbero fuori. C’è tempo fino al 9 dicembre, termine per la presentazione al Senato degli emendamenti alla Finanziaria.

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