Da La Repubblica del 21/10/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/cronaca/sbarchi/boccacom/bocca...

Impotenti di fronte a una piaga biblica

di Giorgio Bocca

I DRAMMI dell'immigrazione di massa, i suoi problemi imprevedibili e incontenibili fanno pensare alle calamità naturali, alla loro indifferenza per le vittime umane. Oggi ci ritroviamo a piangere i bambini morti nel mare di Lampedusa come ai tempi della grande migrazione verso le Americhe si piangevano i bambini morti di malattie o di privazioni nelle stive delle navi e si resta increduli delle sofferenze dei vivi, come lo si era dei nostri contadini che nella pampa argentina dormivano nelle buche e bevevano l'acqua infetta del Rio de la Plata.

L'immigrazione di massa è come una delle piaghe bibliche e non c'è nessun Giuseppe che possa consigliare al faraone un rimedio sicuro. Dico simile alle grandi calamità naturali perché dovuta a un concorso di cause che nessun governo al mondo è in grado di prevenire e di impedire.

Quali siano oggi queste cause possiamo individuarle, ma non eliminarle o contenerle. Al primo posto la rivoluzione tecnologica: oggi i poveri del mondo non sono isolati completamente da quello dei ricchi. La televisione non solo gli mostra i consumi e le comodità dei paesi avanzati ma, essendo una televisione commerciale dominata dalla pubblicità, li magnifica, li universalizza, svolge un po' la funzione del cinematografo americano che ci faceva credere negli anni Venti in un paese di telefoni bianchi e di Cadillac alla portata di tutti. E come da noi c'era il mito dello zio d'America così oggi fra i poveri della terra c'è il mito di quelli che ce l'hanno fatta a raggiungere l'Eldorado, e che lo descrivono, purgato dai dolori e dalle delusioni, ai loro parenti.

Ma nella rivoluzione tecnologica non c'è solo la comunicazione, la trasmissione dei confronti e dei sogni per cui l'emigrazione non è semplicemente meno fatiche e meno fame, ma una scelta di vita per cui vale la pena di rischiarla. Una scelta, badiamo, che fanno i migliori, i più forti, quelli che possono sperare di farcela, come è avvenuto in Italia con la recente migrazione verso il nord.

C'è anche una possibilità tecnica prima inesistente, ci sono quelle che noi chiamiamo le "carrette del mare" ma comunque dei natanti provvisti di quel tanto di tecnologia che gli permette di affrontare il mare e magari di affondare in vista delle nostre coste. Non è la prima volta, ai colonizzatori della Polinesia bastavano delle piroghe e delle vele di foglie, ma arrivavano in terre disabitate e in tempi lunghissimi non in massa e al ritmo continuo che oggi rende difficile, a volte impossibile, la soluzione del problema. Oggi le soluzioni possibili sono tutte difficilmente percorribili e cariche di rischi.

Una è quella demagogica e irresponsabile della Lega: un localismo che rifiuta o ridicolizza il problema rimandandolo sulle spalle degli altri.

Arrivato al culmine della stupidità con la proposta dell'onorevole Calderoli di porre fra i requisiti per la integrazione non solo la conoscenza della lingua italiana ma dei dialetti sicché uno come me ne sarebbe escluso avendo perso l'uso del dialetto piemontese. E ignorando gli altri. Insomma una non soluzione, un uso elettorale del localismo, diviso fra paure e rimedi xenofobi e la voglia o necessità di avere nei campi e nelle fabbriche una manodopera che in Italia non si trova più, un prodotto di quella sottocultura che la Lega esibisce in ogni occasione.

La seconda soluzione, terribile quanto impraticabile è quella di un ritorno di fatto ai metodi colonialistici: il dominio indiretto o diretto sui poveri magari con l'occupazione dei loro paesi che sembra proibitiva anche per la ricchissima e potentissima America.

Restano le soluzioni più ragionevoli, come il contenimento graduale dell'immigrazione di massa. Impresa quanto mai ardua: gli Stati Uniti non ci sono riusciti, le loro barriere ai confini con il Messico, la loro poderosa guardia costiera non hanno impedito che in California o in Florida lo spagnolo sia ormai la lingua prevalente e che le minoranze ispano-americane siano delle maggioranze determinanti nelle elezioni. Ogni anno un milione e mezzo di immigrati entra nella confederazione e ne potenzia il peso demografico, l'economia, la forza militare, anche se non si sa sino a quale punto il grande e ricchissimo paese sarà in grado di accoglierli. In Europa si pone come urgente una risposta comune sia al contenimento sia alla integrazione, con una partecipazione di tutti i paesi, sia i mediterranei esposti alla prima onda di invasione e sia gli altri su cui gradualmente arriva. Sembra impossibile, inspiegabile che il nostro ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu sia costretto a dire che la tragedia "al largo dell'isola di Lampedusa, è una tragedia ignorata che si sta consumando sotto gli occhi dell'Europa". Un'Europa che tiene in continuazione convegni sulla sua prossima costituzione, sulle grandi opere prioritarie, sulla lotta alla mucca pazza e sui sostegni all'agricoltura e non si cura dell'invasione che sta trasformandola economicamente e antropologicamente.

In visita a Lampedusa il presidente della Camera Casini annuncia che "ci si sta muovendo verso una assunzione di responsabilità dell'Europa e di cooperazione con i paesi nordafricani". Si ha l'impressione sconcertante che la politica del fare sbandierata da chi ci governa sia come sommersa dalla politica delle buone intenzioni e di una sottostante impotenza.

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