Da Corriere della Sera del 18/12/2004
Il «Washington Post» rivela l’esistenza di una sezione che sfugge ad ogni controllo
Le celle fantasma di Guantanamo
Nel carcere speciale c’è un braccio gestito dalla Cia per i luogotenenti di Osama
di Guido Olimpio
Celle segrete per i qaedisti all’interno del campo di detenzione a Guantanamo, la base americana a Cuba. Una prigione nella prigione, sottratta a qualsiasi controllo esterno e gestita da agenti della Cia. A rivelarlo un articolo del quotidiano Washington Post che cita come fonti ambienti dell’intelligence. La sezione sarebbe riservata a personaggi importanti della rete di Osama catturati in aree del Terzo Mondo (Pakistan, Africa Occidentale, Yemen, Medio Oriente) e trasferiti a Guantanamo sempre con la regia della Cia. Rispetto agli altri detenuti, i prigionieri non possono essere visitati dal Comitato della Croce Rossa e su di loro non ha alcuna autorità il Dipartimento della Difesa, l’ente ufficiale che gestisce il campo. Il complesso «top secret» è situato nel settore conosciuto come Camp Echo e circondato da una recinzione coperta da teli di plastica. È composto da una dozzina di piccoli edifici in cemento, ognuno diviso a metà. All’interno una gabbia in ferro, un bagno, un tavolo per gli interrogatori. La zona di notte viene illuminata da potenti fari. Secondo diverse testimonianza c’è un via-vai di sospetti: «Arrivano e partono in continuazione», ha precisato un ufficiale. È evidente che la permanenza a Guantanamo è legata alla loro collaborazione. Se il detenuto parla può essere trasferito in un’altra prigione, altrimenti subisce interrogatori pesanti. Nessuno dello staff della base è autorizzato a entrare nella sezione speciale e dunque è impossibile sapere cosa accade all’interno. La privazione del sonno, le docce gelate, i «bombardamenti» con la musica e le pressioni fisiche sono tra i metodi impiegati per far crollare gli arrestati.
Secondo le regole introdotte, dopo dure proteste internazionali, ogni prigioniero deve essere registrato al suo arrivo dall’autorità militare e, entro certi limiti, deve poter ricevere le visite dei delegati della Croce Rossa. «Ma è chiaro (che la Cia) sta aggirando in questo modo il regolamento», ha precisato un ufficiale. Non è da escludere che dietro le rivelazioni possano esserci quei settori del Pentagono ostili alla linea dura sostenuta dai «falchi» e dall’intelligence. Prima di queste indiscrezioni ne erano circolate altre non meno imbarazzanti per l’Amministrazione Usa. La prima riguarda i cosiddetti «fantasmi». Terroristi (veri e presunti) detenuti in modo clandestino dagli apparati di sicurezza americani. La seconda ruota attorno ai casi di estremisti vicini ad Al Qaeda rapiti dagli 007 in Paesi terzi e poi trasferiti nella rete di prigioni segrete sparse per il mondo. Egitto, Giordania, Azerbaigian, Marocco, Siria hanno collaborato con l’intelligence statunitense mettendo a disposizione le loro celle e soprattutto i loro specialisti in interrogatori. Uno di questi sequestri ha riguardato un militante egiziano a Milano, Abu Omar, coinvolto in numerose inchieste sul terrorismo. Catturato da un commando nei pressi della sua casa milanese, trasferito in una base statunitense in Italia (Aviano) è finito poi in Egitto.
Di recente, alcuni governi avrebbe però chiesto a Washington di riprendersi i sospetti in quanto la loro presenza può creare problemi di politica interna o ritorsioni da parte dei complici. Queste pressioni hanno indotto la Cia a creare la sezione speciale a Guantanamo. I suoi uomini di casa sull’isola avevano partecipato all’apertura del centro di detenzione nel gennaio 2002, quando dall’Afghanistan arrivò il primo nucleo di prigionieri internati a Camp X-Ray . Sempre la Cia ha mantenuto un ufficio all’interno della base navale e ha partecipato agli interrogatori condotti dai «Tiger Team», il nucleo incaricato di far parlare i prigionieri.
Sull’identità dei detenuti finiti nel settore speciale c’è estremo riserbo. È possibile che vi siano finiti Ramzi Binalshibh e Khaled Sheikh Mohammed, entrambi coinvolti nell’attacco dell’11 settembre, Abu Zubeyda, capo del settore operazioni, Hambali, gestore del network in Asia e il mauritano Ould Slahi, elemento di raccordo tra Osama e la cellula d’Amburgo.
Secondo le regole introdotte, dopo dure proteste internazionali, ogni prigioniero deve essere registrato al suo arrivo dall’autorità militare e, entro certi limiti, deve poter ricevere le visite dei delegati della Croce Rossa. «Ma è chiaro (che la Cia) sta aggirando in questo modo il regolamento», ha precisato un ufficiale. Non è da escludere che dietro le rivelazioni possano esserci quei settori del Pentagono ostili alla linea dura sostenuta dai «falchi» e dall’intelligence. Prima di queste indiscrezioni ne erano circolate altre non meno imbarazzanti per l’Amministrazione Usa. La prima riguarda i cosiddetti «fantasmi». Terroristi (veri e presunti) detenuti in modo clandestino dagli apparati di sicurezza americani. La seconda ruota attorno ai casi di estremisti vicini ad Al Qaeda rapiti dagli 007 in Paesi terzi e poi trasferiti nella rete di prigioni segrete sparse per il mondo. Egitto, Giordania, Azerbaigian, Marocco, Siria hanno collaborato con l’intelligence statunitense mettendo a disposizione le loro celle e soprattutto i loro specialisti in interrogatori. Uno di questi sequestri ha riguardato un militante egiziano a Milano, Abu Omar, coinvolto in numerose inchieste sul terrorismo. Catturato da un commando nei pressi della sua casa milanese, trasferito in una base statunitense in Italia (Aviano) è finito poi in Egitto.
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