Da Corriere della Sera del 22/12/2004

Per i sondaggi anche la popolarità di Bush è in calo. Il presidente piange i caduti: «Ma il processo democratico va avanti»

L’America boccia Rumsfeld: troppe perdite, si deve dimettere

di Ennio Caretto

WASHINGTON - A 24 ore dall’inattesa ammissione di Bush che gli attacchi degli insorti in Iraq «fanno effetto sul popolo iracheno e su quello americano», la strage di Camp Marez a Mosul, quasi un commento e una sfida al presidente, ha scosso gli Stati Uniti, che sinora erano parsi sordi allo stillicidio dei loro caduti, circa 1.315 a tutto ieri. La reazione della Casa Bianca è stata ferma: «La violenza non farà deragliare il processo democratico a Bagdad», ha detto il portavoce Scott McClellan. «Il presidente la condanna e prega per i caduti. Sconfiggeremo i nemici della libertà». Ma, dai primi sondaggi dopo la rielezione di Bush, la strage ha colto l'America in una fase di ripensamento. Prima che ne arrivasse la notizia, il Washington Post e la tv Abc hanno riferito che per la prima volta la maggioranza degli americani, il 56 contro il 42 per cento, pensa che la guerra sia stata un errore e il 52 contro il 35 per cento chiede le dimissioni del ministro della Difesa, il falco Donald Rumsfeld. A conforto del presidente, il cui indice di approvazione è sceso al 48 per cento, un trauma dopo il trionfo alle urne, il 58 per cento vuole però che le truppe Usa restino in Iraq «fino al ripristino dell’ordine».

La strage è accaduta mentre, in una visita a sorpresa a Bagdad, il premier britannico Tony Blair, l’alleato di ferro di Bush, elogiava i membri della commissione elettorale: «Sono gli eroi del nuovo Iraq perché rischiano la vita ogni giorno». Blair, che si è poi recato a Bassora dalle truppe britanniche, ha definito gli eventi «una battaglia tra la democrazia e il terrore, che non lascia dubbi su come schierarsi». Il presidente gli ha fatto eco da Washington andando a visitare i militari ricoverati all’ospedale militare Walter Reed: «L’America - ha detto - completerà la missione per onorare i loro sacrifici».

Si va avanti dunque. Anche se gli ultimi sondaggi suonano come un campanello d’allarme. A una conferenza stampa a New York, il segretario dell’Onu Kofi Annan, che ha definito il 2004 un annus horribilis per l’Onu a causa dello scandalo petrolio in cambio di cibo, ha ammonito che «se la violenza proseguirà agli attuali livelli l’impatto sulle elezioni irachene sarà forte perché non avverranno nel vuoto ma risentiranno del contesto».

Il 60% degli americani, comunque, è convinto che il voto debba svolgersi come previsto il 30 gennaio. Il problema sono i morti: per la prima volta, la maggioranza, ben il 70 per cento, afferma che «sono un prezzo inaccettabile» da pagare per l'Iraq. È da queste perdite che scaturiscono le richieste che Rumsfeld si dimetta: a caldo, le radio e tv gli hanno ieri rimproverato di non avere fatto costruire bunker per le mense a Camp Marez e in altre basi militari e di averle collocate in edifici «morbidi». Per ora, Bush ignora le richieste di dimissioni: «Il presidente - ha ricordato ieri il portavoce McClellan - non governa a seconda dei sondaggi».

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