Da Corriere della Sera del 20/12/2004
I democratici chiedono le immediate dimissioni, ma la Casa Bianca replica: «Sta facendo un lavoro spettacolare»
Rumsfeld, solo un timbro sulle lettere per i caduti
Il giornale delle Forze armate costringe il ministro a scusarsi per non aver firmato le condoglianze
di Ennio Caretto
WASHINGTON - È un evento senza precedenti nella storia delle Forze armate americane. Stars and stripes (Stelle e strisce), il loro quotidiano, ha accusato il ministro della Difesa Donald Rumsfeld di non avere firmato di persona le lettere di condoglianze alle famiglie dei caduti in Iraq. E lo ha costretto a un pubblico mea culpa : in una lettera al giornale, Rumsfeld ha dichiarato di «avere approvato o scritto le oltre mille lettere, ma di non avere apposto la mia firma a ciascuna di esse per accelerarne l'invio» e ha garantito che «in futuro le firmerò tutte». Due settimane dopo essere stato criticato in diretta tv dai soldati, durante una visita nel Golfo Persico, per la carenza di mezzi blindati in Iraq, il falco dell'Amministrazione si è così trovato di nuovo sotto assedio. Ma le richieste dei democratici che si dimetta sono state respinte dalla Casa Bianca: «Rumsfeld - ha ribattuto ieri il capo di gabinetto Andrew Card - sta facendo un lavoro spettacolare e prepara le Forze armate alle sfide del XXI secolo».
Fu David Hackworth, un ex colonnello dei corpi speciali dell'esercito, a denunciare Rumsfeld su Stars and stripes il 22 novembre scorso. Due alti ufficiali del Pentagono, scrisse, «mi hanno riferito che il ministro trascura il suo sacro dovere di firmare le lettere, fa usare un timbro con la firma. Il padre di un caduto ha commentato amaramente: è una vergogna che Rumsfeld abbia tempo per giocare a squash ma non per firmare la lettera sulla morte di mio figlio».
Jim Turner, un portavoce del Pentagono, smentì recisamente: «Il ministro firma tutto di suo pugno» ma il giornale non gli prestò fede e raccolse altre testimonianze.
Numerose famiglie di caduti si dissero insultate dalla condotta di Rumsfeld e aggiunsero di «nutrire sospetti» sulla firma di analoghe lettere del presidente Bush (la Casa Bianca nega). Ieri il ministro, cui le famiglie avevano rinfacciato in precedenza di vietare la pubblicazione delle immagini delle bare, ha cercato di soffocare lo scandalo.
Al mea culpa di Rumsfeld ha probabilmente contribuito il Washington Post , che sabato ha destato scalpore con le foto degli ultimi 153 caduti su un totale di 1.297. Ma la negligenza del ministro è sintomatica da una parte delle tensioni che si sono formate tra di lui e i generali, che invano chiedono più truppe per l'Iraq, dall'altra della impreparazione del Pentagono di fronte al costo umano della guerra. A Rumsfeld, che negli anni Settanta si oppose al conflitto vietnamita, viene rinfacciato di ripeterne gli errori. Come ha protestato il senatore repubblicano Chuck Hagel, un eroe del Vietnam, «in Iraq non è mai andata tanto male quanto oggi». E mentre il costo umano è molto inferiore a quello delle guerre precedenti, per quanto concerne i caduti e le famiglie il Pentagono pare avere dimenticato la lezione vietnamita.
Il quotidiano Star Tribune ha pubblicato una vignetta che raffigura Rusmfeld a una scrivania con su scritto «in -defens - ible» un gioco di parole per «un ministro della Difesa indifendibile». Ma, come la Casa Bianca, la maggior parte dei parlamentari repubblicani è contraria alle sue dimissioni. «Alla vigilia delle elezioni irachene sarebbero disastrose» ha ammonito il senatore John Warner, capo della Commissione Difesa. «Per ora Rumsfeld deve restare e rispondere delle sue azioni» ha sostenuto il senatore Dick Lugar, capo della Commissione esteri.
Fu David Hackworth, un ex colonnello dei corpi speciali dell'esercito, a denunciare Rumsfeld su Stars and stripes il 22 novembre scorso. Due alti ufficiali del Pentagono, scrisse, «mi hanno riferito che il ministro trascura il suo sacro dovere di firmare le lettere, fa usare un timbro con la firma. Il padre di un caduto ha commentato amaramente: è una vergogna che Rumsfeld abbia tempo per giocare a squash ma non per firmare la lettera sulla morte di mio figlio».
Jim Turner, un portavoce del Pentagono, smentì recisamente: «Il ministro firma tutto di suo pugno» ma il giornale non gli prestò fede e raccolse altre testimonianze.
Numerose famiglie di caduti si dissero insultate dalla condotta di Rumsfeld e aggiunsero di «nutrire sospetti» sulla firma di analoghe lettere del presidente Bush (la Casa Bianca nega). Ieri il ministro, cui le famiglie avevano rinfacciato in precedenza di vietare la pubblicazione delle immagini delle bare, ha cercato di soffocare lo scandalo.
Al mea culpa di Rumsfeld ha probabilmente contribuito il Washington Post , che sabato ha destato scalpore con le foto degli ultimi 153 caduti su un totale di 1.297. Ma la negligenza del ministro è sintomatica da una parte delle tensioni che si sono formate tra di lui e i generali, che invano chiedono più truppe per l'Iraq, dall'altra della impreparazione del Pentagono di fronte al costo umano della guerra. A Rumsfeld, che negli anni Settanta si oppose al conflitto vietnamita, viene rinfacciato di ripeterne gli errori. Come ha protestato il senatore repubblicano Chuck Hagel, un eroe del Vietnam, «in Iraq non è mai andata tanto male quanto oggi». E mentre il costo umano è molto inferiore a quello delle guerre precedenti, per quanto concerne i caduti e le famiglie il Pentagono pare avere dimenticato la lezione vietnamita.
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