Da La Repubblica del 31/12/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/l/sezioni/esteri/sri7/delreaceh/delreace...

Sumatra, i primi aiuti sono arrivati soltanto ieri sera. Medici senza frontiere: "Trovata una situazione spaventosa"

"Ho visto l'orrore all'ospedale di Aceh"

Nell'ecatombe indonesiana non ci sarebbero vittime occidentali. Le piogge avevano scoraggiato i turisti

di Pietro Del Re

MEDAN (SUMATRA) - "Ma dove sono gli americani? Che cosa fanno i Paesi ricchi?", si chiede un uomo in lacrime. "Perché non sono ancora venuti a salvarci? Domenica mio figlio si è ferito un piede. Ma non c'erano antibiotici: è morto stamattina". All'aeroporto di Medan, capoluogo di Sumatra, arrivano i primi profughi da Banda Aceh, sopravvissuti al cataclisma e da quattro giorni senza medicine né cibo né acqua potabile. Nella provincia indonesiana più colpita dall'onda assassina i primi aiuti internazionali sono giunti soltanto ieri sera.

E, al momento, viste le proporzioni epocali della tragedia, sono ben poca cosa: un aereo australiano con qualche decina di casse di viveri, un'équipe belga di Medici senza frontiere, due o tre esperti di protezione civile.

Racconta il capomissione dell'ong premio Nobel per la pace, Sabine Rems, giunta ieri a Banda Aceh: "Per prima cosa ci siamo recati all'ospedale della città, dove abbiamo trovato l'orrore: centinaia di feriti, molti dei quali in condizioni disperate, senza la minima assistenza. Manca tutto: antidolorifici, sangue, acqua distillata. Mancano soprattutto medici e infermieri, molti dei quali uccisi dal cataclisma. A Banda Aceh, tuttavia, ci sono i militari. E c'è un aeroporto. Non oso immaginare in quali condizioni si trovino le zone della provincia rese inaccessibili dalla distruzione delle strade".

La signora Rems si riferisce, per esempio, a Meulaboh che nessuna squadra di soccorritori ha ancora potuto raggiungere. Questa città di cinquantamila abitanti sulla costa nord-occidentale, di fronte all'epicentro del sisma, è stata prima disintegrata dal terremoto poi sommersa dall'onda anomala. Solo il 10 per cento delle case ha resistito al doppio flagello, i morti sarebbero almeno ventimila. Da giorni i soli aiuti ai superstiti sono paracadutati dal cielo. La stessa sorte è toccata ad altre città e villaggi della zona: in quei 300 chilometri di costa è andato distrutto l'80 per cento delle strutture.

Per quanto strano possa sembrare, nella spaventosa ecatombe indonesiana non ci sarebbero né vittime né dispersi occidentali. Le piogge che in questa stagione colpiscono Sumatra avevano scoraggiato i più. Solo un'isola della provincia, Weh, dispone di un centro per immersioni subacquee. Domenica c'era una mezza dozzina di turisti stranieri, tutti miracolosamente salvi, perché i bungalow dove erano sistemati si trovavano in collina. Di fronte a Meulaboh, sulla celebre isola di Nias, paradiso dei surfisti e di un turismo più "alternativo" sono stati raccolti quasi duecento cadaveri. Tutti indonesiani. Non mancano italiani all'appello né dalle piattaforme off-shore dell'Eni sul versante orientale di Sumatra né, dopo il ritrovamento di padre Ferdinando dato inizialmente per disperso, dalle missioni cattoliche a Sumatra.

Ma quanto ci vorrà prima di poter portare soccorso nelle zone più remote della provincia? A Medan, da mercoledì scorso si stanno organizzando gli aiuti internazionali attraverso una cellula di crisi gestita dall'esercito di Giakarta. E' già arrivata una grande quantità di cibo e di farmaci, che nei prossimi giorni, se non nelle prossime ore, dovrebbe essere consegnata a destinazione. Dagli Emirati Arabi all'Australia, ogni paese sta inviando mezzi, uomini, soldi. Cinque navi della marina indonesiana fanno rotta verso Sumatra. Nei loro equipaggi risiedono le ultime speranze dei sopravvissuti di Meulaboh. Ieri, intanto, sono arrivate le ruspe a Banda Aceh.

Centinaia di corpi che da giorni aspettavano di essere inumati sono stati finalmente sepolti in grandi fosse comuni.

La dimensione di questa catastrofe potrebbe avere ripercussioni anche politiche. Ad Aceh è in corso dal 1976 una guerra tra ribelli indipendentisti e l'esercito di Giakarta: atti di sanguinaria guerriglia regolarmente seguiti da una feroce repressione. Tutti gli abitanti della provincia, chi più chi meno, sono schierati con il Free Aceh movement, che rinfaccia al potere centrale di saccheggiare le risorse naturali.

La risposta che fornirà il governo indonesiano, non solo all'emergenza di questi giorni ma anche alla lenta ricostruzione della provincia, potrebbe pacificare un conflitto giunto negli ultimi mesi al suo parossismo. Rivolgendosi indirettamente ai separatisti, il vicepresidente indonesiano, Jusuf Kalla, ieri ha lanciato un messaggio di buon auspicio. Ha detto Kalla: "Spero che l'enorme tragedia che ha colpito la regione, faciliti almeno un negoziato di pace tra due nemici che sono in guerra da troppo tempo".

Con i primi superstiti giungono anche le prime, amare testimonianze su quanto è accaduto quel terribile 26 dicembre. Sono storie di morte e distruzione. Tra tanto dolore, la vicenda di Riza e dei suoi due bambini salvati da un pitone gigante ha riportato, per un attimo, il sorriso sui volti degli indonesiani. Domenica scorsa, Riza viene inghiottita dai flutti assieme ai figli, due gemellini di pochi anni. La donna riesce a riemergere e ad acciuffare i suoi piccoli. Tenendoli stretti a sé, comincia a nuotare come può verso il tetto di una casa semi sommersa. Ma la corrente la spinge oltre. Nel momento in cui Riza sente che le ultime forze la stanno abbandonando, si vede passare accanto, anche lui trascinato dalla corrente, un pitone lungo come un palo della luce. La madre coraggio indonesiana è riuscita a salvare se stessa e i figli usando il serpente come boa di salvataggio.

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