Da Corriere della Sera del 14/01/2005

L’ultima uscita del leader xenofobo

«I nazisti? Non disumani» Le Pen va in prima pagina e finisce sotto inchiesta

di Massimo Nava

PARIGI - Le Pen, ancora lui. Talmente fedele al personaggio da risultare patetico se non fosse, ancora una volta, disgustosamente offensivo nei confronti della Storia, della memoria delle vittime e persino della logica. Il problema dell'anziano, ma intramontabile, leader del Fronte Nazionale, è non scomparire, ritrovare audience dopo la clamorosa sfida alle presidenziali contro Jacques Chirac e il ritorno nel dimenticatoio della politica e dei media. Così sceglie l'anniversario della Liberazione e della scoperta dei campi di sterminio per gettare il sasso negazionista con una furbastra strizzata d'occhio a quegli ambienti francesi minoritari che non hanno ancora elaborato i fantasmi della Repubblica collaborazionista di Vichy. In una intervista a un quasi sconosciuto settimanale, Rivarol , Jean-Marie Le Pen ha sostenuto che l'«occupazione tedesca non fu particolarmente inumana», che la Gestapo contribuì a proteggere la popolazione e che se i tedeschi avessero messo in atto esecuzioni massicce «non ci sarebbe stato bisogno di campi di concentramento».

Affermazioni terribili che suonano come un insulto nella Francia che in questi giorni dedica all'anniversario di Auschwitz intense celebrazioni e che, proprio sul capitolo di Vichy, porta avanti la ricognizione storica sul collaborazionismo e sulle responsabilità francesi. Furono almeno 77 mila gli ebrei, francesi e stranieri, inviati in Germania sui treni che partivano dal famigerato centro di smistamento di Drancy, alla periferia di Parigi.

Le affermazioni di Le Pen seguono una recente intervista, rimasta in sordina, del numero due del partito, Bruno Gollnich, professore all'università di Lione e seguace delle tesi negazioniste dell'Olocausto. «Senza mettere in discussione i campi di concentramento, ci sarebbe da discutere sul numero effettivo delle vittime» ha detto.

La nuova sparata del leader del Fronte, che proprio ieri mattina si è presentato in tribunale a Parigi per rispondere all'accusa di incitamento all'odio razziale (in una intervista si era espresso sull'invasione degli immigrati musulmani, evocando i pericoli per la civiltà francese assediata), ha suscitato un'ondata d'indignazione nell'opinione pubblica e nel mondo politico. Il ministro della Giustizia, Dominique Perben, ha ordinato l'apertura di un'inchiesta preliminare.

Le Pen, come in altre occasioni del genere, ha innescato l'amplificazione mediatica delle sue affermazioni: smentite, querele, precisazioni, controaccuse in nome della «libertà di pensiero e di giudizio». Ancora una volta, ha rispolverato il vittimismo del Fronte e la «congiura» mediatica ai suoi danni. Partiti e opinione pubblica, a suo dire, avrebbero paura della mobilitazione del Fronte per il no al referendum sulla Costituzione e quindi reagirebbero delegittimando il suo capo. Vecchi trucchi, vecchi armamentari, che però quasi sempre hanno avuto l'effetto desiderato. Le Pen il razzista, Le Pen il nostalgico, Le Pen il negazionista: purchè se ne parli.

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