Da La Repubblica del 22/01/2005

Bush convince l´America

Più elogi che critiche al discorso del presidente

Le reazioni americane focalizzate sul concetto di "intervento per la liberazione" dei popoli oppressi
Una notte con dieci balli di inaugurazione, al mattino la preghiera interconfessionale

di Alberto Flores D'Arcais

WASHINGTON - Il "second term" di George W. Bush è iniziato ieri mattina con la tradizionale preghiera "interconfessionale" - cristiana, ebrea e musulmana - nella cattedrale di Washington. E finite le celebrazioni (giovedì sera il presidente e la First Lady si sono dovuti sottoporre al tour de force di ben dieci balli di inaugurazione) Bush e il suo staff si sono messi subito al lavoro.

Lavoro non da poco, visto l´obiettivo che Bush si è posto nel suo discorso inaugurale - portare la libertà ovunque regni la tirannia - cui si aggiungono i temi interni (social security, tasse, immigrazione, malasanità) che verranno trattati nel discorso sullo Stato dell´Unione previsto fra meno di due settimane. Lavoro non facile, ma su cui la Casa Bianca intende procedere a tappe forzate, confortata questa volta anche dall´accoglienza positiva che lo speech del presidente ha avuto tra i media e gli addetti ai lavori.

Con i suoi venti minuti "contro la tirannia" il presidente americano ha tolto di mezzo gli equivoci che qualcuno (anche in Europa) aveva accreditato su un "second term" moderato - con una politica estera più simile a quella sostenuta dalla classica diplomazia americana fino all´11 settembre - e mettendo la sordina ai temi cari ai neocon della "democrazia ovunque". La nomina, e le dichiarazioni sugli Stati tiranni (Iran, Corea del Nord, Cuba, Bielorussia, Zimbabwe e Myanmar-Birmania) di Condoleezza Rice prima e le parole del presidente pronunciate a Capitol Hill poi sono invece il chiaro segnale che l´amministrazione andrà avanti per la sua strada; casomai accentuando la propria posizione con il passaggio dalla "risposta all´aggressione" all´"intervento per la liberazione" degli oppressi in ogni parte del mondo.

Una visione che va anche oltre i quattro anni istituzionali perché vuole mettere la parola fine alla politica estera di tutti i presidenti americani dai tempi di Truman per tornare a quella più idealistica di Woodrow Wilson della "libertà e diritti umani" in ogni parte del pianeta, attivamente promossi dagli Stati Uniti con la diplomazia, per quanto è possibile, e con la guerra dove è necessario.

Le reazioni del giorno dopo sono tutte focalizzate sul cosa si intende per "lotta alla tirannia". Il Washington Post si domanda se «l´esportazione della libertà» debba riguardare tutti i paesi senza eccezioni, anche quei regimi "amici" degli Stati Uniti, quali Arabia Saudita, Pakistan, Egitto dove la democrazia non è moneta corrente; ci si domanda su come andranno impostati i rapporti con due potenze come Cina e Russia, con cui è evidente che gli Stati Uniti debbano dialogare, ma in cui i diritti umani lasciano il tempo che trovano.

Dubbi e critiche legittime, ma le parole di George W. hanno colto nel segno e sembrano aver colpito anche chi meno si fida del "presidente cow-boy". Il New York Times sottolinea come il «discorso del presidente sia stato incentrato su ideali e non sui dettagli» e, pur apprezzando lo schierarsi a fianco di chi combatte per la libertà chiede a Bush di essere più esplicito su «come, quando e dove». Il giornale si spinge addirittura a paragonare le immagini delle feste danzanti di Bush e signora alle «ultime scene del film "Il padrino" in cui un´occasione solenne, in quel caso un battesimo, è intervallata con una serie di spettacolari assassinii. Incredibilmente, con oltre 1360 soldati uccisi ed oltre 10mila feriti, e con migliaia di vittime irachene, il presidente non ha mai citato la parola Iraq».

Inaspettatamente elogiativo il tono usato dal Los Angeles Times, in genere il più schierato contro la politica di Bush. Dopo aver ricordato la propria opposizione a chi era considerato quattro anni fa «un uomo da poco diventato presidente per un caso dovuto alla sua nascita ed alla corruzione della democrazia» il grande quotidiano californiano ammette che giovedì è stato «all´altezza della situazione con un discorso nuovo ed ambizioso». Ma gli rivolge anche un ammonimento: «Tutto bene se la politica estera di questo paese riuscirà ad avvicinarsi di più agli ideali professati, ma sarebbe un disastro se una superbia moraleggiante ci trascinasse in crociate sanguinose e senza speranza, portandoci a fare cose terribili che umiliano i valori per i quali dovremmo combattere».

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