Da Corriere della Sera del 25/01/2005

La Pentita

«Mio marito è un killer, così l’ho scoperto»

di Giovanni Bianconi

PALERMO - I segreti di Cosa Nostra, donna Carmela li ha appresi mentre lavava i panni. Suo marito, Pino Rizzo, presunto uomo d’onore delle Madonie, cercava sempre un luogo tranquillo per parlare con gli altri mafiosi. «L’unico posto dove chiacchierava con i suoi collaboratori - racconta Carmela - è dove io ho la lavanderia, un fabbricato rurale. Si mettevano lì perché in casa, magari, aveva paura che c’era qualche microspia». Invece c’era solo sua moglie: «Capitava che andavo a lavare i vestiti, e siccome volevo sapere se era vero quello che dicevano di lui, che praticamente apparteneva a una famiglia mafiosa...».

Fu così che Carmela scoprì il coinvolgimento del marito nell’omicidio di Salvatore Caccamisi, un imprenditore in odore di mafia ucciso a Lascari, cinquanta chilometri a est di Palermo, una sera di luglio 2002. Il giorno dopo la moglie lo sentì dire a un compare: «Certo che ieri sera, per un pelo ci andava a finire male». E quello: «Te l’avevo detto che dovevi far fare tutto a me!». Carmela chiese conto al marito, e Pino Rizzo ammise che «era presente ma non ha sparato, e che quell’omicidio era stato ordinato perché queste erano persone che potevano mettere i bastoni tra le ruote, perché si volevano prendere il territorio e quindi giustamente andavano eliminate».

Rizzo non immaginava che due anni più tardi sua moglie si sarebbe «fatta pentita» e l’avrebbe accusato di quello e altri omicidi, oltre che di essere un capomafia gestore di estorsioni e traffici vari. Allora, Carmela Rosalia Iuculano aveva 29 anni e voleva ancora bene a Pino. Oggi ne ha 31 ed è un testimone d’accusa in grado di raccontare anche gli aspetti «domestici» e privati della vita in Cosa Nostra, una delle pochissime collaboratrici di giustizia nell’universo mafioso, moglie di boss e madre di tre bambini. La seconda figlia stava per nascere quando Carmela scoprì che suo marito era affiliato a Cosa Nostra, «come diceva la gente». La donna era costretta a letto e c’era sua madre ad aiutarla. «Una mattina - rivela la Iuculano nei verbali d’interrogatorio davanti ai pubblici ministeri di Palermo Lari, Prestipino e Sava -, mentre faceva i mestieri giù al pianterreno, mamma si accorse che sotto al mobile bar c’erano delle cose a terra, sposta ’stu mobile e vide che c’erano un fucile e una pistola... Io poi chiesi a mio marito, che negò tutto. Una sera però mio marito tardava a salire e così, piano piano, sono scesa per vedere che stava facendo, magari stava mandando qualche messaggio col telefonino, sempre per cose diciamo a livello extraconiugale, e invece trovai che era in bagno e toglieva una busta da dentro la cassetta dell’acqua, e gli chiesi "ma che c’è lì dentro?", e lui mi disse "niente, sono munizioni". E io: "Allora perché mi hai negato quello che aveva detto mia mamma?", e lui si è messo a ridere, come al solito; quando non aveva risposte da darmi rideva, e buonanotte».

Si sentiva sicuro, Pino Rizzo. Dove pensava di andare sua moglie? La prese che lei aveva 16 anni, nel 1989, con la classica fuitina , e quando - già moglie - Carmela era tornata dai suoi stanca dei tradimenti e delle botte del marito, trovò il modo di riprendersela: «Dopo due giorni a mio padre gli ruppero lo specchietto e la ruota di un escavatore, e mio fratello si arrabbiò con mio padre e disse: "Tu la devi rimandare da lui, sennò qua non possiamo più lavorare", e quindi mio padre una sera mi disse: "Cerca di finirla, torna con tuo marito, non ti alzerà più le mani"».

Il signor Iuculano, oltre che le macchine per movimentare la terra, gestiva una discoteca senza sfuggire alla legge del «pizzo». I mafiosi della zona riscuotevano i soldi in contanti, e al padre di Carmela ci pensava direttamente suo genero, Pino Rizzo. «Una volta gli chiesi perché prendeva i soldi da mio padre - ricorda Carmela - e lui mi disse: "Per tenere aperta la discoteca, per non fargli succedere niente". Io gli ho risposto "ma non ti vergogni di far pagare a mio padre?", e lui: "Anzi, gli facciamo lo sconto appunto perché è mio suocero, sennò dovrebbe pagare molto di più"».

Alla discoteca del suocero Pino Rizzo aveva fatto assumere un buttafuori, Filippo Lo Coco. Ebbe un contrasto col proprietario, fu cacciato, qualche giorno dopo la discoteca prese fuoco.

Racconta la pentita: «Ho detto a mio marito: "Come, mio padre paga e gli fate fare pure il danno?", e lui rispose: "Non ti preoccupare, che qualche giorno di questi il regalo a tuo padre glielo fanno"». Passò una settimana e il telegiornale annunciò che un giovane di 27 anni, Filippo Lo Coco, era stato ucciso nella sua auto a colpi di pistola. Commento di Pino Rizzo riferito dalla moglie: «Purtroppo lui era una macchina, e quando una macchina non funziona più bisogna spegnerla».

Ma Carmela voleva la verità: «Gli domandai se era quello il regalo a mio padre e lui disse: "Sì, però Lo Coco era già destinato ad essere ucciso. Certo l’incendio della discoteca fu la ciliegina sulla torta..."».

È una devota di Padre Pio, Carmela Iuculano. Nella primavera 2002 il marito l’accompagnò al santuario di San Giovanni Rotondo perché lei doveva sciogliere un voto, e voleva allestire una cappella in casa dedicata al Santo di Pietrelcina: «Il 1° di giugno abbiamo fatto anche una messa, è venuto il parroco, abbiamo invitato i miei parenti e amici e abbiamo fatto una piccola festicciola». C’erano Pino Rizzo e altri uomini d’onore, da poco era stato arrestato il capomafia Nino Giuffrè, che se non fosse finito in carcere avrebbe fatto una brutta fine. «Mio cugino mi disse: "Questo ha avuto una fortuna a farsi arrestare, per poco non ci lasciava le penne... Doveva essere ucciso, perché ormai lui era troppo trapassato", era molto avido e non dava tanto...».

E pensare che era stato proprio Giuffrè a raccomandarsi con Rizzo: «Lascia stare le altre donne, l’unica persona di cui uno si può fidare è la moglie». Una moglie, Carmela, che nascondeva i pizzini di carta coi messaggi per i boss latitanti, che taceva se il marito spariva magari per giorni intimandole di non cercarlo, che andava a fare la spesa quando il marito diceva che doveva restare solo con i complici, anche se il frigorifero era pieno. Una sera Pino si presentò a casa con un amico: «Mi disse: "Prendimi due camicie, una per me e una per Peppino, di quelle da lavoro però, che poi le dobbiamo buttare". Io le presi e gliele diedi, se ne andarono che potevano essere le 20 e ritornarono l’indomani mattina. Le camicie che gli ho dato non le avevano più, ho capito che dovevano fare qualche lavoretto».

Nino Giuffrè ha deciso di collaborare coi giudici, ha accusato Pino Rizzo che è finito in carcere, e Carmela portava fuori i suoi pizzini per i complici. A maggio 2004 hanno preso anche lei per concorso in associazione mafiosa, poco dopo ha scritto ai magistrati: «Essendo io arrestata credevo che mio marito si sarebbe deciso a collaborare con voi». Non l’ha fatto lui, l’ha fatto lei: «Ho deciso questo passo anche per questo motivo, per iniziare una vita nuova, onesta, pulita, tranquilla, alla luce del sole... Vorrei che i miei figli, crescendo, abbiano un buon esempio da parte mia e iniziare una vita normale, come tutti gli altri...».

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