Da Corriere della Sera del 30/01/2005

«Iracheni, sconfiggete i terroristi votando»

L’appello di Allawi. Il presidente Yawar teme che vinca la paura. Fuoco sull’ambasciata Usa: due morti

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Paura, violenza, incertezza e dubbio caratterizzano sino all’ultimo il giorno delle elezioni. Oggi in Iraq si vota. Ma ancora ieri mattina il presidente ad interim, Ghazi al Yawar, ammetteva pubblicamente che «una gran parte della popolazione potrebbe non recarsi alle urne, non perché intenda boicottarle, ma a causa della mancanza di sicurezza». Dichiarazione che è apparsa subito come un’ammissione molto pessimista della potenza di fuoco delle forze della guerriglia determinate a impedire il voto con attentati e violenze. Tanto che lo stesso premier, Iyad Allawi, è tornato a rivolgersi agli iracheni «di tutte le religioni e gruppi etnici» perché sfidino il terrorismo e vadano votare. Così, poche ore dopo ancora Al Yawar era costretto a specificare che, nonostante le difficoltà, a suo parere almeno «tre quarti degli aventi diritto voteranno». E sarà lui stesso a dare il buon esempio: voterà alle sei e mezzo di mattina nel seggio presso la sua abitazione.

Un segnale negativo viene anche da Moqtada al Sadr, il trentenne estremista sciita che l’anno scorso, in maggio-aprile e poi durante l’estate, aveva organizzato una potente milizia armata che aveva combattuto a lungo contro le truppe americane. In autunno, aveva promesso di legarsi alle forze moderate e favorevoli al voto guidate al leader spirituale sciita Ali al Sistani. Il suo silenzio nelle ultime settimane sembrava garantire l’unità del fronte sciita.

Ma, ieri, alcuni tra i suoi fedeli più noti sono tornati a invitare la gente al boicottaggio delle elezioni.

Ieri ancora attentati. La serie è iniziata con nuove aggressioni a diversi seggi in tutto il Paese. A Khanaqin, presso il confine con l’Iran, un kamikaze ha fatto detonare la cintura di esplosivo che aveva in vita, causando la morte di almeno 8 persone, tra cui un bambino. La notte precedente erano stati assassinati 4 poliziotti a Baji, circa 200 km a nord della capitale. Alcune fonti segnalano la morte di una trentina di persone in meno di 24 ore. Ma la situazione del Paese cambia da zona a zona. Nel Nord curdo la campagna elettorale è proseguita quasi indisturbata. E anche nel Sud sciita l’entusiasmo per il primo voto democratico in decenni resta altissimo. Nelle province sunnite domina, invece, l’astensionismo e, addirittura, la volontà di boicottare il voto a qualsiasi prezzo.

Bagdad è immersa nella paura. Ieri sera, alle otto, in tutto il centro si è udita chiaramente la serie di razzi sparati contro la «zona verde» degli ex palazzi presidenziali, dove sono acquartierati il governo iracheno ad interim e l’amministrazione americana. Più tardi, i portavoce hanno ammesso che era stata colpita l’ambasciata americana, causando la morte di almeno due persone e il ferimento di altre 4 (tutti americani).

Un colpo grave per il gigantesco apparato di sicurezza messo in piedi dai comandi Usa assieme a quelli delle nuove forze irachene. L’ultima ondata di attacchi con razzi Katiuscia e colpi di mortaio contro la «zona verde» risale alla seconda metà di settembre. In ottobre, un kamikaze era riuscito a passare a piedi i posti di blocco uccidendo poi una decina di persone in uno dei caffè frequentati da soldati e diplomatici. Paura anche tra la minoranza cristiana. Ieri, alcuni colpi di mortaio sono stati sparati contro la cittadina di Karakosh, nel Nord, non lontano da Mosul. «Una chiara intimidazione degli estremisti islamici contro la popolazione cristiana, che in quelle zone sembra legata ai partiti curdi», dice al Corriere il nunzio di Bagdad, Fernando Filoni. Tre settimane fa Ammu Josef, un elettricista cristiano di 75 anni che lavora spesso per la nunziatura, è stato sgozzato con la moglie Iride da sconosciuti entrati nella loro abitazione.

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