Da Corriere della Sera del 12/03/2005
La nuova visione di Rumsfeld
«Generali, cambiate il mondo» Il capo del Pentagono ridefinisce la strategia militare americana. Sì di Bush a Teheran nel Wto: sull’Iran, una voce sola con l’Ue
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Da ex campione di lotta libera qual è, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld sta lavorando, nell'ambito del tradizionale «Riesame quadriennale» delle forze armate americane, a un piano che rovescerebbe la strategia militare americana, nonostante l'opposizione di molti generali del Pentagono. Rumsfeld vorrebbe sostituire l’addestramento delle truppe per le guerre convenzionali con quello contro il terrorismo globale, modificandone gli armamenti. E vorrebbe addossare loro quattro compiti: stabilire una partnership con i Paesi più esposti per sconfiggere i terroristi; difendere l'America con blitz preventivi su gruppi o Stati che ne minacciassero la sicurezza; impedire la diffusione delle armi di sterminio; e condizionare le scelte strategiche di colossi come la Russia e la Cina.
Lo ha rivelato il Wall Street Journal , che ha messo le mani su una bozza del piano, mentre il segretario di Stato Condoleezza Rice annunciava un'importante svolta politica sull'Iran, uno dei possibili bersagli di Rumsfeld. La Rice ha dichiarato che l'amministrazione Bush «lascerà cadere le obiezioni all'ingresso dell'Iran nel Wto, l'organizzazione mondiale dei commerci, ed esaminerà caso per caso le vendite di pezzi di ricambio per aerei civili iraniani» se Teheran abbandonerà le sue ambizioni nucleari. Sono i famosi «incentivi» agli ayatollah che gli europei avevano chiesto a Bush in visita a Bruxelles a febbraio. Il presidente si è detto contento che sull’Iran «America ed Europa parlino con una sola voce». In cambio, l'Ue si impegnerà a ricorrere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, e quindi a imporre delle sanzioni contro Teheran, qualora i negoziati con l'Iran fallissero.
In apparenza, il piano di Rumsfeld e l'apertura della Rice si contraddicono. Ma in realtà rispondono alla stessa logica, sono entrambi il frutto della lezione dell'Iraq. Lo conferma il Times di Londra, che a sua volta è giunto in possesso del memorandum del ministro della Difesa Usa. Il giornale scrive che Rumsfeld sembra avere preso atto che gli Stati Uniti dovranno avere un ruolo di «peace making» nel mondo - imporre la pace - ma che non hanno i mezzi per svolgere anche quello successivo di «peace keeping» a cui sono più adatti gli alleati.
Stando al Times , i suoi consiglieri insistono che in questa seconda fase occorre l'intervento della Nato, dell'Ue e dell'Onu. Non è l'abbandono dell'unilateralismo bushiano, ma è una rettifica di rotta sostanziale.
Il piano di Rumsfeld dovrebbe evitare che, se si trovasse in un altro Iraq, l’America vi restasse impantanata. Il Times ricorda la fallita formula «10-30-30»: 10 giorni per andare all'attacco, 30 per vincere, e 30 per incominciare a ritirarsi. Il Pentagono dovrebbe generare «cambiamenti preventivi nel mondo» in aggiunta agli sforzi diplomatici - così dice il Wall Street Journal -, influire sugli orientamenti delle grandi potenze, cioè condurre crociate contro i «jihadisti» e altri gruppi ostili all'America, e assieme contenere i potenziali rivali.
Il riesame, ha affermato ieri Rumsfeld alla Camera, terrà anche conto dei mutamenti in corso in Asia, e soprattutto in Cina «le cui capacità militari tra dieci, vent’anni potrebbero essere motivo di allarme». Nel piano vi sarà spazio «anche per nuovi sistemi di armi a lungo raggio», dai missili agli aerei. Rumsfeld non lo ha specificato, ma sarebbero soprattutto in funzione anticinese.
Lo ha rivelato il Wall Street Journal , che ha messo le mani su una bozza del piano, mentre il segretario di Stato Condoleezza Rice annunciava un'importante svolta politica sull'Iran, uno dei possibili bersagli di Rumsfeld. La Rice ha dichiarato che l'amministrazione Bush «lascerà cadere le obiezioni all'ingresso dell'Iran nel Wto, l'organizzazione mondiale dei commerci, ed esaminerà caso per caso le vendite di pezzi di ricambio per aerei civili iraniani» se Teheran abbandonerà le sue ambizioni nucleari. Sono i famosi «incentivi» agli ayatollah che gli europei avevano chiesto a Bush in visita a Bruxelles a febbraio. Il presidente si è detto contento che sull’Iran «America ed Europa parlino con una sola voce». In cambio, l'Ue si impegnerà a ricorrere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, e quindi a imporre delle sanzioni contro Teheran, qualora i negoziati con l'Iran fallissero.
In apparenza, il piano di Rumsfeld e l'apertura della Rice si contraddicono. Ma in realtà rispondono alla stessa logica, sono entrambi il frutto della lezione dell'Iraq. Lo conferma il Times di Londra, che a sua volta è giunto in possesso del memorandum del ministro della Difesa Usa. Il giornale scrive che Rumsfeld sembra avere preso atto che gli Stati Uniti dovranno avere un ruolo di «peace making» nel mondo - imporre la pace - ma che non hanno i mezzi per svolgere anche quello successivo di «peace keeping» a cui sono più adatti gli alleati.
Stando al Times , i suoi consiglieri insistono che in questa seconda fase occorre l'intervento della Nato, dell'Ue e dell'Onu. Non è l'abbandono dell'unilateralismo bushiano, ma è una rettifica di rotta sostanziale.
Il piano di Rumsfeld dovrebbe evitare che, se si trovasse in un altro Iraq, l’America vi restasse impantanata. Il Times ricorda la fallita formula «10-30-30»: 10 giorni per andare all'attacco, 30 per vincere, e 30 per incominciare a ritirarsi. Il Pentagono dovrebbe generare «cambiamenti preventivi nel mondo» in aggiunta agli sforzi diplomatici - così dice il Wall Street Journal -, influire sugli orientamenti delle grandi potenze, cioè condurre crociate contro i «jihadisti» e altri gruppi ostili all'America, e assieme contenere i potenziali rivali.
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