Da La Repubblica del 17/03/2005
Blair: Berlusconi è stato frainteso. La Rice: l´Italia non metterà a rischio la missione
Bush, linea calda con il premier "Mi dice che nulla è cambiato"
"A Silvio ho chiesto se potevo dire proprio questo ai giornalisti Mi ha risposto di sì"
Dal Dipartimento di Stato la certezza: "A Roma e Londra ci sono esigenze elettorali"
di Alberto Flores D'Arcais
NEW YORK - Al giornalista che gli domanda della telefonata con Berlusconi e dell´annuncio del ritiro italiano George W. Bush risponde sorridendo: «L´ho chiamato io, per dirgli della candidatura di Wolfowitz...», poi con tono più serio spiega: «Voleva che sapessi subito che non c´è nulla di cambiato nella sua politica, che ogni ritiro sarà fatto consultando gli alleati e sarà fatto quando gli iracheni avranno la capacità di difendersi da soli».
All´inizio di una delle sue più lunghe conferenze stampa dedicata principalmente alla politica interna (pensioni), la seconda domanda ha chiamato in causa il premier italiano e il ruolo dell´Italia in Iraq. Bush è tranquillo - «Ho chiesto a Berlusconi se fosse sicuro che potevo dire proprio questo ai giornalisti, che nulla è cambiato, e lui mi ha detto, assolutamente sì» - e il suo scambio di opinioni con Berlusconi gli serve per ricordare ancora una volta la posizione dell´America: «Le nostre truppe torneranno a casa quando l´Iraq sarà capace di difendersi da solo e questa è la posizione che riscontro parlando con i nostri alleati. Tutti i paesi della coalizione sono ansiosi di ritirarsi appena gli iracheni saranno in grado di difendersi, la stessa posizione degli Stati Uniti».
Vista dalla Casa Bianca l´annuncio televisivo di Berlusconi è una tempesta in un bicchiere d´acqua, con un paio di funzionari disposti a dire soltanto che «non c´è nulla da commentare», «non è successo proprio niente». La linea l´aveva dettata in mattinata, quando a Washington non era ancora l´alba, Condoleezza Rice. Il segretario di Stato in viaggio in Asia alle prese con problemi più seri di qualche sortita italiana (conflitto Pakistan-India, Corea del Nord, Cina-Taiwan) parlando con alcuni giornalisti al seguito a New Delhi non si era mostrata affatto preoccupata delle notizie che le agenzie rilanciavano da Roma: «Sono sicura, data la mia esperienza di lavoro con il governo italiano e la grande esperienza che c´è al ministero della Difesa italiano, che qualsiasi decisione gli italiani assumeranno sulle loro forze sarà pienamente coordinata con gli Usa in modo da non mettere a rischio la missione».
Se per l´amministrazione Usa quanto successo è un no problem, un po´ di confusione sul possibile ritiro sembra esserci anche tra l´altro alleato fedele di Bush, il governo britannico.
Così che mentre Blair ai Comuni si affannava a "chiarire" le parole del nostro primo ministro - «è stato frainteso: né il governo italiano né quello britannico hanno fissato la data per un eventuale ritiro delle truppe dall´Iraq. Abbiamo sempre detto che ce ne saremmo andati il prima possibile, ma solo quando le forze irachene sarebbero state in grado di garantire la sicurezza» - a Bruxelles il ministro degli Esteri di Sua Maestà Jack Straw annunciava che «la coalizione guidata dagli Stati Uniti riesaminerà a giugno il mandato della forza multinazionale, mandato che qualora non venisse rinnovato scadrà nel prossimo dicembre. Sarebbe quindi logico riconsiderare il livello delle truppe e il loro avvenire, e questo dovrebbe avvenire in autunno».
A Washington non intendono dare troppo peso alle polemiche in corso in Europa, vecchia o nuova che sia. Sanno che si tratta - «sia nel caso di Berlusconi che in quello di Blair», dice a Repubblica un alto funzionario del Dipartimento di Stato - di «necessità elettorali», con i due maggiori alleati degli Stati Uniti che si trovano alla vigilia di consultazioni elettorali in cui l´Iraq gioca un ruolo importante e in cui le opinioni pubbliche sono in maggioranza contro la guerra: «In questi due anni abbiamo imparato ad apprezzare la lealtà dei Londra e di Roma e quindi restiamo convinti che troveremo un accordo facilmente, tenendo conto prima di tutto delle necessità del popolo iracheno».
A riprova che le cose in Iraq non vanno poi «così male come sostengono gli oppositori della guerra», a "Foggy Bottom" sottolineano come sia molto più importante delle polemiche sul ritiro che proprio ieri si sia riunito per la prima volta il Parlamento (provvisorio) - eletto lo scorso 30 gennaio - che entro due settimane dovrebbe designare il premier incaricato di condurre il "nuovo Iraq" nel processo costituzionale; processo che da qui a dicembre dovrebbe trasformare (nelle intenzioni della Casa Bianca) il paese che fu di Saddam Hussein in qualcosa di molto simile a una democrazia.
Ieri George W. Bush ha ottenuto un altro (scontato) successo quando la Camera ha approvato un «pacchetto di emergenza» di 81,4 miliardi di dollari per la guerra e la ricostruzione in Iraq e in Afghanistan. Cifra che porta il totale del costo dei conflitti post-11 settembre alla cifra record di 300 miliardi di dollari.
Con 388 voti contro 43 - il che significa un forte appoggio non solo da parte dei deputati repubblicani ma anche di molti democratici - la House of Representatives ha dato a Bush quanto aveva chiesto (per l´esattezza un poco meno) lasciando prevedere che la misura possa passare facilmente anche al vaglio del Senato, il cui voto è previsto in aprile.
All´inizio di una delle sue più lunghe conferenze stampa dedicata principalmente alla politica interna (pensioni), la seconda domanda ha chiamato in causa il premier italiano e il ruolo dell´Italia in Iraq. Bush è tranquillo - «Ho chiesto a Berlusconi se fosse sicuro che potevo dire proprio questo ai giornalisti, che nulla è cambiato, e lui mi ha detto, assolutamente sì» - e il suo scambio di opinioni con Berlusconi gli serve per ricordare ancora una volta la posizione dell´America: «Le nostre truppe torneranno a casa quando l´Iraq sarà capace di difendersi da solo e questa è la posizione che riscontro parlando con i nostri alleati. Tutti i paesi della coalizione sono ansiosi di ritirarsi appena gli iracheni saranno in grado di difendersi, la stessa posizione degli Stati Uniti».
Vista dalla Casa Bianca l´annuncio televisivo di Berlusconi è una tempesta in un bicchiere d´acqua, con un paio di funzionari disposti a dire soltanto che «non c´è nulla da commentare», «non è successo proprio niente». La linea l´aveva dettata in mattinata, quando a Washington non era ancora l´alba, Condoleezza Rice. Il segretario di Stato in viaggio in Asia alle prese con problemi più seri di qualche sortita italiana (conflitto Pakistan-India, Corea del Nord, Cina-Taiwan) parlando con alcuni giornalisti al seguito a New Delhi non si era mostrata affatto preoccupata delle notizie che le agenzie rilanciavano da Roma: «Sono sicura, data la mia esperienza di lavoro con il governo italiano e la grande esperienza che c´è al ministero della Difesa italiano, che qualsiasi decisione gli italiani assumeranno sulle loro forze sarà pienamente coordinata con gli Usa in modo da non mettere a rischio la missione».
Se per l´amministrazione Usa quanto successo è un no problem, un po´ di confusione sul possibile ritiro sembra esserci anche tra l´altro alleato fedele di Bush, il governo britannico.
Così che mentre Blair ai Comuni si affannava a "chiarire" le parole del nostro primo ministro - «è stato frainteso: né il governo italiano né quello britannico hanno fissato la data per un eventuale ritiro delle truppe dall´Iraq. Abbiamo sempre detto che ce ne saremmo andati il prima possibile, ma solo quando le forze irachene sarebbero state in grado di garantire la sicurezza» - a Bruxelles il ministro degli Esteri di Sua Maestà Jack Straw annunciava che «la coalizione guidata dagli Stati Uniti riesaminerà a giugno il mandato della forza multinazionale, mandato che qualora non venisse rinnovato scadrà nel prossimo dicembre. Sarebbe quindi logico riconsiderare il livello delle truppe e il loro avvenire, e questo dovrebbe avvenire in autunno».
A Washington non intendono dare troppo peso alle polemiche in corso in Europa, vecchia o nuova che sia. Sanno che si tratta - «sia nel caso di Berlusconi che in quello di Blair», dice a Repubblica un alto funzionario del Dipartimento di Stato - di «necessità elettorali», con i due maggiori alleati degli Stati Uniti che si trovano alla vigilia di consultazioni elettorali in cui l´Iraq gioca un ruolo importante e in cui le opinioni pubbliche sono in maggioranza contro la guerra: «In questi due anni abbiamo imparato ad apprezzare la lealtà dei Londra e di Roma e quindi restiamo convinti che troveremo un accordo facilmente, tenendo conto prima di tutto delle necessità del popolo iracheno».
A riprova che le cose in Iraq non vanno poi «così male come sostengono gli oppositori della guerra», a "Foggy Bottom" sottolineano come sia molto più importante delle polemiche sul ritiro che proprio ieri si sia riunito per la prima volta il Parlamento (provvisorio) - eletto lo scorso 30 gennaio - che entro due settimane dovrebbe designare il premier incaricato di condurre il "nuovo Iraq" nel processo costituzionale; processo che da qui a dicembre dovrebbe trasformare (nelle intenzioni della Casa Bianca) il paese che fu di Saddam Hussein in qualcosa di molto simile a una democrazia.
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