Da La Repubblica del 26/03/2005

La procura ha concluso l´indagine sulla misteriosa scomparsa di Abu Omar, l´integralista egiziano sequestrato in Italia e "consegnato" in Egitto

Milano chiude l´inchiesta-Cia 12 agenti rischiano l´arresto

La "chiave di volta" è nei codici originali dei cellulari degli 007
Il caso annuncia una nuova crisi politica con gli Usa

di Carlo Bonini

ROMA - La Procura di Milano ha chiuso l´indagine sul sequestro del cittadino egiziano Hassan Mustafa Osama Nasr, meglio conosciuto come Abu Omar. E ne ha individuato i responsabili, della cui identità ritiene a questo punto di essere certa. Come riferito da un´inchiesta di Repubblica del 17 febbraio scorso, si tratta di una dozzina di agenti operativi della Cia, per i quali il pubblico ministero Armando Spataro si prepara ora a chiedere al giudice delle indagini preliminari Chiara Nobili una serie di ordinanze di custodia cautelare per sequestro di persona aggravato. «Forse cinque», ha scritto ieri con formula dubitativa il quotidiano il Foglio. «Un numero inesatto. Per difetto», osserva una qualificata fonte investigativa.

Ma se l´esito dell´affare giudiziario è in qualche modo scritto, quel che accadrà di qui ai prossimi giorni rimane al contrario volutamente avvolto in una qualche vaghezza. Sintomatica degli ostacoli che i provvedimenti di cattura si preparano ad incontrare, vista l´immunità di status che ne protegge i destinatari e che Washington si prepara a eccepire. Ma sintomatica anche della preoccupazione, che si raccoglie tra gli addetti, per un calendario politico che annoda le conclusioni dell´inchiesta su Abu Omar non solo e non tanto alla prossima scadenza elettorale amministrativa, quanto alla chiusura (attesa per la fine di questo mese) del lavoro della commissione di indagine mista sulla morte di Nicola Calipari.

I fatti di Milano, del resto, sembrano ormai sufficientemente definiti. Il rapporto conclusivo che la Digos ha consegnato alla Procura conferma le circostanze violente della scomparsa di Abu Omar da Milano il 17 febbraio del 2003: il suo trasferimento coatto, a bordo di un furgone, nella base militare americana di Aviano; le violenze subite durante l´interrogatorio notturno che ne ha preceduto il trasferimento, il 18 febbraio, all´aeroporto del Cairo, quando viene consegnato a quelle galere egiziane dove è tuttora detenuto. Né, la vicenda di Abu Omar appare oggi "anomala" alla luce del numero di identici casi svelati in quest´ultimo mese da una campagna di stampa internazionale che si è fatta insistente. Negli Stati Uniti (Newsweek, Chicago Tribune, Washington Post, New York Times, Los Angeles Times), come in Europa (Sunday Times, Libération). Parliamo del cosiddetto «programma di consegne straordinarie» («extraordinary rendition») autorizzato all´indomani dell´11 settembre dal presidente degli Stati Uniti e da allora condotto dalla Cia su scala mondiale. Con il sistematico sequestro di cittadini stranieri semplicemente «sospettati» di appartenere ad Al Qaeda e la loro consegna a «paesi terzi», come Egitto, Giordania, Siria, nelle cui galere sono stati altrettanto sistematicamente torturati.

A Milano, la Cia viene "tradita" da una catena di errori. Ma, ancor prima, dall´ostinazione di un magistrato, il giudice delle indagini preliminari Guido Salvini, che, nel maggio del 2004, sollecitando la prosecuzione delle indagini preliminari a carico di un gruppo di integralisti che si riteneva vicino ad Abu Omar, per primo mette per iscritto i dubbi che avevano segnato la scomparsa dell´egiziano più di un anno prima. «Il sequestro di Abu Omar - scriveva Salvini - potrebbe essere attribuibile a servizi di sicurezza stranieri» («Forse di un paese arabo», si ipotizzava allora). «In ogni caso - annotava il giudice - la circostanza configurerebbe un caso di "abduction" e di grave violazione della sovranità territoriale del nostro Paese (...) È evidente che è di estrema importanza chiarire gli esatti contorni di questo sequestro».

Pochi mesi dopo, nell´autunno del 2004, l´inchiesta su Abu Omar cambia di mano (il suo titolare, il pm Stefano Dambruoso, assume un incarico per le Nazioni Unite a Vienna e viene sostituito dal pm Armando Spataro) e conosce un´improvvisa accelerazione. Sviluppando i dati registrati il 17 febbraio 2003 dalla "cella" telefonica che copre via Guerzoni (il luogo dove l´egiziano è stato sequestrato), l´indagine afferra il bandolo della matassa. Scriveva Repubblica il 17 febbraio scorso: «La squadra operativa Cia pasticcia parecchio lasciando tracce ovunque. Lo stesso gruppo di cellulari è in via Guerzoni intorno alle 12. Gli stessi cellulari si muovono verso Aviano, poco dopo. Da quei cellulari partono telefonate al consolato americano e ad utenze della Virginia. Un cellulare di quel gruppo viaggerà fino al Cairo il giorno dopo. Dai cellulari si risale alle schede, dalle schede a dei nomi. Dai nomi, agli alberghi di Milano dove il gruppo ha alloggiato e all´agenzia di noleggio auto dove è stato preso in affitto il furgone per l´operazione...».

Ebbene, oggi, a indagine conclusa, il "pasticcio dei cellulari" regala qualche altro dettaglio significativo. Spiega come sia stato possibile dare ad ogni cellulare utilizzato dalla squadra Cia un nome. In quei giorni di febbraio del 2003, gli americani spediti a Milano dimostrano una sorprendente ignoranza o quantomeno leggerezza nell´uso dei telefoni. Per dirla con le parole di una fonte investigativa, «dimostrano di saperne meno di quanto ne sappia un ricettatore di casa nostra». Sono infatti convinti che, sostituendo le schede dei propri cellulari, si riescano a cancellare le tracce delle chiamate o, quantomeno, a confonderle. Ma non è così. Gli americani sembrano ignorare che ogni telefono cellulare ha un codice identificativo del suo hardware ("Imei", nel gergo tecnico) che lo rende "unico" e "visibile" a prescindere dalla scheda e dall´operatore telefonico che viene utilizzato. Per gli investigatori, dunque, una volta identificati i codici "Imei" dei cellulari presenti in via Guerzoni, il resto viene da sé. Così la Procura di Milano arriva ad Aviano, alle utenze della Virginia, al Consolato di Milano, al Cairo. Dove, se ha ragione il Chicago Tribune, il 18 febbraio 2003 atterra un Gulf Stream V di proprietà del padrone della squadra di baseball dei "Red Sox", aereo regolarmente affittato dalla Cia per le "operazioni di consegna straordinaria" e a bordo del quale non è dunque peregrino immaginare Abu Omar.

«Resta una domanda di fronte a tanta leggerezza - chiosa una fonte investigativa - Davvero gli americani non sanno come funzionano i cellulari a casa nostra? O, invece, era talmente sicuri del fatto loro che non hanno ritenuto necessarie particolari precauzioni? Magari perché qualcuno in Italia era stato avvertito?».

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