Da Il Messaggero del 06/04/2005

Canti e coperte, bottiglie d’acqua e rosari

di Gloria Satta

CANTI e coperte, bottiglie d’acqua e rosari, pane con la frittata e preghiere. Mezzanotte, le due, le cinque. Un esercito di sacchi a pelo, i passeggini incolonnati, gli stendardi. Il silenzio irreale che avvolge piazza San Pietro, coperta da un tappeto di plastica usata e cartacce, e quel cielo senza stelle che fa fatica a schiarirsi nell’alba. Ma che gente è mai questa, immobile in fila per ore senza mangiare, senza bere, senza protestare, senza telefonare, ingabbiata e felice dietro le transenne che segnano la strada per il paradiso? Non si rendono conto che è la Via Crucis? Da che pianeta provengono questi uomini e queste donne che non se la prendono con il governo ladro, non spintonano, non accusano il vicino di fare il furbo, ignorano il freddo, non discutono con i carabinieri che sono là per tenerli a bada ma hanno tutti un sorriso quasi affettuoso sulle labbra, e quando mai è stato così facile mantenere l’ordine pubblico?

La notte che porta dal Papa, sotto gli occhi del mondo che spia l’evento in diretta, è un’ammucchiata umana ai confini con l’esperienza biblica. Roma, città di Giubilei, beatificazioni e derby di fuoco e di massa, non ha mai vissuto nulla di simile. Centomila, quattrocentomila, seicentomila? Sono tanti, 300 al minuto, ventimila l’ora secondo la conta ufficiale delle forze dell’ordine. Si snodano a perdita d’occhio lungo via della Conciliazione, sulla piazza, dentro la Basilica gli orfani di Wojtyla. Affrontano la fila più lunga della vita per essere ammessi probabilmente per la prima, di certo per l’ultima volta, al cospetto del “Papa di tutti” che giace immobile, tutto vestito di rosso, sul catafalco dorato troneggiante al centro della Basilica.

Se la pazienza porta alla santità, buona parte di questa gente che aspetta all’addiaccio rischia la beatificazione. «Mi fa male la gamba», sussurra una signora anziana di Battipaglia che s’è avvolta la testa in un grande scialle a quadroni, «ma che volete che sia, rispetto alle sofferenze che ha patito lui?», e stoica si accuccia per terra senza abbandonare l’incolonnamento nel quale rimbombano di tanto in tanto gli applausi e qualche coro scandisce il nome di Giovanni Paolo II. Se la grande Storia è fatta di piccole storie individuali, un ruolo di primo piano non potrà essere negato a questa famigliola di Pisa, sbarcata a Roma col camper, papà autista di 35 anni, mamma giovane e graziosa, un bimbo di sei e l’altro di tre che se ne sta buono buono, con gli occhi spalancati, nel passeggino.

La lunga marcia verso il Papa è divisa in gironi, separati dalle transenne che periodicamente, con precisione svizzera, i carabinieri chiudono per disciplinare il flusso della folla. La prima transenna delimita il serpentone umano che si ferma all’imbocco della piazza. Il secondo girone è l’anticamera della fila vera e propria che immette nella Basilica. Quando conquisti il terzo, un lungo filo che sfocia dentro il portone di bronzo, sei arrivato al traguardo e solo pochi minuti ti separano dalle spoglie terrene di Sua Santità.

Quelli di Pisa, dopo quattro ore di attesa, stavano proprio per imboccare l’ultima tappa quando, come una mannaia, è scattata la transenna e gli altoparlanti hanno annunciato la pausa: dovrebbe essere dalle tre alle cinque, durerà solo fino alle quattro e venti del mattino. Per un soffio non ce l’hanno fatta, dovranno aspettare ancora, ma non protestano: «Ormai ci siamo, abbiamo portato da mangiare e panni caldi per i bambini. Resteremo qui tutto il tempo che serve», fa Luigi, il capofamiglia.

L’attesa produce automaticamente piccoli accampamenti spontanei. E’ un pio bivacco costellato di plaid, pic-nic improvvisati, pennichelle estemporanee, qualche chitarra. Voci sommesse, nessuno fuma, il cellulare serve solo come macchina fotografica. Le braccia veloci degli uomini della Protezione Civile, riconoscibili dai giubbotti rifrangenti, distribuiscono le coperte. Dal camion della Croce Rossa che ha messo a disposizione quattro, cinquemila pezzi, a raffica rotolano sul selciato gli scatoloni. Prima i bambini, poi gli anziani, quindi gli eventuali malati, ben pochi per la verità. Le bottigliette d’acqua minerale passano di mano in mano: ne sono già stati distribuiti 250.000 litri, per venerdì diventeranno un milione. Un ragazzo e una ragazza si addormentano abbracciati sotto il palco che ospita le telecamere di mezzo mondo.

C’è lavoro per le squadre di soccorso, itineranti tra la folla e piazzate nei punti strategici del raduno: nella notte si registra qualche “codice bianco”, al massimo verde, sono i cali di pressione di chi «ha fatto la scemenza di mettersi in fila senza mangiare né bere», spiegano sotto le tende-infermeria. Tiziano e Enrica, laureandi e infermieri volontari della nuova struttura Settore operativo per il soccorso di Roma, tengono sotto controllo la situazione e sognano aiuti per comprare il defibrillatore «in grado di fare un tracciato cardiaco a 12 derivazioni»: per ora devono prenderlo in prestito dal 118.

Sotto al colonnato di via della Conciliazione, davanti alle serrande abbassate dei negozi di souvenir religiosi, spuntano sacchi a pelo e thermos con il caffè. Finché la fila non si rimette in moto, la gente si concede un breve riposo. Ecco due coppie di Salerno. «I bambini sono rimasti in albergo con le tate, noi aspettiamo che riapra il portone», dice uno dei quattro, medico posturologo con moglie avvocato. La buttano sul sorriso: «Bel colpo pagare 400 euro per l’hotel e dormire sotto al colonnato...».

Quattro nonne di Guidonia si avvolgono nelle coperte e si sdraiano ai piedi di un obelisco. Laura promette di rimanere a oltranza, Giuliana si concede una sigaretta, Anna racconta: «I figli miei sono tutti innamorati di questo Papa, domani verrà da Pisa quella sposata». Una famiglia di Tor Tre Teste si è portata le sedie da casa. Secondo, il patriarca, impartisce lezioni di pazienza: «Non abbiamo fretta». Forse l’attesa non sarà eterna, vista la folla potrebbero decidere di abolire la pausa... «Impossibile, quando i preti si mettono in testa una cosa non cambiano idea. Ma noi aspetteremo, per il Papa si fa questo e altro». Emiliano ha 23 anni ed è venuto da Ascoli tutto solo: «Non sono eccessivamente religioso, mi hanno convinto le cronache tv». Francesco, ballerino di Senigallia, resterà fino all’alba con in corpo solo un cappuccino: «Vedere il Papa vale qualche piccolo sacrificio».

Alle 4 e venti un lungo applauso scandisce la riapertura del portone di bronzo. La processione ricomincia compatta e spedita, i fedeli entrano in chiesa in silenzio. Al di sopra delle teste, una selva di braccia tese brandiscono i telefonini che scattano foto. Uno dei venti “sanpietrini”, i custodi della Basilica che in queste ore fanno gli straordinari, i capelli domati dal gel, ha l’aria disfatta ma continua a disciplinare il flusso con efficienza e pazienza. Dentro, la coda punta verso l’altare maggiore e davanti alla salma di Wojtyla la gente è tenuta a sfilare in fretta. Molti si rifanno soffermandosi senza limiti di tempo davanti alla tomba di San Pio X.

Un gruppo della provincia di Napoli invoca in coro «scenda su di noi lo spirito delle beatitudini». Alcuni fedeli, stremati, si accasciano sui gradini dei confessionali. Il sanpietrino Luigi, addetto al guardaroba ai piedi della scalinata, sorride: «Giovanni Paolo II è stato un Papa grandissimo e ora questa affluenza non sorprende nessuno». Sono le sei e mezza, il serpentone fuori s’ingrossa ancora, l’alba sta per squarciare il cielo. Luigi continua a smistare borse, caschi e valigie, ed è convinto di fare il mestiere più bello del mondo.

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