Da La Stampa del 08/04/2005

Le urne e la finanza pubblica

Democrazia? Si esporta con le parole

di Luca Savarino

«Se mi si chiedesse il motivo di questa espansione della democrazia a livello mondiale, risponderei disegnando semplicemente un simbolo: quello di un´antenna parabolica per la Tv satellitare»: in un articolo, Anthony Giddens metteva in relazione l'affermarsi del principio democratico con lo sviluppo di una società della comunicazione globale, popolata di cittadini molto più attivi e più informati che non in passato. E' interesse delle sinistre europee, sosteneva Giddens, non lasciare alle destre la questione dell'estensione della democrazia a livello planetario.

Il rapporto tra sviluppo tecnologico, potere e democrazia è al centro dell'ultimo libro di Joseph S. Nye Jr, Preside della Kennedy School of Government dell'Università di Harvard ed ex consigliere di Bill Clinton per i problemi della sicurezza. In Soft Power. Un nuovo futuro per l'America (Einaudi), Nye riprende e articola le tesi già espresse nel suo fortunato Il paradosso del potere americano (Einaudi). Gran parte della scienza politica americana degli ultimi decenni ha compreso il potere in termini relazionali: avere potere significa possedere la capacità di influenzare le azioni di altre persone, ottenendo da essi un comportamento che spontaneamente non avrebbero compiuto. Una simile impostazione è riduttiva, poiché confonde il potere con la forza e lo pensa esclusivamente come hard power: potere militare ed economico. Nye intende mettere in luce un'altra dimensione del potere, spesso sottovalutata: il soft power nasce dalla possibilità di influenzare il comportamento altrui e di ottenere i risultati voluti senza esercitare alcuna costrizione o far uso del condizionamento economico. In politica «le parole contano»: la capacità di attrarre e di persuadere è altrettanto importante della coercizione. In questo senso, il soft power è legato alla capacità di condurre una politica estera credibile e legittima; gli strumenti con cui opera sono la cultura e i valori di un determinato paese: esempi sono il piano Marshall o gli studenti di Tien An Men che, per protesta, costruirono una copia della statua della libertà. Se l'errore dei realisti vecchia maniera è quello di considerare sufficiente un elemento del potere che è «solo» necessario, nell'ottica di un realismo superiore è importante ricordare che anche i valori possono rivelarsi indispensabili ai fini del mantenimento del potere stesso. Non a caso Nye cita Gramsci e la nozione gramsciana di egemonia. Il potere egemonico è qualcosa di più della semplice persuasione: esso si fonda sull'idea che l'ordine mondiale creato dagli Stati Uniti negli anni successivi alla guerra fredda sia legittimo e inevitabile.

Su un punto specifico le considerazioni di Nye si saldano con quelle di Giddens e investono i temi del dibattito in corso sull'attuale politica estera americana: per la sua natura immateriale, il soft power intrattiene uno stretto legame con la dimensione simbolica della politica. Esso diventa decisivo nell'epoca della comunicazione globale perché, a differenza dell'hard power, si fonda sul potere dell'immagine. Il terrorismo si combatte su un piano simbolico e diplomatico, oltreché militare: su questo terreno «la capacità di attrarre l'appoggio delle masse diventa essenziale almeno quanto quella di annientare la combattività del nemico». I problemi sorgono quando le due facce del potere si rivelano in contraddizione tra loro. E' il caso della guerra in Iraq: nelle prime settimane gli Stati Uniti hanno dato una grande dimostrazione di forza militare, ma hanno pagato un costo enorme in termini di soft power e il loro prestigio è calato. L'incertezza nelle giustificazioni del conflitto, l'unilateralità della decisione e lo scarso rilievo attribuito alle istituzioni internazionali hanno fatto aumentare il tasso di antiamericanismo nel mondo.

Il democratico Nye non esita tuttavia a riconoscere alcuni meriti dell'amministrazione Bush: l'enfasi «nel promuovere la democrazia in Medio Oriente suggerisce che essa comprende l'importanza che i valori rivestono in politica estera». Il movimento neoconservatore, ai suoi occhi, è erede della tradizione wilsoniana in politica estera, di cui fa propria l'attitudine a voler trasformare attivamente la situazione internazionale, mentre altri, come gli eredi di Hamilton o quelli di Jackson (tra cui Rumsfeld), preferiscono perseguire interessi nazionali e commerciali. I neocon hanno compreso che le fonti del soft power occidentale risiedono nella pratica e nella cultura democratiche e che l'unico principio di legittimità di un sistema politico ancora esistente nel mondo moderno è la democrazia - su questo punto, le posizioni di Nye non sono distanti da quelle di Fukuyama, un liberal avvicinatosi ai neocon, dai quali oggi torna a distinguersi.

Il loro limite consiste nell'avere abbandonato l'enfasi di Wilson sulle istituzioni internazionali come veicolo per la trasformazione dell'ordine globale. Il recente cambiamento nelle strategie dell'amministrazione americana si spiega con la necessità di bilanciare idealismo e realismo: è venuto il momento di recuperare il deficit di legittimazione internazionale e di «investire seriamente negli strumenti del nation building e della governance in alternativa alla forza militare».

Nel suo editoriale sulla Stampa del 27 Marzo, Boris Biancheri ha ricordato come la discussione sull'esportazione della democrazia che oggi investe la sinistra europea ed italiana abbia avuto inizio tra quegli intellettuali liberal americani che, in principio, avevano avversato la politica estera di Bush. All'interno di questo dibattito si comprendono la forza e la debolezza di un intellettuale atipico come Nye. Inizialmente il suo pensiero è stato interpretato come una critica radicale alle posizioni di coloro che, come Rumsfeld, o Kristol, non hanno saputo adeguatamente far uso del potere di seduzione del modello americano, mentre ora viene attaccato da chi (è il caso di Anatol Lieven, autore di Giusto o sbagliato è l'America, Sperling & Kupfer, da pochi giorni in libreria) vede nella battaglia per la democrazia semplicemente la vittoria dei repubblicani e accusa il soft power di non essere altro che una versione addolcita dell'esportazione del «credo americano» nel mondo.

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