Da La Stampa del 07/11/2003

Il federalismo e l'indebitamento degli enti locali ma quanto ci costi...

di Michele Ainis

Le agenzie di rating hanno lanciato l'allarme, Il Sole-24 Ore ieri ci ha montato sopra tre pagine d'inchiesta: il debito degli enti locali è ormai fuori controllo, Regioni, Province e Comuni tutte insieme hanno firmato una cambiale da 120 miliardi di euro, che da sola corrisponde al 9,5% del prodotto interno lordo. Rischio Argentina? I pessimisti dicono di sì. Ma anche a non fasciarsi da subito la testa, alcuni dati sono di per sé eloquenti. Cresce la spesa per i servizi locali, in particolare trasporti e sanità. Mancano leggi che mettano un argine all'indebitamento, e dunque lievitano i mutui e i prestiti obbligazionari contratti dagli enti territoriali (nel 2002 per i Comuni il 10% in più rispetto al 1999, per le Regioni un balzo in avanti del 40%). Diminuiscono le risorse trasferite dallo Stato (per dirne una, 80 milioni di euro in meno al Comune di Napoli tra il 2002 e il 2003, pari al 10% del totale). Aumentano altresì le competenze devolute alle molte periferie della Repubblica (e così per esempio i 700 mila immigrati regolarizzati dalla Bossi-Fini significano un costo sanitario di 950 milioni di euro per le esangui casse regionali). Da qui due corollari.

Primo: dove c'è potere dev'esserci responsabilità. Succede viceversa che nella fattispecie sia oltremodo arduo ravvisare un colpevole con nome e cognome. Non il governo centrale, pressato dalle ristrettezze finanziarie derivanti dalla caduta dei mercati e dai vincoli posti dall'Unione europea, che rendono le principali scelte di politica economica altrettante decisioni a rime obbligate. Non governatori e sindaci, i quali dovranno pur assicurare ai propri amministrati un minimo d'efficienza nei servizi (e secondo l'Imd World Competitiveness Yearbook nell'ultimo anno l'Italia ha già perso 5 punti in classifica, quanto alla resa del settore pubblico). È la tragedia del nostro tempo globalizzato: il potere si è disperso, è trasmigrato in un altrove rispetto ai santuari delle istituzioni, è diventato invisibile e remoto.

Secondo: il federalismo reclama regole chiare, nonché strumenti per farle concretamente rispettare. Ma la riforma varata dall'Ulivo addossa ulteriori competenze agli enti territoriali, senza dotarli di adeguate risorse finanziarie. Sopprime i trasferimenti statali per il finanziamento del trasporto pubblico e della spesa sanitaria. Non specifica la quota di tributi erariali che lo Stato può e deve girare alle autonomie locali. Menziona l'esigenza di coordinare la finanza statale con quella regionale e comunale, evitando però di stabilirne i modi, le procedure, i tempi. Dal canto suo, l'attuale maggioranza di governo si è ben guardata dall'attuare quel poco di decentramento che rimane iscritto nelle tavole costituzionali dopo la riforma; e intanto ha già annunziato l'impossibilità di far decollare dal 1° gennaio 2004 il federalismo fiscale promesso da una legge del 2000. Come dire? Dal federalismo fiscale al federalismo verbale.

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