Da Corriere della Sera del 01/05/2005

«La pattuglia sparò per gli errori degli italiani»

In 42 pagine piene di omissis il Pentagono assolve i dieci soldati al primo giorno di servizio

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Ancora una volta il Pentagono ha anticipato la giustizia italiana pubblicando all'improvviso il suo rapporto sulla morte di Nicola Calipari il 4 marzo scorso. Il rapporto è un documento di 42 pagine, molte delle quali annerite, ossia censurate, senza i nomi dei soldati Usa protagonisti della tragedia. Come indicato, assolve il posto di blocco da ogni responsabilità, addossandola per intero al nostro agente e al suo collega, che non avrebbero informato i comandi americani del loro arrivo, soprattutto non si sarebbero fermati ai segnali di alt.

Contiene alcune rivelazioni: a esempio che la pattuglia Usa al checkpoint 541 («al primo giorno di servizio») era formata da 1 capitano, 2 sottotenenti, 4 sergenti, 3 soldati semplici. E ricostruisce la sparatoria, secondo per secondo. Ma più che d'inchiesta il rapporto sa di giustificazione dell'operato dei militari americani, e non sorprende che il governo Berlusconi abbia rifiutato di firmarlo. Non a caso il generale George Casey, la suprema autorità Usa in Iraq, ha cercato di addolcirlo con questa dichiarazione: «Ogni giorno i soldati italiani ci danno un significativo contributo di sicurezza. Siamo orgogliosi di lavorare al loro fianco».

Il cruciale documento, che incomincia con espressioni di «profondo cordoglio» per la famiglia Calipari e termina con l'asserzione che «un migliore coordinamento degli italiani con noi avrebbe potuto evitare la tragedia», ammette alcune «limitazioni» dell'inchiesta. Il suo autore, il generale Peter Vangiel, che raccomanda di non prendere misure contro la pattuglia, «perché osservò le regole d'ingaggio», rileva che dopo un primo sopralluogo l'auto venne spostata, e che attentati terroristici nella zona impedirono di ricostruire con precisione la traiettoria dei proiettili.

Sottolinea anche che, a differenza dei soldati americani, il compagno di Calipari e Giuliana Sgrena «non fecero dichiarazioni sotto giuramento», come a metterne in dubbio le parole. Ma a parere di Vangiel e del suo superiore, il generale John Vines, comandante delle operazioni, queste e altre carenze non snaturano il rapporto.

Il documento si fa drammatico con il secondo capitolo, «L'atmosfera» (a Bagdad). Ricorda che in Iraq dal luglio 2004 allo scorso marzo si registrarono ben 15.257 attacchi contro gli Usa, e che furono dispiegati circa 50.000 pattuglie e 5.237 blocchi stradali. Precisa che l'inchiesta ha toccato altri sei punti importanti: l'azione dei soldati che fecero fuoco, il loro addestramento, la procedura ai posti di blocco, le tattiche del nemico, la dinamica dell'incidente, il mancato coordinamento italiano.

Analisi che conferma l'intento di scagionare la pattuglia, illuminandone sia la professionalità sia la condizione psicologica, che nella parte finale diventa un doloroso racconto della straziante morte di Calipari.

È probabile che qui gli inquirenti italiani traccino un quadro diverso dal rapporto del Pentagono. Stando a Vangiel, Calipari e il collega «ignorano che sullo svincolo per la Route Irish, la via per l’aeroporto così pericolosa da essere chiamata «autostrada della morte», è stato eretto un posto di blocco per il passaggio di un vip (il documento non lo rivela, ma è l’allora ambasciatore americano John Negroponte). La loro auto imbocca la rampa a 70-80 km all’ora, velocità che la farebbe uscire di strada secondo i soldati. Uno di essi, appostato su un automezzo sul ciglio, con un faro e una mitraglia in pugno, e il sergente sulla torretta dell'autoblindo la vedono a circa 140 metri di distanza. Hanno già fermato 20-30 veicoli, ma l'auto pare volere continuare.

Il soldato lampeggia, il sergente punta un laser verde. Invano. Il soldato esplode 2-4 colpi a terra. L'auto non rallenta, a bordo, proclama il rapporto, «c’è eccitazione e tensione», il guidatore è al cellulare, la luce interna è accesa, il finestrino abbassato. L'auto supera il limite d'allerta. Il soldato lascia cadere il faro, e a due mani spara. Il guidatore, che sta parlando con un compagno all’aeroporto, urla: «Ci stanno attaccando». Invano il soldato, resosi conto del terribile errore, soccorre Calipari: l’agente spirerà di lì a poco.

Sull’auto, dice il rapporto, ci sono i fori di 11 proiettili, 3 di fronte, 2 sui finestrini, 6 di fianco e di dietro. Tutti provengono da una sola arma e da un solo punto. «È improbabile che l’auto sia stata colpita dopo essersi fermata», conclude il documento. Unica morale per il Pentagono: modificare le regole d'ingaggio. In che modo? Su questo punto, le pagine sono annerite.

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