Da La Stampa del 11/05/2005
Troppi costi per l’economia
di Tito Boeri
Qualunque sia la conclusione di questa interminabile trattativa sul rinnovo dei contratti pubblici, gli aumenti effettivi saranno superiori a quelli pattuiti. Come ha ricordato la Corte dei Conti, le amministrazioni pubbliche violano sistematicamente i vincoli mediante la contrattazione integrativa territoriale, le promozioni interne e le competenze accessorie. Anche i blocchi alle assunzioni nel pubblico impiego vengono disattesi facendo lievitare la spesa del personale al di sopra dei tetti programmati. Non a caso, dopo le prestazioni sociali, la spesa per il personale è stata la componente di spesa pubblica cresciuta di più in termini reali negli ultimi quattro anni.
Siamo oggi alla vigilia dell’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese e si parla sempre più di una manovra correttiva. Ogni euro in più dato ai dipendenti pubblici (costa circa 60 milioni in più per le casse dello Stato) dovrà essere tolto ad altri provvedimenti, quali le riduzioni dell’Irap, utili al rilancio della nostra economia. E un governo che oggi non si dimostri capace di tenere sotto controllo una dinamica della spesa corrente destinata a darci i conti pubblici peggiori da dieci anni a questa parte può innescare una reazione a catena di investitori che ci sfiduciano facendo aumentare gli oneri sul nostro debito pubblico.
Uno dei vantaggi di avere un sistema di contrattazione salariale centralizzato è il fatto che le organizzazioni dei lavoratori sono in condizione di tenere conto dei vincoli macroeconomici, primo fra tutti quello del bilancio pubblico. Eppure i sindacati in questo caso non sembrano voler tenere conto del grave stato dei conti pubblici. Sono più attenti alle richieste di una buona fetta dei loro iscritti. Chiediamoci perché siamo arrivati a questa situazione. Tre le possibili spiegazioni.
In primis, il governo paga l'errore di aver favorito lo smantellamento del Patto di Stabilità e Crescita. Se il vincolo del 3% fosse stato ancora lì a legare le scelte di bilancio, l’esecutivo avrebbe avuto molta maggiore capacità di resistenza al tavolo della contrattazione. Il secondo motivo è che il contratto dei pubblici dipendenti è stato in questa legislatura nuovamente politicizzato, dopo il tentativo fatto con la costituzione dell’Aran di creare un filtro tecnico fra esecutivo e contrattazione, mantenendo anche un legame con i contratti nel settore privato. Quando il vicepresidente del Consiglio tre anni fa ha incassato il dividendo politico di concedere in prima persona un forte aumento degli stipendi pubblici, ha di fatto spianato la strada alle attuali rivendicazioni salariali più alte che per gli altri dipendenti privati. Perché, e questo è il terzo fattore, far slittare la chiusura del contratto dal 2004 in poi si è rivelato una scelta miope. Siamo oggi alla vigilia di una nuova tornata elettorale, il momento più propizio per i lavoratori pubblici per strappare concessioni maggiori alla controparte. E’ questo il cinismo della contrattazione.
E’ importante imparare da questi errori. La prima cosa da fare sarebbe quella di rinnovare subito il contratto per il prossimo biennio e procedere verso un graduale allungamento della durata dei contratti. Il rischio altrimenti è quello che il pubblico impiego rimanga un terreno di contrattazione permanente. E' una condizione che non fa bene a nessuno, ai dipendenti pubblici, ai sindacati, ai governi che si succederanno e ai conti della pubblica amministrazione, quindi a tutti i contribuenti.
Siamo oggi alla vigilia dell’apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese e si parla sempre più di una manovra correttiva. Ogni euro in più dato ai dipendenti pubblici (costa circa 60 milioni in più per le casse dello Stato) dovrà essere tolto ad altri provvedimenti, quali le riduzioni dell’Irap, utili al rilancio della nostra economia. E un governo che oggi non si dimostri capace di tenere sotto controllo una dinamica della spesa corrente destinata a darci i conti pubblici peggiori da dieci anni a questa parte può innescare una reazione a catena di investitori che ci sfiduciano facendo aumentare gli oneri sul nostro debito pubblico.
Uno dei vantaggi di avere un sistema di contrattazione salariale centralizzato è il fatto che le organizzazioni dei lavoratori sono in condizione di tenere conto dei vincoli macroeconomici, primo fra tutti quello del bilancio pubblico. Eppure i sindacati in questo caso non sembrano voler tenere conto del grave stato dei conti pubblici. Sono più attenti alle richieste di una buona fetta dei loro iscritti. Chiediamoci perché siamo arrivati a questa situazione. Tre le possibili spiegazioni.
In primis, il governo paga l'errore di aver favorito lo smantellamento del Patto di Stabilità e Crescita. Se il vincolo del 3% fosse stato ancora lì a legare le scelte di bilancio, l’esecutivo avrebbe avuto molta maggiore capacità di resistenza al tavolo della contrattazione. Il secondo motivo è che il contratto dei pubblici dipendenti è stato in questa legislatura nuovamente politicizzato, dopo il tentativo fatto con la costituzione dell’Aran di creare un filtro tecnico fra esecutivo e contrattazione, mantenendo anche un legame con i contratti nel settore privato. Quando il vicepresidente del Consiglio tre anni fa ha incassato il dividendo politico di concedere in prima persona un forte aumento degli stipendi pubblici, ha di fatto spianato la strada alle attuali rivendicazioni salariali più alte che per gli altri dipendenti privati. Perché, e questo è il terzo fattore, far slittare la chiusura del contratto dal 2004 in poi si è rivelato una scelta miope. Siamo oggi alla vigilia di una nuova tornata elettorale, il momento più propizio per i lavoratori pubblici per strappare concessioni maggiori alla controparte. E’ questo il cinismo della contrattazione.
E’ importante imparare da questi errori. La prima cosa da fare sarebbe quella di rinnovare subito il contratto per il prossimo biennio e procedere verso un graduale allungamento della durata dei contratti. Il rischio altrimenti è quello che il pubblico impiego rimanga un terreno di contrattazione permanente. E' una condizione che non fa bene a nessuno, ai dipendenti pubblici, ai sindacati, ai governi che si succederanno e ai conti della pubblica amministrazione, quindi a tutti i contribuenti.
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