Da Corriere della Sera del 13/05/2005

Tutti i governatori del «Sud rosso» a sostegno di Bianco: «Prodi traghettatore, poi noi»

Centrosinistra, da Catania la lega dei cinquantenni

di Aldo Cazzullo

CATANIA - La situazione precipita. A Palermo il presidente della Sicilia Cuffaro annuncia dimissioni anticipate a inizio febbraio, per far sì che le regionali si tengano prima delle politiche ed evitare di essere travolto dal crollo. A Catania i maggiorenti del centrodestra dicono che la mossa potrebbe non bastare, e si raccontano la telefonata del vicecoordinatore di Forza Italia Cicchitto ricevuta da uno di loro: se si perde, il partito unico è rinviato alla prossima legislatura, Berlusconi potrebbe impostare il Dpef con nuovi tagli fiscali a giugno, dimettersi e preparare le elezioni a ottobre.Ma forse la telefonata è solo una pressione su alleati non proprio sconvolti da una sconfitta di Scapagnini che accelerasse l’implosione di Forza Italia. Accade di tutto. Berlusconi, dopo aver imposto la ricandidatura del suo medico e aver trascorso il weekend a Catania, degrada il voto da «madre di tutte le battaglie» a «fatto locale». Bianco denuncia: «Stanno comprando i consensi nei quartieri popolari, a Librino e a Trappeto Sud, non solo in denaro ma anche con buoni-premio per ritirare lavatrici e lavastoviglie. Stiamo cercando di scoprire il negozio che tiene il sacco per segnalarlo alla polizia». E da tutto il Mezzogiorno i presidenti delle Regioni uliviste si portano a Catania. «Il Sud che vince» è lo slogan della manifestazione con cui Bianco stasera chiude la campagna. Nessun segretario di partito: Bertinotti parlerà da solo in piazza Manganelli, propizia sin dal nome agli show catanesi di Almirante negli anni Settanta. Con Bianco saranno solo i presidenti delle Regioni del Centro-Sud: Soru, Bassolino, Del Turco, Marrazzo, Loiero. Manca Nichi Vendola: «Devo fare da testimone a un matrimonio. Peccato perché amo Catania, punto di fuga dell'entroterra, città di orizzonti, una porta in fondo alla Sicilia profonda…». Ci sarà invece il protovendola Rosario Crocetta, sindaco comunista e omosessuale di Gela, pronto a sfidare Latteri e D’Antoni alle eventuali primarie per il candidato alla presidenza della Sicilia. E Walter Veltroni («porta buono - dice Bianco - venne già nel ’93 da direttore dell’Unità a chiudere la mia campagna quando andai al ballottaggio con Fava»), che invita a concentrarsi su Catania: «I significati nazionali si vedono meglio da lontano - sostiene Veltroni -. Adesso pensiamo a far vincere Enzo, che riapra la grande stagione di Catania, gemella della primavera di Palermo di Leoluca Orlando».

Il primo però a vedere nell’incontro di stasera - «una sorta di talk-show» - un segno per il futuro è proprio Bianco. «Il centrosinistra ha già vinto dappertutto. Ora l’onda deve arrivare pure in Sicilia. Ma questo non significa che il Sud sia rosso. Il Sud ha decretato la sconfitta di Berlusconi, e ora chiede a noi di cambiare. La sinistra italiana per certi versi è ancora troppo classista e troppo poco liberale». Ma la svolta difficilmente arriverà dal governo centrale. «Prodi erediterà un paese scassato. Dovrà ricomporre la frattura, ad esempio lasciando la presidenza della Camera all’opposizione e riformando la legge elettorale con il doppio turno. Prodi sarà il traghettatore. Ma la vera svolta, come quella che ha impresso Blair alla Gran Bretagna, sarà per la prossima legislatura. E dovremo farla noi cinquantenni. Nel frattempo da sindaci e presidenti di regione la dovremo anticipare, magari per poi portarla a Roma. Saremo i primi a introdurre le innovazioni indispensabili alla politica sociale ed economica. Coinvolgendo gli imprenditori. Creando i distretti, come l’Etna Valley, un’area da due milioni di persone. E costruendo insieme nuove strutture». Bianco non pensa a un partito, ma a un movimento. «Una rete che vada oltre le sedi istituzionali come l’Anci e la Conferenza Stato-Regioni, che ci tenga insieme, crei una classe dirigente, impedisca smottamenti del centrosinistra come quello del 2001».

«Lo smottamento adesso è a destra. E mi preoccupa - dice Antonio Bassolino -. A Catania Bianco fa bene a muoversi oltre lo schema destra-sinistra. Ma la frana è tale da mettere in pericolo il bipolarismo. In poche settimane ha votato l’intero Paese. Dopo il 12 a 2, si sono espresse anche la Val d’Aosta, Trento, Bolzano, la Sardegna; il risultato è lo stesso ovunque. Siamo al punto che la vittoria è possibile non solo a Catania, ma pure a Milano. Il rigetto di Berlusconi ci carica di una grande responsabilità; c’è un forte investimento politico su di noi, dobbiamo preparare una risposta all’altezza».

Ma Catania può essere già decisiva per le sorti di Berlusconi? Vendola non ne è convinto: «I voti amministrativi sono tutti nazionali. Si diceva: se Berlusconi perde la Calabria… se perde la Puglia… ora: se perde la Sicilia… ma non è che se per disgrazia non perde Catania poi è destinato a vincere le politiche. È ovvio che speriamo che dal Sud soffia un vento che arrivi oltre lo Stretto». Ottaviano Del Turco sostiene invece che il rimbalzo nazionale ci sarà, e la retromarcia di Berlusconi è tardiva perché il presidente del Consiglio si è spinto troppo avanti: «Il voto di Catania non dovrebbe essere un referendum su Berlusconi, ma di fatto lo è diventato. Quando Prodi sente il premier parlare di "madre di tutte le battaglie" e dice che gli scappa da ridere, coglie un’esagerazione che nel frattempo è divenuta vera: se Berlusconi perde è ancora più nei guai, ma se anche vince non può dire "tana liberi tutti"». Catania è decisiva non solo perché il sindaco da rieleggere è il medico del premier da lui imposto agli alleati, ma anche perché è Sicilia, è Sud: «Berlusconi ha sempre considerato il Mezzogiorno come il terreno più ricettivo al suo populismo - dice il presidente dell’Abruzzo -. Tuttora sembra convinto che le culture meridionali siano in linea con la sua visione personale e plebiscitaria della politica. Ma le cose stanno cambiando molto in fretta. Del resto il Sud ha deciso tutte le elezioni dal ’94 ad oggi: nel Lombardo-Veneto il blocco di Forza Italia e della Lega è sempre stato maggioritario, anche quando era diviso; qui invece il voto fluttua, cambia, orienta il resto del paese».

Alla calata degli ulivisti. Scapagnini oppone un comizio finale con Fini, sondaggi che registrano una leggera rimonta collegata alla visita di Berlusconi, e il ritorno della moglie Elena, detta in città Platinette o Barbie, che nel momento critico è ridiscesa in campo in assenza della rivale brasiliana Surama. «Ma anch’io sarò a Catania», dice l’unico governatore del Sud non invitato da Bianco: Cuffaro. A sostenere Scapagnini, il suo amico Lombardo, o il suo partito, l’Udc? «Io in Sicilia sono il capo della coalizione, vado da chiunque mi chiami. Prevedo un grande risultato di Lombardo ma resto nell’Udc, nella speranza di ritrovarci tutti nel partito popolare europeo. La Sicilia è un’isola complessa, forse Casini e Follini non l’hanno capita sino in fondo. Ma si stanno sforzando. Secondo me a Catania si vince, perché la nostra coalizione è molto più forte della loro. Ma se anche si perdesse sarebbe un errore chiedere un cambio di leader, e non credo che Casini e Follini lo faranno. Anziché con Berlusconi, se la prendano piuttosto con noi siciliani». Quindi sarà lei a non ricandidarsi? «La mia volontà di ricandidarmi è manifesta. Dimettendomi a febbraio farò in modo che le regionali si tengano ad aprile, un mese prima delle politiche; e dalla Sicilia verrà l’inversione di tendenza». Non teme per la sua vita, come farebbe Bianco al suo posto? «Bianco mi ricorda la volpe della fiaba; l’unica differenza è che per lui l’uva non è acerba ma pericolosa». E per lei? «Io accetto questa pericolosità per amore della Sicilia e dei siciliani».

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