Da Corriere della Sera del 13/05/2005

L’ex coordinatore Carollo dà vita a un gruppo consiliare anti Galan: «C’è una caccia ai dc»

Veneto, rivolta «democristiana» in Forza Italia

di Gian Antonio Stella

«Ormai c’è la caccia ai democristiani, come un tempo agli ebrei». Bum! A questo punto è la rissa intestina dietro i bei cieli azzurri berlusconiani? Gettato il sasso, Giorgio Carollo, il coordinatore forzista del Veneto appena rimosso, ritira la mano: «Meglio se sto zitto». Certo è che in una delle ultime due roccaforti di Forza Italia si è aperta una crepa solo poche settimane fa impensabile. La prima, nella storia del partito dominato dal «centralismo carismatico» del Cavaliere. Una crepa che rischia di allargarsi fino a mettere in pericolo, pare impossibile, perfino la formazione della giunta che avrebbe dovuto nascere questa settimana sotto la guida di Giancarlo Galan.

Il quale Galan col premier l'ha messa giù durissima: «O io o lui». L'ha vinta. Però...

Ma partiamo dall'inizio. Cioè dai due galli che da anni razzolano nel pollaio azzurro veneto: Galan e Carollo. Due galli fatti apposta per non intendersi. Il primo è un padovano cresciuto dentro la microcorrente di Alfredo Biondi del Pli, il secondo è un vicentino che pigolò tra i pulcini di Mariano Rumor, il leader doroteo di quella Dc che nella città berica più ancora che nel resto del Paese era la Mamma chioccia che gestiva il potere dando da becchettare a tutti. Il primo, dopo le delusioni liberali, era rimasto per anni alla larga dalla politica per lasciarsi travolgere solo nel 1994 dal progetto di Berlusconi. Il secondo, all'arrivo del Cavaliere sedeva già da una quindicina di anni in Consiglio regionale ed era già stato assessore. Il primo, nell'altra vita, faceva il promotore a Publitalia. Il secondo, nei momenti di vuoto, ha fatto il dirigente all'Usl, il presidente dell'Azienda foreste e un mucchio di altre cose tutte legate al sottobosco del potere. Insomma, due mondi estranei l'uno all'altro. Tanto più che il governatore non ha mai risparmiato le frecciatine agli eredi della Dc e l'ex coordinatore di questa eredità, al contrario, mena vanto.

Non bastasse, non si intendono neppure nella sfera privata. E se Galan, detto «il Galan Grande», è un uomo ghiotto di tutti i piaceri della vita che ama le auto sportive e le serate conviviali dove intonare il « Gaudeamus igitur » (« Vivant omnes virgines / Faciles, formosae !»), Carollo passa per un professionista rudemente interessato soltanto al gioco della politica, alle strategie della politica, al potere che dà la politica. E se Giancarlo ama la pesca in mare (darebbe un assessorato per un tonno da primato), Giorgio preferisce la montagna e gli scarponi.

Fino a qualche anno fa, come capita, pareva che proprio questa diversità potesse esser il collante. E che l'accordo stretto nell'autunno del 1998, quando il Cavaliere aveva affidato a Carollo una Forza Italia che in province come Treviso era scesa al 10% (compresi i voti del Ccd!), potesse essere eterno: a uno la Regione, all'altro il partito. Un partito, si pavoneggia Carollo, «portato da 7 a 35 mila iscritti, da zero a 400 sedi comunali». E trasformato da cartello elettorale tutto centrato sul sorriso panoramico di Sua Emittenza in una struttura vera. Radicata sul territorio. Che raccogliesse i voti che in anni non lontani erano andati allo Scudo crociato.

Fatto sta che a un certo punto l'uno ha preso a non sopportare l'altro. Ed è partita la gara per dimostrare: io conto di più. Gara che, accantonati i compromessi (come quello che vide la patta sulle rispettive segretarie: la galaniana Lorena alla Camera, la carolliana Barbara in Regione), si è fatta spietata. Al punto che alle ultime Regionali ognuno ha cercato di far le scarpe ai candidati dell'altro. Guerra vinta da Carollo: «Tolti i socialisti, uno che sta per conto suo e il listino, dove Galan aveva piazzato un po' dei suoi come Elisabetta Gardini, su 12 consiglieri eletti alle urne noi ne abbiamo presi 7 (quasi 8, per soli 200 voti) e Galan 2». E' lì che è stata accesa la miccia. Quando il governatore ha chiesto in via preliminare che tutti gli assessori forzisti, appena nominati, si dimettessero. Bravo furbo, gli ha risposto Carollo: così tu metti tre o quattro dei miei, fai subentrare i tuoi che non sono stati eletti e appena puoi ti liberi dei miei.

Il braccio di ferro, sotto gli occhi degli elettori di destra esterrefatti per lo spettacolo dato da una maggioranza sulla carta imbattibile, con 39 consiglieri contro 21 dell'opposizione, va avanti da settimane. Con le due fazioni a rinfacciarsi i reciproci dispetti. I carolliani a denunciare i galaniani che non si erano fatti vedere alla tradizionale riunione degli eletti. I galaniani a rispondere che erano stati i carolliani a marcar visita la sera che il governatore aveva invitato tutti a cena in un ristorante sui colli. Per non dire dello scontro sulla «vittoria mutilata». Cioè la vittoria alle Regionali guastata da un calo forzista di 8 punti. Colpa della guerra intestina, per Galan. Colpa di tante strategie sbagliate, per Carollo: «Se non ci fossimo stati noi ex democristiani allora sì che saremmo finiti come in Calabria. La verità è che siamo stufi di scelte calate dall'alto. Fossero scelte vincenti, almeno! Fossero dei maghi! Ma sono perdenti. Votando oggi il centrodestra avrebbe 122 deputati meno del centrosinistra. Il punto è: stiamo andando a picco».

La resa dei conti è arrivata l'altra mattina. Quando Galan, saputo che la sera prima il rivale era quasi riuscito a convincere il Cavaliere a lasciarlo dove stava o almeno a rimpiazzarlo con Aldo Brancher, ha afferrato il cellulare per una telefonata di fuoco. In pratica, avrebbe spiegato lo stesso presidente del Consiglio ai deputati veneti vicini a Carollo, il governatore non gli ha lasciato scelta: «Se non cambiavo il coordinatore avrebbe fatto una conferenza stampa di lì a poco e avrebbe annunciato l'uscita da Forza Italia». Un «ricatto», ha sospirato. Al quale lo stesso Brancher gli avrebbe detto di rispondere a brutto muso: «Caro presidente, quando telefonerai a Galan, non devi dargli dei consigli ma degli ordini, come lui si è permesso di fare con te». E chi ti nomina, Sua Emittenza, come nuovo responsabile azzurro? Niccolò Ghedini. Che agli occhi dei rivoltosi, al di là di ogni giudizio sull'opportunità di piazzare l'avvocato difensore, è uno che di organizzazione del partito sul territorio sta a zero.

Come andrà a finire? Boh... Per ora Carollo e tutti i «suoi» 7 consiglieri regionali si sono sospesi da partito. Cosa vuol dire? «Che siamo fuori» spiega l'ex coordinatore, «Che discuteremo con Galan come discute un altro partito». L'idea sarebbe di dare vita «a nuovo intergruppo che si richiami al Ppe, con grandi ambizioni». «Sarebbe»: il condizionale è d'obbligo, con chi è figlio di Rumor e di Bisaglia. Se è vero che la rivolta è stata ieri appoggiata da «migliaia di fax di protesta, tessere stracciate, dimissioni a raffica, telefonate invelenite», la cosa potrebbe scappare di mano a tutti. E allora sì, la crepa potrebbe far crollare quella che pareva una rocca inespugnabile.

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