Da La Repubblica del 04/06/2005

Dalle perizie italiane un duro colpo alla ricostruzione Usa

Calipari, tre armi spararono sulla Toyota

di Claudia Fusani

ROMA - Contro l'auto su cui viaggiavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena hanno sparato almeno tre armi diverse. Non solo: il foro d'ingresso di un proiettile nel cerchione della ruota anteriore destra dimostrerebbe che la Toyota è stata colpita «mentre stava girando a destra», probabilmente all'uscita della terza barriera jersey, dopo un doppio zig zag e prima di entrare nel rettilineo. Insomma, una macchina che poteva giusto andare a quaranta all'ora o poco di più e che ancora non aveva superato la linea di allerta «oltre la quale sarebbe scattato l'atteggiamento ostile del mezzo».

Dopo un mese di analisi di laboratorio i periti nominati dalla procura della Repubblica e quelli delle parti offese, Giuliana Sgrena e la vedova di Nicola Calipari, incaricati di ricostruire la dinamica della sparatoria avvenuta sulla Irish route di Bagdad la sera del 4 marzo, stanno arrivando a una verità diversa da quella data per certa e blindata dalla Commissione Usa del generale Peter Vangjel. Il rapporto americano, infatti, ruotava intorno ad alcune certezze: che quella sparatoria era stata un incidente, che aveva sparato un solo soldato americano in servizio al posto di blocco 541, il mitragliere Lozano, e che l'auto non aveva rispettato i segnali di alt ripetutamente lanciati dalla pattuglia. Microscopi e analisi balistiche stanno raccontando una storia diversa.

Nell'auto, dal 5 maggio custodita ed analizzata dagli esperti nel balipedio della Direzione centrale anticrimine, sono stati trovati ed estratti, spiega un investigatore, «frammenti di proiettili di almeno tre calibri diversi». Il 26 maggio il Manifesto aveva rivelato che «nella Toyota era stato trovato un calibro 5,56 sparato probabilmente da un fucile mitragliatore come l'M16, e diverso dal 7,62 che ha ucciso Calipari». Fu, quella, la scoperta di Domenico Compagnini, perito dell'avvocato Gamberini, legale di Giuliana Sgrena. Nei giorni successivi tutto il collegio dei periti ha condiviso quell'accertamento a cui se ne deve aggiungere un altro, recentissimo. «Dalla macchina - ha spiegato un investigatore - è stato estratto un altro frammento che dai primi esami sembra ancora diverso rispetto agli altri due». Ulteriori comparazioni potranno dire, nei prossimi giorni, di quale calibro. Tre armi quindi. E non una sola, disperata come quella del mitragliere Lozano, che preso dal panico per quell'auto in avvicinamento le sparò contro.

Cadrebbe così uno dei pilastri della relazione Usa - ha sparato un solo uomo - tanto da far almeno vacillare tutto l'insieme della ricostruzione. La Commissione Usa non ha avuto tempo né modo di fare perizie e si è basata sulla testimonianza, giurata, dei dieci soldati impegnati al "Bp541". La scena dell'incidente, infatti, non è stata conservata, non è stato possibile stabilire dove erano i mezzi militari e dove la macchina. Impossibile anche contare quanti proiettili sono stati sparati dai militari al posto di blocco, perché non sono state conservate la cassette delle munizioni. «Per noi l'inchiesta è chiusa ed è stata esaustiva», disse Washington all'indomani del "no" italiano alle conclusioni dell'alleato americano. I periti della procura stanno anche cercando di ricostruire, grazie alle planimetrie militari e con misurazioni tridimensionali, l'esatta disposizione dei mezzi. «Bisogna mobilitarsi perché esca tutta la verità», ha ripetuto ancora ieri Giuliana Sgrena. Faticosamente, a pezzetti, sta venendo fuori.

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