Da La Repubblica del 28/07/2005

La maggioranza approva il proprio fallimento

Pil, deficit, debito, saldo primario: i numeri della disfatta

di Massimo Riva

Ieri con il voto del Senato, oggi con quello della Camera il governo Berlusconi sta offrendo al paese uno spettacolo che sta in bilico tra la farsa e la tragedia. L'aspetto comico consiste nel fatto che - compatti, convinti e risoluti come non mai- i senatori e i deputati della maggioranza stanno per dare definitiva approvazione a un Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria) che, quest'anno per i suoi contenuti, merita di essere ribattezzato come Dichiarazione Politica ed Economica di Fallimento. Se si guarda alle cifre fornite dal governo medesimo, infatti, quel Documento suona inesorabilmente come una pubblica ed autentica confessione di disfatta nella gestione della contabilità nazionale.

Proprio quella stessa maggioranza che, quattro anni fa attraverso la voce concitata ed allarmata del ministro Tremonti, aveva annunciato al paese che l'eredità del centrosinistra rischiava di spingere il deficit oltre la fatidica soglia del tre per cento nel 2001, oggi squaderna - ilare e giuliva - una previsione in materia addirittura del 4,3 per cento per fine 2005. Quindi, con un allargamento del tanto deprecato "buco" nel quadriennio di gloriosa gestione berlusconiana valutabile attorno al 25 per cento rispetto al punto di partenza.

Con altrettanta scioltezza e disinvoltura la maggioranza sta poi approvando una stima di andamento del debito pubblico, sempre per fine anno, a quota 108,2 per cento in rapporto al Pil. Cifra che induce a due considerazioni, entrambe sconcertanti. La prima: che nel 2005 il debito ha ripreso a crescere dopo un decennio di più o meno rapido declino. La seconda: che, dopo il solito prodigioso quadriennio di amministrazione berlusconiana, il debito pubblico è tornato in pratica allo stesso livello ereditato dal governo del Cavaliere. Come dire, insomma, che al riguardo quasi millecinquecento giorni di gestione sono stati buttati al vento.

Per giunta, in un turbine di promesse verbali cui non ha fatto seguito alcunché di concreto ed efficace per riportare sotto controllo quello che rappresenta il più serio e minaccioso ostacolo al risanamento del bilancio pubblico.

Ma la confessione di fallimento più significativa da parte della maggioranza e del governo è quella che riguarda l'indicatore fondamentale dello stato di salute dei conti nazionali ovvero il saldo, cosiddetto primario, fra entrate e uscite dello Stato al netto degli interessi pagati sul debito pubblico. Ereditato in proposito un avanzo primario attorno al cinque per cento del Prodotto interno lordo, anno dopo anno con una costanza invero degna di miglior causa, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti hanno lasciato deteriorare la situazione fino al punto che, oggi, il ministro Siniscalco si trova costretto ad ammettere che nel consuntivo 2005 ci si attesterà - si spera - a un miserabile 0,6 per cento. Dunque, appena qualche decimale sopra la soglia oltre la quale le spese ordinarie dello Stato tornerebbero ad essere finanziate a debito, riportando così il paese sotto l'incubo della bancarotta pubblica.

In effetti, a prima vista, c'è qualcosa di comico nello spettacolo di una maggioranza che approva le cifre di questo sfascio del bilancio con tranquilla e serena indifferenza, quasi che si trattasse di archiviare il consuntivo di una serie di guasti provocati da qualcun altro che avrebbe amministrato il paese in questi quattro anni, mentre il Cavaliere e i suoi ministri se ne stavano a fare "jogging" alle Bermude.

Purtroppo, però, il senso della tragedia prevale alla fine sull'ilarità della farsa solo se si pensa che: 1) quelle pessime cifre stavolta sono - ahinoi - vere e forse ancora un po' ottimistiche; 2) che a porre rimedio a questo disastro sono chiamati, per quasi un altro anno, coloro che l'hanno provocato e che oggi lo certificano con arrogante noncuranza.

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