Da La Repubblica del 02/08/2005
Vendetta contro l'Onu
di Vittorio Zucconi
LA VENDETTA dell'imperatore offeso e dei suoi courtiers "neoconservatori" contro l'Onu si è consumata fredda, a due anni e mezzo dallo schiaffo del 2003. Il conto aperto dal Consiglio di sicurezza con la Casa Bianca quando osò ribellarsi ai diktat americani e rifiutò l'imprimatur istituzionale all'invasione dell'Iraq, è stato saldato. Al Palazzo di Vetro siede, da ieri, non un tessitore, ma un terminator, scelto da Bush per segnalare tutto il proprio disprezzo e la propria insofferenza per le sessantenni e riottose Nazione Unite.
Bolton, il nuovo ambasciatore insediato a forza da Bush aggirando il verosimile "no" del Senato con un legittimo quanto mediocre espediente costituzionale, non è solo un militante impeccabile e fervido di quella destra ideologica e imperiosa che teorizza lo svincolo americano dai "lacci e lacciuoli" multilaterali. È il mazziere antemarcia del neoconservatorismo, l'uomo che dai tempi dell'amministrazione Reagan si era assunto il ruolo di picconatore degli accordi internazionali che avrebbero potuto tenere imbrigliato l'impero nel mondo post Guerra fredda, dal controllo delle armi biochimiche, al trattato antimissili, alla Corte di giustizia internazionale. «Non permetterò mai che un soldato americano sia incriminato da qualche giudice a Roma».
Bolton va dunque all'Onu non per scuoterlo dal suo torpore e dalla sua impotenza, come la formidabile e aggressiva ambasciatrice di Reagan, Jean Kirkpatrick, tentò invano di fare 25 anni or sono. Va per demolirlo e ricostruirlo secondo il progetto degli architetti neocon, preceduto da una celebre battuta di prodigioso cattivo gusto, trattandosi di un grattacielo di Manhattan: "Se crollassero 10 piani del Palazzo di Vetro, non cambierebbe niente". I 10 piani ai quali questo brusco ed efficace avvocato dell'unilateralismo, laureato a Yale come Bush e anche lui, come Bush e tutti i falchi dell'estrema destra senza esperienza personale di guerre fatte sempre fare ai figli degli altri, sono più della ipertrofica e a volte corrotta burocrazia cresciuta nel Palazzo di Vetro fino a soffocarlo. Sono quella maggioranza di Paesi e di Stati che dell'Onu hanno approfittato e abusato per andare ben oltre il nobile dettato della "rinuncia alla guerra" scritta nella Carta e per trasformare l'assemblea generale in un forum di antiamericanismo e magari di "antisionismo", come disse una spregevole risoluzione dove sionismo e razzismo erano stati omologati e che lo stesso Bolton, questa volta meritevolmente, si batté per annullare. Tra la dittatura di una maggioranza sempre più antioccidentale e antiamericana nell'Assemblea generale e l'impotenza del Consiglio di sicurezza, ormai vistosamente non più rappresentativo della realtà internazionale in attesa della mitica riforma che dovrebbe includere anche l'Italia, il Palazzo di Vetro si è andato trasformando in una società di dibattito. O peggio, in una preziosa copertura per i peggiori abusi umani e i più ripugnanti regimi, nascosti dietro il tabù della sovranità nazionale.
La missione di Bolton, essendo una profonda riforma dell'Onu ormai non più prorogabile sotto pena della sua completa futilità, sarebbe dunque la missione giusta se lui fosse l'uomo giusto per il compito. E se le intenzioni degli ideologi e dei circoli che lo hanno prodotto fossero magari ingenue, ma onorevoli, come quelle d'altri americani che, tra Roosevelt, Truman e Marshall, 60 anni or sono concepirono le Nazioni Unite. Di certo, il nuovo ambasciatore è un uomo d'azione, più che un teorico come il suo maestro Paul Wolfowitz, autore di quel manifesto del ‘99 sul "secolo americano" che anche lui sottoscrisse. La sua ruvidezza di tratto, l'ostentazione dei modi spicci, esemplificata in una bomba a mano disinnescata che teneva come fermacarte sul tavolo di sottosegretario al Dipartimento di Stato, la brutalità con la quale contribuì a fix, a confezionare e acconciare le famigerate "prove" sugli arsenali immaginari di Saddam nella marcia verso la guerra, possono essere titoli di merito quando si affronta un pachiderma statico come il Palazzo di Vetro. Ma la storia personale di Bolton, e l'arroganza intellettuale dei suoi amici e sponsor, rendono la speranza che una seria e onesta ristrutturazione dell'Onu sia fragile, perché viziata dall'intransigenza ideologica e dalla supponenza spacciata per idealismo.
Nei cinque mesi di opposizione parlamentare alla sua nomina, quella che ha convinto Bush a ricorrere alla nomina ex officio approfittando della vacanza estiva del Senato, la vernice dell'"idealismo", tanto cara ai neo con come antidoto al "pragmatismo" arrendista, si è scrostata. Ha rivelato storie di interessi in conflitto, di lobbismo ben retribuito per conto dei taiwanesi, che lui invitava a dichiararsi indipendenti dalla Cina, di legami profondi con il Likud, la destra israeliana al governo con Sharon, di ruoli oscuri nella fabbricazione di quelle "prove" contro Saddam in che un imbarazzato e umiliato Colin Powell dovette recitare proprio davanti a un incredulo Consiglio di sicurezza.
La domanda alla quale il Senato (molti repubblicani non estremisti compresi) non ha potuto dare una risposta, perché aggirato dall'espediente costituzionale del recess appointment, della nomina durante l'intervallo, usato da Bush come da altri presidenti prima di lui, è dunque se Bolton non sia "l'uomo sbagliato al posto giusto". Se la zavorra personale e ideologica che si porta dietro non sia, anziché il carburante, l'ostacolo alla missione di rivitalizzare le agonizzanti, eppure ancora indispensabili, Nazioni Unite. Se Bolton va a New York per imporre la volontà del più forte, raccattando attorno a Washington coalizioni raccogliticce di vere e false democrazie giudicate buone o cattive solo in funzione della loro acquiescenza, sarebbe la fine dell'Onu. Trasformare le Nazioni Unite da una palestra per esibizioni di antiamericanismo espresse da loschi dittatori, in un servizio notarile per rogitare i diktat di Washington, non significherebbe ridargli quella credibilità della quale lo stesso Bush ha bisogno. Lo si renderebbe inutile anche per l'America, senza resuscitare la speranza di controllare la violenza globale, di stati o di organizzazioni terroristiche. Significherebbe appunto "terminate", dare il colpo di grazia a un moribondo.
Bolton, il nuovo ambasciatore insediato a forza da Bush aggirando il verosimile "no" del Senato con un legittimo quanto mediocre espediente costituzionale, non è solo un militante impeccabile e fervido di quella destra ideologica e imperiosa che teorizza lo svincolo americano dai "lacci e lacciuoli" multilaterali. È il mazziere antemarcia del neoconservatorismo, l'uomo che dai tempi dell'amministrazione Reagan si era assunto il ruolo di picconatore degli accordi internazionali che avrebbero potuto tenere imbrigliato l'impero nel mondo post Guerra fredda, dal controllo delle armi biochimiche, al trattato antimissili, alla Corte di giustizia internazionale. «Non permetterò mai che un soldato americano sia incriminato da qualche giudice a Roma».
Bolton va dunque all'Onu non per scuoterlo dal suo torpore e dalla sua impotenza, come la formidabile e aggressiva ambasciatrice di Reagan, Jean Kirkpatrick, tentò invano di fare 25 anni or sono. Va per demolirlo e ricostruirlo secondo il progetto degli architetti neocon, preceduto da una celebre battuta di prodigioso cattivo gusto, trattandosi di un grattacielo di Manhattan: "Se crollassero 10 piani del Palazzo di Vetro, non cambierebbe niente". I 10 piani ai quali questo brusco ed efficace avvocato dell'unilateralismo, laureato a Yale come Bush e anche lui, come Bush e tutti i falchi dell'estrema destra senza esperienza personale di guerre fatte sempre fare ai figli degli altri, sono più della ipertrofica e a volte corrotta burocrazia cresciuta nel Palazzo di Vetro fino a soffocarlo. Sono quella maggioranza di Paesi e di Stati che dell'Onu hanno approfittato e abusato per andare ben oltre il nobile dettato della "rinuncia alla guerra" scritta nella Carta e per trasformare l'assemblea generale in un forum di antiamericanismo e magari di "antisionismo", come disse una spregevole risoluzione dove sionismo e razzismo erano stati omologati e che lo stesso Bolton, questa volta meritevolmente, si batté per annullare. Tra la dittatura di una maggioranza sempre più antioccidentale e antiamericana nell'Assemblea generale e l'impotenza del Consiglio di sicurezza, ormai vistosamente non più rappresentativo della realtà internazionale in attesa della mitica riforma che dovrebbe includere anche l'Italia, il Palazzo di Vetro si è andato trasformando in una società di dibattito. O peggio, in una preziosa copertura per i peggiori abusi umani e i più ripugnanti regimi, nascosti dietro il tabù della sovranità nazionale.
La missione di Bolton, essendo una profonda riforma dell'Onu ormai non più prorogabile sotto pena della sua completa futilità, sarebbe dunque la missione giusta se lui fosse l'uomo giusto per il compito. E se le intenzioni degli ideologi e dei circoli che lo hanno prodotto fossero magari ingenue, ma onorevoli, come quelle d'altri americani che, tra Roosevelt, Truman e Marshall, 60 anni or sono concepirono le Nazioni Unite. Di certo, il nuovo ambasciatore è un uomo d'azione, più che un teorico come il suo maestro Paul Wolfowitz, autore di quel manifesto del ‘99 sul "secolo americano" che anche lui sottoscrisse. La sua ruvidezza di tratto, l'ostentazione dei modi spicci, esemplificata in una bomba a mano disinnescata che teneva come fermacarte sul tavolo di sottosegretario al Dipartimento di Stato, la brutalità con la quale contribuì a fix, a confezionare e acconciare le famigerate "prove" sugli arsenali immaginari di Saddam nella marcia verso la guerra, possono essere titoli di merito quando si affronta un pachiderma statico come il Palazzo di Vetro. Ma la storia personale di Bolton, e l'arroganza intellettuale dei suoi amici e sponsor, rendono la speranza che una seria e onesta ristrutturazione dell'Onu sia fragile, perché viziata dall'intransigenza ideologica e dalla supponenza spacciata per idealismo.
Nei cinque mesi di opposizione parlamentare alla sua nomina, quella che ha convinto Bush a ricorrere alla nomina ex officio approfittando della vacanza estiva del Senato, la vernice dell'"idealismo", tanto cara ai neo con come antidoto al "pragmatismo" arrendista, si è scrostata. Ha rivelato storie di interessi in conflitto, di lobbismo ben retribuito per conto dei taiwanesi, che lui invitava a dichiararsi indipendenti dalla Cina, di legami profondi con il Likud, la destra israeliana al governo con Sharon, di ruoli oscuri nella fabbricazione di quelle "prove" contro Saddam in che un imbarazzato e umiliato Colin Powell dovette recitare proprio davanti a un incredulo Consiglio di sicurezza.
La domanda alla quale il Senato (molti repubblicani non estremisti compresi) non ha potuto dare una risposta, perché aggirato dall'espediente costituzionale del recess appointment, della nomina durante l'intervallo, usato da Bush come da altri presidenti prima di lui, è dunque se Bolton non sia "l'uomo sbagliato al posto giusto". Se la zavorra personale e ideologica che si porta dietro non sia, anziché il carburante, l'ostacolo alla missione di rivitalizzare le agonizzanti, eppure ancora indispensabili, Nazioni Unite. Se Bolton va a New York per imporre la volontà del più forte, raccattando attorno a Washington coalizioni raccogliticce di vere e false democrazie giudicate buone o cattive solo in funzione della loro acquiescenza, sarebbe la fine dell'Onu. Trasformare le Nazioni Unite da una palestra per esibizioni di antiamericanismo espresse da loschi dittatori, in un servizio notarile per rogitare i diktat di Washington, non significherebbe ridargli quella credibilità della quale lo stesso Bush ha bisogno. Lo si renderebbe inutile anche per l'America, senza resuscitare la speranza di controllare la violenza globale, di stati o di organizzazioni terroristiche. Significherebbe appunto "terminate", dare il colpo di grazia a un moribondo.
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