Da Corriere della Sera del 22/08/2005
Cisgiordania, la nuova trincea «Qui sarà una battaglia vera»
La rabbia dei soldati contro gli irriducibili: «Li abbiamo difesi per anni. E adesso ci attaccano alle spalle: un nostro compagno è finito in ospedale»
di Lorenzo Cremonesi
HOMESH (Cisgiordania) - Il paesaggio della battaglia finale è fatto di colline terrazzate a oliveti, villaggetti arabi arroccati attorno all'immancabile minareto e strade strette, ancora risparmiate dai bulldozer israeliani. Un pezzo di Cisgiordania che ricorda le fotografie ingiallite del periodo precedente la guerra del 1967, quando l’intera regione era controllata dal governo giordano. Nulla a che vedere con le zone densamente colonizzate da Israele appena un poco più a sud, o con l’enclave ormai quasi completamente deserta di Gush Katif a Gaza.
Venire nelle due colonie ebraiche che promettono di diventare le ultime fortezze della resistenza contro l'evacuazione voluta da Sharon è come fare un tuffo nel passato. Niente autostrade tagliate di fresco nella roccia. Niente cartelloni pubblicitari in ebraico. E soprattutto quasi niente insediamenti con i tetti in mattoni rossi, torrette di guardia e fili spinati a violare l’armonia millenaria delle colline. Tutto ricorda il passato. I coloni però guardano al futuro, sanno che Gaza è perduta. Ma temono che da qui possa iniziare la loro espulsione anche dall’intera Cisgiordania. Nella colonia di Homesh i soldati israeliani stanno spianando il terreno per poter parcheggiare i bus carichi di agenti e i bulldozer. «Li stiamo aspettando. Non useremo le armi, anche perché ce le hanno requisite praticamente tutte. Ma resisteremo, per gli agenti sarà più difficile che non l’assedio alla sinagoga di Kfar Darom a Gaza», dice il gruppo di ragazzini che ha preso posizione nella casamatta presso il cancello di entrata. Le loro compagne, tante non hanno più di 16 anni, si preparano per quello che alcuni giornalisti israeliani hanno definito lo «stupro psicologico» degli agenti più giovani venuti a sloggiarle. Si mettono in piedi davanti a loro, con il corpo che sfiora quello del militare, aggressive e arroganti, li fissano negli occhi, cercano in tutti i modi il loro sguardo e impartiscono un corso accelerato di storia dell’antisemitismo «versione coloni», compresa l’accusa esplicita che «saranno come i nazisti» se solo osassero obbedire agli ordini dei comandi.
Sono quattro le colonie della Cisgiordania da evacuare entro venerdì. Ci abitavano in tutto circa 150 famiglie. Quelle più a nord, Kadim e Ganim, sono ormai vuote. Ma a Homesh e Sanur, non lontano dalla grande città palestinese di Nablus, si sono trincerati circa 2.200 giovani. Per lo più meno che ventenni, studenti delle accademie religiose più oltranziste a Kiriat Arba e Ytzhar. «Teppisti, estremisti pericolosi e oltretutto ingrati. Qualcuno è seguace delle dottrine razziste di Dov Lior, un rabbino legato agli insediamenti ebraici della zona di Hebron che predica lo scontro inevitabile tra i suoi giovani ebrei figli della tradizione contro gli inviati dell'Israele laica», dice il capitano dell'unità di fanteria che da quasi tre mesi è incaricato del comprensorio di Sanur.
La sua rabbia è comprensibile: «Li abbiamo difesi, protetti. E adesso ci attaccano alle spalle. Questa mattina hanno persino tirato una bottiglia molotov che ha incendiato una nostra jeep. Un altro soldato è rimasto ferito a Homesh. E non si contano i copertoni forati dai chiodi a tre punte». Un fatto senza precedenti. Neppure nei momenti di scontro più grave a Gaza era mai stata tirata una molotov.
Venire nelle due colonie ebraiche che promettono di diventare le ultime fortezze della resistenza contro l'evacuazione voluta da Sharon è come fare un tuffo nel passato. Niente autostrade tagliate di fresco nella roccia. Niente cartelloni pubblicitari in ebraico. E soprattutto quasi niente insediamenti con i tetti in mattoni rossi, torrette di guardia e fili spinati a violare l’armonia millenaria delle colline. Tutto ricorda il passato. I coloni però guardano al futuro, sanno che Gaza è perduta. Ma temono che da qui possa iniziare la loro espulsione anche dall’intera Cisgiordania. Nella colonia di Homesh i soldati israeliani stanno spianando il terreno per poter parcheggiare i bus carichi di agenti e i bulldozer. «Li stiamo aspettando. Non useremo le armi, anche perché ce le hanno requisite praticamente tutte. Ma resisteremo, per gli agenti sarà più difficile che non l’assedio alla sinagoga di Kfar Darom a Gaza», dice il gruppo di ragazzini che ha preso posizione nella casamatta presso il cancello di entrata. Le loro compagne, tante non hanno più di 16 anni, si preparano per quello che alcuni giornalisti israeliani hanno definito lo «stupro psicologico» degli agenti più giovani venuti a sloggiarle. Si mettono in piedi davanti a loro, con il corpo che sfiora quello del militare, aggressive e arroganti, li fissano negli occhi, cercano in tutti i modi il loro sguardo e impartiscono un corso accelerato di storia dell’antisemitismo «versione coloni», compresa l’accusa esplicita che «saranno come i nazisti» se solo osassero obbedire agli ordini dei comandi.
Sono quattro le colonie della Cisgiordania da evacuare entro venerdì. Ci abitavano in tutto circa 150 famiglie. Quelle più a nord, Kadim e Ganim, sono ormai vuote. Ma a Homesh e Sanur, non lontano dalla grande città palestinese di Nablus, si sono trincerati circa 2.200 giovani. Per lo più meno che ventenni, studenti delle accademie religiose più oltranziste a Kiriat Arba e Ytzhar. «Teppisti, estremisti pericolosi e oltretutto ingrati. Qualcuno è seguace delle dottrine razziste di Dov Lior, un rabbino legato agli insediamenti ebraici della zona di Hebron che predica lo scontro inevitabile tra i suoi giovani ebrei figli della tradizione contro gli inviati dell'Israele laica», dice il capitano dell'unità di fanteria che da quasi tre mesi è incaricato del comprensorio di Sanur.
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