Da La Repubblica del 24/08/2005

Burkina, l'ultimo mistero nero le "streghe" che rubano l'anima

Considerate maledette anche se sterili o quando vengono abbandonate dagli uomini. In migliaia in fuga dalle case
Nel paese africano la tragedia delle vedove lapidate o cacciate dai villaggi perché "colpevoli" della morte del marito
Condannate da riti tribali, allontanate dal gruppo. La casa di accoglienza di Padre Vincenzo: "Ne ho salvate tante"
La storia di Caterina: l'approdo al centro dei camilliani e una domanda: "Voi siete bianchi e io nera, perché mi avete salvata?"

di Emilio Piervincenzi

OUAGADOUGOU (BURKINA FASO) - Le streghe hanno a disposizione due mattonelle 40 centimetri per 40. In questo spazio mangiano, riposano, dormono. In questo spazio conservano quel poco che sono riuscite a portare via dal loro villaggio e quel poco che hanno racimolato in questa casa che è ormai diventata la loro vita. Le chiamiamo streghe, ma in realtà a Ouagadougou, poverissima capitale del Burkina Faso, sono conosciute come le «mangiatrici di anime». La loro è una storia primitiva e tragica, che si ripete villaggio dopo villaggio, uno spietato rituale cui nessuna di queste donne è riuscita a sottrarsi. Morire o fuggire, è questa la sola possibilità che viene loro concessa.

Dunque succede che quando una donna rimane sola, perché vedova, o perché sterile, o semplicemente perché il marito la abbandona, il villaggio comincia a guardarla con sospetto. La donna disturba e spesso la sua solitudine porta con sé anche un pizzico di rabbiosa asocialità. Così si decide di allontanarla dal gruppo e dopo qualche tempo il capo villaggio applica la più odiosa delle leggi tribali. Un burkinabé su due è di religione animista, basata sul culto degli antenati e degli spiriti (l'altra metà è musulmana). Quando un uomo del villaggio muore, è alla donna che viene addossata la colpa. Per mostrare a tutti che di quella donna è meglio fare a meno, il corpo del defunto, sistemato su una barella di paglia, fa il giro del villaggio. Quando passa davanti alla casa della futura strega, il corpo improvvisamente si mette a sussultare.

«Ecco - grida il capo - quella è la donna che gli sta rubando l'anima». La conclusione è di facile interpretazione. Alla strega viene concessa una notte per riflettere sul da farsi. Poi, il capo villaggio si sentirà libero di decidere come giustiziarla: rogo o lapidazione.

Padre Vincenzo, un missionario camilliano di 71 anni dalla lunga barba bianca che svolge la sua opera cristiana in Burkina Faso dagli anni ‘70, mentre racconta la barbarie riesce ancora a commuoversi. Ne ha viste tante, di streghe, e tante ne ha salvate. Anche se odiato dalle popolazioni del luogo, Vincenzo ha deciso che non poteva non reagire alle storie, spesso raccapriccianti, che filtravano dalle campagne. Ha sentito i loro racconti, consolato le loro lacrime, promesso loro il paradiso concedendo prima un piatto di zuppa. «E' da una decina d'anni che vado nella savana a raccogliere donne ripudiate. Di solito succede così: la notizia mi arriva alla missione, mi danno una indicazione geografica di massima, parto. A volte, purtroppo, non arrivo in tempo. Ecco l'ultima donna che ho trovato, l'ho ribattezzata Caterina, la vuole conoscere?».

Siamo al «Centro Delwende Te Tanghin», settore 25 di Ouagadougou. E' questa la «casa delle streghe». Ci si arriva costeggiando uno stradone che pullula di venditori di cose di ogni genere. Su un fianco scorre il «grande barrage», una specie di grande invaso che la stagione delle piogge riempie fino a sfiorare la strada e che serve come riserva d'acqua per tutta la città. E' la risposta del governo al problema acqua, che in questo paese - molto lontano dal mare e il cui unico vanto economico è di essere il nono produttore al mondo di patate - è la vera questione nazionale. E' il senso di una vita a metà, costantemente precaria, che si riassume in poche impressionanti cifre: la media di vita non supera i 45 anni, l'86,8 per cento della popolazione è analfabeta, il 51,04 per cento dei bambini fra i 10 e i 14 anni lavora per sopravvivere. Un altro triste record.

Caterina e le sue amiche streghe vivono in quattro grandi capannoni e qui, grazie alla Croce Rossa, ci sono i pavimenti e i tetti. Le donne compaiono da un'oscurità irreale, quando padre Vincenzo le saluta in lingua mossi, l'etnìa principale del paese, e le invita ad affacciarsi all'esterno. Come se fossero lebbrose nascoste in una grotta, le streghe si sporgono lentamente sul mondo esterno. Sono quasi tutte povere vecchie, raggrinzite dagli stenti e consunte dal dolore, ma hanno ancora la forza di un sorriso. Padre Vincenzo sussurra: «Sente qualche cattivo odore? No, vero? Anche questa - che a lei può apparire un fatto trascurabile - è stata una dura conquista. Sono pulite, serene, sono le mie streghe e nessuno me le può toccare».

Sotto le tettoie le donne filano il cotone, anzi, per meglio dire, staccano i grani del cotone per farci l'olio. Fanno tutto a mano e con pazienza infinita. Fuori dai capannoni già funzionano le cucine, tanti piccoli fuochi, che loro chiamano "ameliores". Se invece si vuole usare la cucina comune, c'è il grande pentolone dove si preparano fino a 500 pasti al giorno, destinato alle donne ma anche ai poveri che bussano alla porta di Tanghin. Più distante, in un angolo, l'altare per le preghiere: non ci sono croci sulla parete, ma solo un tavolo, una sedia e un lacero tappeto disteso a terra. «Qui, chi vuole, prega il suo Dio, nessuno impone confessioni religiose» precisa padre Vincenzo.

Ma vi eravamo debitori di una storia, la storia di Caterina. Vincenzo la chiama e lei sbuca dal fondo del capannone. E' stata raccolta un paio di mesi fa nella savana, a 30 chilometri da Ouagadougou, ormai ridotta a un mucchio di ossa. La strega fu condotta nella missione cattolica della città, lì fu curata e rifocillata, lì Vincenzo andava a trovarla. Finché un giorno la donna gli chiese: perché ti prendi cura di me? Tu sei bianco e invece io sono dovuta fuggire dalla mia gente che voleva uccidermi. Perché siamo tutti fratelli, le rispose il missionario. Se siamo tutti fratelli, chi sono i tuoi genitori che sono anche i miei genitori?, replicò lei.

Dio e la Madonna, le spiegò Vincenzo. Voglio conoscerli, chiese la strega. Li conoscerai quando morirai, la tranquillizzò Vincenzo. Allora voglio morire adesso, sentenziò la strega. Non devi essere tu a decidere quando andrai a conoscerli, ma loro a scegliere il momento, chiuse la conversazione Vincenzo. Da quel giorno Caterina - che intanto è stata battezzata e ci mostra orgogliosa la croce che porta appesa al collo - aspetta la morte. Non c'è nulla di sé, nello spazio delle due mattonelle. «Non ho niente perché non mi serve niente - spiega - perché saranno i miei genitori a provvedere per me». Vincenzo sorride. Non sembra preoccupato: «Non la lascerò andare: prima o poi mi verrà in mente qualcosa per convincerla».

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