Da La Stampa del 26/08/2005
Con o senza Fazio
di Tito Boeri
Invece di portare subito la crisi Banca d'Italia in Parlamento, il governo ha preferito convocare e poi rinviare a fine agosto una riunione del Comitato interministeriale per il credito e risparmio (Cicr). Oggi sapremo se, come temiamo, è stato solo uno stratagemma per prendere tempo e poi lasciare tutto come prima, anziché sfruttare il senso d'urgenza suscitato dalla crisi per forzare una riforma comunque necessaria.
Banca d'Italia va riformata con o senza Fazio. Perché la struttura di governo dell'istituto, le sue competenze, e il suo modo di rispondere (meglio, di non rispondere) del proprio operato di fronte al Paese sono anacronistici, non a caso unici nell'ambito dell'Unione monetaria europea. Questi aspetti sono apparsi chiari a tutti nelle ultime settimane quando abbiamo saputo fino a che punto il governatore abbia potuto agire in splendido isolamento, potendo ignorare il parere di tutti, dentro e fuori l'istituto.
Lo hanno saputo, e anche questo è indicativo, grazie all'operato della magistratura. Abbiamo anche toccato con mano il fatto che questa governance impedisce a Banca d'Italia di correggere i propri errori. Nonostante il capitale umano concentrato in via Nazionale, l'istituzione non ha reagito ai danni per la sua immagine e per quella del Paese causati dall'azione del governatore. Meno evidente è forse risultata ai più la posta in gioco nel conflitto sulle competenze sull'antitrust bancario. Il nostro Paese ha bisogno, per uscire dal declino economico cui sembra destinato, di un sistema bancario efficiente, in grado di facilitare l'accesso al credito da parte di chi è in grado di investire nel futuro. Oggi i neolaureati della Bocconi, accettati nelle migliori università straniere, non riescono a farsi concedere un prestito dalle banche per finanziare i propri studi. Chi ha un ottimo curriculum e ottime opportunità di carriera ma, per sua sfortuna, non ha ancora un contratto di lavoro permanente, fatica ad accedere ai mutui per comprarsi una casa. Abbiamo costi dei servizi bancari, anche quando aggiustati per tenere conto delle specificità di ciascun Paese, tra i più alti d'Europa, senza che questi più alti costi siano compensati da una remunerazione più alta dei depositi per un dato tasso attivo. Al contrario, l'Italia ha, dopo la Germania, lo spread più alto fra tassi attivi e passivi nell'ambito dei maggiori Paesi industrializzati. Secondo le indagini della Commissione europea, siamo anche il Paese i cui cittadini sono maggiormente critici rispetto alla trasparenza delle informazioni fornite loro dalle banche. Sono tutti mali che possono essere curati mediante iniezioni di concorrenza, facendo dipendere l'autorizzazione alle fusioni bancarie intra e internazionali dall'impatto competitivo di queste aggregazioni, spezzando i cartelli collusivi, limitando la concentrazione delle partecipazioni di industriali nelle banche e aumentando la trasparenza nell'operato delle banche, a partire dal sottoporre le obbligazioni bancarie alle regole del mercato. Ci vuole chi si batta per garantire questo bene pubblico che è la concorrenza, nel sistema bancario. Non è certo via Nazionale, chi governa le banche o è da queste governato, a spingere per una maggiore concorrenza, che ridurrebbe i loro margini di profitto.
Se la riforma va fatta anche senza Fazio, non si può delegare a Fazio il compito di varare la riforma. Ha dato ampia prova in questi anni, a partire dalla sua opposizione all'ingresso dell'Italia nell'euro, di opporsi con decisione a qualsiasi riduzione dei propri poteri. E non è certo l'Europa a imporci la strada dell'autoriforma. Come spiegato da Francesco Vella sul sito www.lavoce.info, la Banca centrale europea non si opporrebbe certo ad una riforma votata dal Parlamento che applicasse a via Nazionale il modello della Bce in termini di collegialità, accountability e assenza di competenze sull'antitrust bancario. Non solo l'Europa non riduce i poteri (e dunque neanche i doveri) della nostra classe politica nel varare una riforma improrogabile, ma anzi è proprio l'Europa a chiedercela. Non soltanto l'opinione pubblica e la stampa internazionale che hanno dato ampio risalto alle vicende di via Nazionale.
E' la stessa Banca centrale europea a chiederci di intervenire. Perché non solo il suo modello di governance, ma anche i suoi pronunciamenti sull'accountability delle banche centrali e le sue regole di condotta interne sono antitetici rispetto alla gestione monocratica di Banca d'Italia e al suo operato nella vicenda Antonveneta. E non è possibile che nell'ambito di ciò che si definisce come il sistema di banche centrali europeo possano coesistere regole così diverse e banche centrali coinvolte in crisi che possono incrinare la credibilità dell'intero sistema e governatori che, anche dopo l'ingresso del proprio Paese nell'Unione monetaria, definiscono l'euro come un purgatorio.
Banca d'Italia va riformata con o senza Fazio. Perché la struttura di governo dell'istituto, le sue competenze, e il suo modo di rispondere (meglio, di non rispondere) del proprio operato di fronte al Paese sono anacronistici, non a caso unici nell'ambito dell'Unione monetaria europea. Questi aspetti sono apparsi chiari a tutti nelle ultime settimane quando abbiamo saputo fino a che punto il governatore abbia potuto agire in splendido isolamento, potendo ignorare il parere di tutti, dentro e fuori l'istituto.
Lo hanno saputo, e anche questo è indicativo, grazie all'operato della magistratura. Abbiamo anche toccato con mano il fatto che questa governance impedisce a Banca d'Italia di correggere i propri errori. Nonostante il capitale umano concentrato in via Nazionale, l'istituzione non ha reagito ai danni per la sua immagine e per quella del Paese causati dall'azione del governatore. Meno evidente è forse risultata ai più la posta in gioco nel conflitto sulle competenze sull'antitrust bancario. Il nostro Paese ha bisogno, per uscire dal declino economico cui sembra destinato, di un sistema bancario efficiente, in grado di facilitare l'accesso al credito da parte di chi è in grado di investire nel futuro. Oggi i neolaureati della Bocconi, accettati nelle migliori università straniere, non riescono a farsi concedere un prestito dalle banche per finanziare i propri studi. Chi ha un ottimo curriculum e ottime opportunità di carriera ma, per sua sfortuna, non ha ancora un contratto di lavoro permanente, fatica ad accedere ai mutui per comprarsi una casa. Abbiamo costi dei servizi bancari, anche quando aggiustati per tenere conto delle specificità di ciascun Paese, tra i più alti d'Europa, senza che questi più alti costi siano compensati da una remunerazione più alta dei depositi per un dato tasso attivo. Al contrario, l'Italia ha, dopo la Germania, lo spread più alto fra tassi attivi e passivi nell'ambito dei maggiori Paesi industrializzati. Secondo le indagini della Commissione europea, siamo anche il Paese i cui cittadini sono maggiormente critici rispetto alla trasparenza delle informazioni fornite loro dalle banche. Sono tutti mali che possono essere curati mediante iniezioni di concorrenza, facendo dipendere l'autorizzazione alle fusioni bancarie intra e internazionali dall'impatto competitivo di queste aggregazioni, spezzando i cartelli collusivi, limitando la concentrazione delle partecipazioni di industriali nelle banche e aumentando la trasparenza nell'operato delle banche, a partire dal sottoporre le obbligazioni bancarie alle regole del mercato. Ci vuole chi si batta per garantire questo bene pubblico che è la concorrenza, nel sistema bancario. Non è certo via Nazionale, chi governa le banche o è da queste governato, a spingere per una maggiore concorrenza, che ridurrebbe i loro margini di profitto.
Se la riforma va fatta anche senza Fazio, non si può delegare a Fazio il compito di varare la riforma. Ha dato ampia prova in questi anni, a partire dalla sua opposizione all'ingresso dell'Italia nell'euro, di opporsi con decisione a qualsiasi riduzione dei propri poteri. E non è certo l'Europa a imporci la strada dell'autoriforma. Come spiegato da Francesco Vella sul sito www.lavoce.info, la Banca centrale europea non si opporrebbe certo ad una riforma votata dal Parlamento che applicasse a via Nazionale il modello della Bce in termini di collegialità, accountability e assenza di competenze sull'antitrust bancario. Non solo l'Europa non riduce i poteri (e dunque neanche i doveri) della nostra classe politica nel varare una riforma improrogabile, ma anzi è proprio l'Europa a chiedercela. Non soltanto l'opinione pubblica e la stampa internazionale che hanno dato ampio risalto alle vicende di via Nazionale.
E' la stessa Banca centrale europea a chiederci di intervenire. Perché non solo il suo modello di governance, ma anche i suoi pronunciamenti sull'accountability delle banche centrali e le sue regole di condotta interne sono antitetici rispetto alla gestione monocratica di Banca d'Italia e al suo operato nella vicenda Antonveneta. E non è possibile che nell'ambito di ciò che si definisce come il sistema di banche centrali europeo possano coesistere regole così diverse e banche centrali coinvolte in crisi che possono incrinare la credibilità dell'intero sistema e governatori che, anche dopo l'ingresso del proprio Paese nell'Unione monetaria, definiscono l'euro come un purgatorio.
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