Da Corriere della Sera del 26/08/2005
«Io ho rischiato la vita e loro me la fanno pagare»
di Aldo Cazzullo
ROMA - «Questa è dunque la gratitudine per chi ha rischiato la vita? I politici, di destra e di sinistra, ricordano cosa dicevano quando le due Simone erano prigioniere? Che andavano salvate a qualsiasi costo. Il costo non l'abbiamo pagato in denaro, ma in cure mediche. Abbiamo fatto il nostro mestiere. E questo l'ho detto sin dall'inizio, in tutte le sedi, anche giornalistiche. Non capisco questo scandalo. Ma quale vendetta nei confronti del governo, quale avvertimento! Si sapeva già tutto!». Maurizio Scelli, lei stavolta ha raccontato di aver fatto curare quattro terroristi, e di aver chiesto e ottenuto dal governo che gli americani ne restassero all'oscuro. Ora il governo smentisce. «Ma io non ho mai detto al governo di non avvertire gli americani! Sono andato a Palazzo Chigi, da Gianni Letta, e gli ho spiegato quali erano le condizioni per la liberazione delle ragazze: curare i feriti, e non dire nulla». «Ma io non ho chiesto di tacere con gli americani, e non so quel che il governo abbia fatto. Letta non mi ha dato istruzioni particolari, mi ha detto solo di andare avanti e di usare prudenza. Io non gli ho detto quanto doveva fare, e lui non ha detto a me quanto dovevo fare io».
Il commissario scaduto ma non sostituito della Croce Rossa è trafelato. Il suo è lo sfogo di un uomo in difficoltà. «Anziché ringraziarmi, me la fanno pagare. E pensare che io nella vicenda delle due Simone non volevo entrare. Ero rimasto scottato dal caso Baldoni, da sinistra mi rinfacciavano responsabilità che non avevo, il governo mi aveva raccomandato: stavolta non vogliamo né te, né Gino Strada, né il Vaticano, lasciate fare a diplomatici e servizi segreti. Sono stati loro a venirmi a cercare». Loro chi? «Mediatori affidabili, gli stessi che mi avevano fatto ritrovare il corpo di Quattrocchi. Uno degli ulema più influenti, Al Kubaysi. Che mi ha mandato a dire attraverso il mio amico Nawar, il medico: a Scelli questa volta non interessano gli ostaggi italiani? Scelli, rispose il mio amico, ha dovuto fare un passo indietro. No, ha insistito Al Kubaysi, Scelli è una brava persona e noi vogliamo aiutarlo. Quando mi arrivò il primo segnale, la telefonata con le voci delle Simone, andai da Letta per avvertirlo delle condizioni. Cosa ne so io di quanto si dicono tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca, quale rete abbia attivato il governo italiano. Io ho badato a salvare vite umane, quelle dei feriti e quelle degli ostaggi».
E a ingannare gli alleati, nascondendo i terroristi, facendoli passare per un carico di medicinali. «Noi non abbiamo ingannato nessuno. Ogni giorno usciva dall'ospedale un'ambulanza con i medicinali. Quel giorno l'abbiamo usata anche per i feriti, che è poi lo scopo di un'ambulanza e più in generale della Croce Rossa. Non ero un isolato, avevo venti persone sul posto. Noi non potevamo passare come rappresentanti dell'Italia, come alleati degli americani, dovevamo agire indipendentemente dall'ambasciata italiana, che era ormai all'interno della green zone, e dai militari; altrimenti non saremmo potuti restare in Iraq un momento di più. Avremmo perso la fiducia della popolazione, e forse anche la vita. Se i rapitori avessero visto che io ero seguito, da un tank, da un elicottero, anche solo da una jeep, avrebbero fatto fuori me e le due Simone». E il ruolo di Calipari? «Era diverso. Nicola svolgeva una missione per conto del governo. Quando gli intermediari ci fecero sapere che le ragazze non sarebbero state liberate vicino all'aeroporto ma in un luogo più sicuro, da Roma arrivò a Calipari l'ordine di non muoversi: temevano una trappola, avevano paura che sequestrassero anche me. Allora Nicola mi guardò come per dire: io non posso andare, ma se tu vai non posso fermarti. Così rimasi per sette ore in balia dei terroristi, ma ce la feci». Calipari non potrà confermare questa versione. «Calipari è stato straordinario. Simona Torretta ricorda di essersi sentita al sicuro per la prima volta tra le sue braccia, ma questo avvenne dopo, all'aeroporto. Io non potei abbracciarla perché la vidi davanti a tre uomini armati di kalashnikov, vestita come un'islamica, e sapevo bene che davanti agli islamici non si tocca una donna. Comunque Calipari si mosse con maestria, come fece nella liberazione della Sgrena. Quella volta gli americani furono avvertiti. E credo sia accaduta una tragica fatalità». I quattro terroristi curati all'insaputa degli alleati sono causa di imbarazzo per il governo. «Ma io ho sempre detto che il riscatto non era stato pagato in contanti ma in cure mediche. Appena tornato in Italia diedi un'intervista all' Espresso , in cui parlavo di assistenza a familiari di terroristi». Familiari? «Era un'intervista a caldo, dissi la verità, almeno quanto allora si sapeva. I dettagli si sono profilati meglio nel tempo. Quando fui intervistato da Bruno Vespa per il suo libro, parlai di due guerriglieri. Ora le cose sono più chiare, ma nella sostanza lo erano sin dall'inizio». E non sono lusinghiere: l'Italia passa per un Paese pronto a tutto, anche ai contatti diretti con i terroristi, purché non si sappia. «Ma io non ho mica trattato direttamente con i terroristi. Il mediatore che ci ha fatto trovare i feriti parlava con cinque telefonini diversi, e ogni volta componeva un numero differente. Quando ci siamo trovati di fronte gli uomini da curare, mica potevamo chiedere la carta di identità, sapere se venivano da Oxford o da Falluja. Ogni notte ci accadeva di assistere feriti, in ospedale arrivava di tutto. Ci siamo dimenticati del clima di quei giorni? Di quando le Simone venivano date per morte dai siti islamici, e le famiglie avevano già ricevuto le condoglianze? Allora qualcuno avrebbe fatto obiezioni di fronte alla possibilità di salvarle? E come credete si sia trovato il corpo di Baldoni? Grazie alle ricerche del padre, ma anche ai tre bambini sordi che saranno operati a Padova».
Resta il fatto che Scelli ha messo in difficoltà il governo. E non è la prima volta. Il 30 dicembre scorso, ad esempio, Libero scrive che sta preparando «un esercito di volontari» per Forza Italia. Smentite. Tre mesi dopo, Scelli tiene a battesimo i suoi volontari a Firenze; ospite d'onore, Berlusconi. Ma è un flop: prima la polemica per l'invito a Mambro e Fioravanti, poi l'arringa del premier in un palasport semideserto. «Con Berlusconi non c'è e non ci sarà mai nessuna polemica, nessuna zona d'ombra - dice oggi Scelli -. Gli sarò sempre grato per la straordinaria esperienza che ho potuto vivere grazie a lui. E proprio per non creargli imbarazzo rinuncio a candidarmi alla presidenza della Croce Rossa, affinché i volontari eleggano uno di loro».
Il commissario scaduto ma non sostituito della Croce Rossa è trafelato. Il suo è lo sfogo di un uomo in difficoltà. «Anziché ringraziarmi, me la fanno pagare. E pensare che io nella vicenda delle due Simone non volevo entrare. Ero rimasto scottato dal caso Baldoni, da sinistra mi rinfacciavano responsabilità che non avevo, il governo mi aveva raccomandato: stavolta non vogliamo né te, né Gino Strada, né il Vaticano, lasciate fare a diplomatici e servizi segreti. Sono stati loro a venirmi a cercare». Loro chi? «Mediatori affidabili, gli stessi che mi avevano fatto ritrovare il corpo di Quattrocchi. Uno degli ulema più influenti, Al Kubaysi. Che mi ha mandato a dire attraverso il mio amico Nawar, il medico: a Scelli questa volta non interessano gli ostaggi italiani? Scelli, rispose il mio amico, ha dovuto fare un passo indietro. No, ha insistito Al Kubaysi, Scelli è una brava persona e noi vogliamo aiutarlo. Quando mi arrivò il primo segnale, la telefonata con le voci delle Simone, andai da Letta per avvertirlo delle condizioni. Cosa ne so io di quanto si dicono tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca, quale rete abbia attivato il governo italiano. Io ho badato a salvare vite umane, quelle dei feriti e quelle degli ostaggi».
E a ingannare gli alleati, nascondendo i terroristi, facendoli passare per un carico di medicinali. «Noi non abbiamo ingannato nessuno. Ogni giorno usciva dall'ospedale un'ambulanza con i medicinali. Quel giorno l'abbiamo usata anche per i feriti, che è poi lo scopo di un'ambulanza e più in generale della Croce Rossa. Non ero un isolato, avevo venti persone sul posto. Noi non potevamo passare come rappresentanti dell'Italia, come alleati degli americani, dovevamo agire indipendentemente dall'ambasciata italiana, che era ormai all'interno della green zone, e dai militari; altrimenti non saremmo potuti restare in Iraq un momento di più. Avremmo perso la fiducia della popolazione, e forse anche la vita. Se i rapitori avessero visto che io ero seguito, da un tank, da un elicottero, anche solo da una jeep, avrebbero fatto fuori me e le due Simone». E il ruolo di Calipari? «Era diverso. Nicola svolgeva una missione per conto del governo. Quando gli intermediari ci fecero sapere che le ragazze non sarebbero state liberate vicino all'aeroporto ma in un luogo più sicuro, da Roma arrivò a Calipari l'ordine di non muoversi: temevano una trappola, avevano paura che sequestrassero anche me. Allora Nicola mi guardò come per dire: io non posso andare, ma se tu vai non posso fermarti. Così rimasi per sette ore in balia dei terroristi, ma ce la feci». Calipari non potrà confermare questa versione. «Calipari è stato straordinario. Simona Torretta ricorda di essersi sentita al sicuro per la prima volta tra le sue braccia, ma questo avvenne dopo, all'aeroporto. Io non potei abbracciarla perché la vidi davanti a tre uomini armati di kalashnikov, vestita come un'islamica, e sapevo bene che davanti agli islamici non si tocca una donna. Comunque Calipari si mosse con maestria, come fece nella liberazione della Sgrena. Quella volta gli americani furono avvertiti. E credo sia accaduta una tragica fatalità». I quattro terroristi curati all'insaputa degli alleati sono causa di imbarazzo per il governo. «Ma io ho sempre detto che il riscatto non era stato pagato in contanti ma in cure mediche. Appena tornato in Italia diedi un'intervista all' Espresso , in cui parlavo di assistenza a familiari di terroristi». Familiari? «Era un'intervista a caldo, dissi la verità, almeno quanto allora si sapeva. I dettagli si sono profilati meglio nel tempo. Quando fui intervistato da Bruno Vespa per il suo libro, parlai di due guerriglieri. Ora le cose sono più chiare, ma nella sostanza lo erano sin dall'inizio». E non sono lusinghiere: l'Italia passa per un Paese pronto a tutto, anche ai contatti diretti con i terroristi, purché non si sappia. «Ma io non ho mica trattato direttamente con i terroristi. Il mediatore che ci ha fatto trovare i feriti parlava con cinque telefonini diversi, e ogni volta componeva un numero differente. Quando ci siamo trovati di fronte gli uomini da curare, mica potevamo chiedere la carta di identità, sapere se venivano da Oxford o da Falluja. Ogni notte ci accadeva di assistere feriti, in ospedale arrivava di tutto. Ci siamo dimenticati del clima di quei giorni? Di quando le Simone venivano date per morte dai siti islamici, e le famiglie avevano già ricevuto le condoglianze? Allora qualcuno avrebbe fatto obiezioni di fronte alla possibilità di salvarle? E come credete si sia trovato il corpo di Baldoni? Grazie alle ricerche del padre, ma anche ai tre bambini sordi che saranno operati a Padova».
Resta il fatto che Scelli ha messo in difficoltà il governo. E non è la prima volta. Il 30 dicembre scorso, ad esempio, Libero scrive che sta preparando «un esercito di volontari» per Forza Italia. Smentite. Tre mesi dopo, Scelli tiene a battesimo i suoi volontari a Firenze; ospite d'onore, Berlusconi. Ma è un flop: prima la polemica per l'invito a Mambro e Fioravanti, poi l'arringa del premier in un palasport semideserto. «Con Berlusconi non c'è e non ci sarà mai nessuna polemica, nessuna zona d'ombra - dice oggi Scelli -. Gli sarò sempre grato per la straordinaria esperienza che ho potuto vivere grazie a lui. E proprio per non creargli imbarazzo rinuncio a candidarmi alla presidenza della Croce Rossa, affinché i volontari eleggano uno di loro».
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