Da Los Angeles Times del 02/09/2005

I parenti sopravvissuti al massacro di mercoledì provano a riconoscere i corpi dei loro cari

Bagdad, la città dei funerali per gli sciiti non ci sono più bare

Per il ministero della Sanità i morti potrebbero superare le mille unità, una cifra quattro volte superiore a quella del più cruento degli attentati
Volti gonfi e ricoperti di sangue, denti spaccati, occhi fissi e spalancati: la maggior parte delle vittime sono anziani e bambini

di Ashraf Khalil, Edmund Sanders

BAGDAD - Le pareti dell'ospedale della Città Ospedaliera sono tappezzate dalle fotografie dei morti. Potrebbe essere New York dopo l'11 settembre o lo Sri Lanka dopo lo tsunami dell'anno scorso. Ma qui le foto non sono di persone disperse, ma di persone trovate. E una lunga fila di fotografie delle vittime non identificate scattate frettolosamente durante l'autopsia che sta appesa nell'ingresso dell'ospedale, lungo i corridoi e sui muri esterni. I parenti passano in rassegna questo macabro collage alla ricerca dei propri parenti. Volti gonfi e ricoperti di sangue. Denti spaccati. Gli occhi fissi e spalancati. Molti sono anziani o bambini. Sotto ogni mento, un bigliettino con un numero che serve a localizzare il corpo. Sotto la foto di un bambino piccolo con un sorriso sereno, una nota scritta a mano dice che il suo corpo, non ancora reclamato, si trova in un camion frigorifero parcheggiato lì vicino.

«Questa è mia figlia!», urla Abdul Hussein Khadim, stringendo la fotografia della figlia dodicenne che ha appena strappato dalla parete. «Numero 18. Dov'e? Qualcuno sa dirmi?» L'indomani della micidiale calca che ha ucciso più di 900 pellegrini musulmani sciiti raccoltisi per una processione a Bagdad, gli iracheni si fanno forza per affrontare la perdita dei propri cari.

Le dimensioni della tragedia sono spaventose anche per questa società indurita dalla carneficina quotidiana e da decenni di oppressione, sia dal punto di vista emozionale, sia da quello logistico.

Le moschee hanno esaurito le bare di legno. I becchini della città di Najaf, a sud, dove molti sciiti scelgono di seppellire i loro morti hanno lavorato senza sosta. Nella baraccopoli sciita di Sadr City, dove abitavano molte delle vittime, i fornitori delle tradizionali tende per le veglie sono stati travolti dalle richieste.

Tutte le principali strade di Sadr City sono punteggiate da queste tende funerarie a forma di tunnel, dove i partecipanti alla veglia si riuniscono per pregare, per ascoltare insieme i versi del Corano e per sorseggiare il tradizionale caffè arabo non zuccherato. I parenti dei defunti hanno perlustrato la città in cerca degli oggetti funerari previsti.

Il ministero della Sanità ha comunicato che il numero delle vittime potrebbe salire a 1000 o più. E il numero di morti più alto in un solo evento da molto prima dell'invasione guidata dagli Stati Uniti del 2003 e quattro volte superiore a quello del più tragico attentato suicida.

Sono almeno 400 gli iracheni feriti nel caos mentre tentavano di attraversare il ponte a quattro corsie di circa 350 metri di lunghezza che collega le sponde del Tigri. Le vittime facevano parte del milione di sciiti provenienti da tutto l'Iraq, l'Iran e da altrove, che si erano ammassati a Kadhimiya, nella periferia di Bagdad per commemorare il martirio dell'imam Musa al Kadhim.

Molte delle vittime provenivano da Sadr City, il quartiere ad est di Bagdad dove vive la maggior parte degli arabi sciiti poveri. La maggior parte erano donne, bambini e anziani.

La causa esatta della calca non è ancora chiara. Diverse raffiche di colpi di mortaio, sparate a quanto pare da ribelli, sono cadute sulla folla all'inizio della mattinata, uccidendo almeno sei persone e innervosendo i pellegrini e i molti soldati e poliziotti iracheni presenti sul luogo.

I pellegrinaggi ai santuari di Bagdad e alle città del Sud, Najaf e Garbala, sono tutti stati segnati da attentati suicidi - sono almeno 181 le persone rimaste uccise nelle esplosioni coordinate nei santuari sciiti di Garbala e di Bagdad nel marzo del 2004, il più tragico di questi incidenti.

Alcuni testimoni hanno riferito che i pellegrini si sono lasciati cogliere dal panico quando si è sparsa tra loro la voce che nella folla c'era un attentatore suicida. La fiumana di persone si è trovata intrappolata tra gli alti parapetti in metallo del ponte, che poggia su una struttura di cemento e metallo, impossibilitata ad avanzare a causa dei posti di blocco o a tornare indietro per via dei pellegrini che continuavano ad arrivare.

Alcuni hanno riferito di altre raffiche di mortaio sparate sui pellegrini che hanno causato il panico.

Alcune delle vittime, nella disperazione di evitare di essere calpestati, si sono gettate nella corrente di questo fiume dalle acque limacciose e sono affogate, stando a quanto riferiscono alcuni testimoni. La maggior parte è stata calpestata a morte mentre tentava di sfuggire alla calca durata due ore.

Tornata la calma, i sopravvissuti hanno ripreso fiato superando mucchi di ciabatte di plastica colorate sparse sul ponte, assieme a mucchi di abaye nere attorcigliate tra loro e borse sparse qua e là.

Le donne in lacrime setacciano i mucchi alla ricerca delle ciabatte dei propri cari, mentre i cercatori di rifiuti rovistano alla ricerca di oggetti di valore.
Annotazioni − Articolo pubblicato il 02/09/2005 su "la Repubblica". Traduzione di Guiomar Parada.

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