Da Corriere della Sera del 12/10/2005
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2005/10_Ottobre/12/stella....
Il duello a Montecitorio
Silvio, Franceschini e il giurì d'onore su quei tre «no» dimenticati
di Gian Antonio Stella
In altri tempi sarebbe finita così: «Signore, le manderò i padrini!».
Appuntamento all'alba dietro la Cripta delle Carmelitane. Ma poiché il duello non si usa più da quando gli onorevoli Paolo Treves ed Emilio Patrissi si batterono a sciabolate a Tivoli nel '47, Dario Franceschini si è limitato a chiedere, contro Silvio Berlusconi che gli aveva dato del bugiardo in diretta tivù, un giurì d'onore. Meglio per entrambi. Ma soprattutto per il Cavaliere che, sul tema, ha torto.
Si è detto e ripetuto: cambiare idea è del tutto legittimo. Di più: è un caposaldo della democrazia. Quindi ieri mattina il capo del governo, al deputato che gli rinfacciava d'avere detto nel settembre 2000, quando la riforma elettorale voleva farla l'Ulivo, che non poteva farla perché ciò calpestava «l'interesse dell'opposizione...» e di avere aggiunto «sono certo che il Capo dello Stato non firmerà mai», avrebbe potuto fare spallucce sorridendo: se ne dicono di cose, in politica... Alzi la mano chi non è stato mai colto in castagna. A destra e a sinistra. Fa parte del gioco.
Macché. Punto sul vivo, si è messo a urlare: «E' falso!». E ancora: «Non l'ho mai detto!». E di nuovo: «E' falso!». Al punto che ha dovuto intervenire Pier Ferdinando Casini: «Onorevole Berlusconi, per cortesia».
Forse voleva dare ai suoi una prova pratica di ciò che aveva spiegato: in televisione bisogna fare come quelli di sinistra «scuotono sempre la testa». E certo non è il primo premier cui saltano i nervi in aula. Un giorno Lamberto Dini sbottò: «cazzo!». Un altro Romano Prodi si fece beccare mentre sibilava a La Loggia: «Ma vaffan..». Certo è che il Cavaliere, davanti al giurì d'onore, faticherà a dimostrare d'aver ragione.
A parte un documento ufficiale con la sua firma secondo cui «sarebbe inaccettabile» se la sinistra «pensasse di potersi fare da sola la sua legge elettorale», esistono almeno tre lanci dell'Ansa, in giorni diversi e da città diverse. Il primo: «Non lasceremo che la sinistra cambi la legge elettorale.
Se procederà con i propri numeri, calpestando ogni interesse dell'opposizione, sono certo che il capo dello Stato non firmerà mai», dice Berlusconi da Bari il 14 settembre 2000, ore 14.37. Il secondo alle 20.03: «Quando in una democrazia la maggioranza approfitta dei propri numeri per calpestare la minoranza si è dinanzi ad un classico esempio di dispotismo (...). La maggioranza potrebbe approvare una legge con cui si dispone che le tasse vengano pagate solo dalla minoranza. Questo è all' apparenza democratico mentre la sostanza è dispotica.(..) Sono certo che il capo dello Stato non potrà mettere la sua firma su una legge che sostanzia quello che si chiama nei testi di politica il dispotismo, la tirannia della maggioranza, che si ha quando la maggioranza anziché, come si deve fare in un sistema democratico-liberale, tutelare i diritti della minoranza li calpesta e fa coi propri numeri una legge che avvantaggia se stessa e svantaggia l'opposizione». Il terzo, il giorno dopo, da Fiuggi, ore 19.13: «Se la maggioranza pensasse di approvare una legge a lei conveniente e a noi sconveniente dimostrerebbe il suo dispotismo». Mai una smentita. Cinque anni e un mese dopo sarebbe tardino.
Appuntamento all'alba dietro la Cripta delle Carmelitane. Ma poiché il duello non si usa più da quando gli onorevoli Paolo Treves ed Emilio Patrissi si batterono a sciabolate a Tivoli nel '47, Dario Franceschini si è limitato a chiedere, contro Silvio Berlusconi che gli aveva dato del bugiardo in diretta tivù, un giurì d'onore. Meglio per entrambi. Ma soprattutto per il Cavaliere che, sul tema, ha torto.
Si è detto e ripetuto: cambiare idea è del tutto legittimo. Di più: è un caposaldo della democrazia. Quindi ieri mattina il capo del governo, al deputato che gli rinfacciava d'avere detto nel settembre 2000, quando la riforma elettorale voleva farla l'Ulivo, che non poteva farla perché ciò calpestava «l'interesse dell'opposizione...» e di avere aggiunto «sono certo che il Capo dello Stato non firmerà mai», avrebbe potuto fare spallucce sorridendo: se ne dicono di cose, in politica... Alzi la mano chi non è stato mai colto in castagna. A destra e a sinistra. Fa parte del gioco.
Macché. Punto sul vivo, si è messo a urlare: «E' falso!». E ancora: «Non l'ho mai detto!». E di nuovo: «E' falso!». Al punto che ha dovuto intervenire Pier Ferdinando Casini: «Onorevole Berlusconi, per cortesia».
Forse voleva dare ai suoi una prova pratica di ciò che aveva spiegato: in televisione bisogna fare come quelli di sinistra «scuotono sempre la testa». E certo non è il primo premier cui saltano i nervi in aula. Un giorno Lamberto Dini sbottò: «cazzo!». Un altro Romano Prodi si fece beccare mentre sibilava a La Loggia: «Ma vaffan..». Certo è che il Cavaliere, davanti al giurì d'onore, faticherà a dimostrare d'aver ragione.
A parte un documento ufficiale con la sua firma secondo cui «sarebbe inaccettabile» se la sinistra «pensasse di potersi fare da sola la sua legge elettorale», esistono almeno tre lanci dell'Ansa, in giorni diversi e da città diverse. Il primo: «Non lasceremo che la sinistra cambi la legge elettorale.
Se procederà con i propri numeri, calpestando ogni interesse dell'opposizione, sono certo che il capo dello Stato non firmerà mai», dice Berlusconi da Bari il 14 settembre 2000, ore 14.37. Il secondo alle 20.03: «Quando in una democrazia la maggioranza approfitta dei propri numeri per calpestare la minoranza si è dinanzi ad un classico esempio di dispotismo (...). La maggioranza potrebbe approvare una legge con cui si dispone che le tasse vengano pagate solo dalla minoranza. Questo è all' apparenza democratico mentre la sostanza è dispotica.(..) Sono certo che il capo dello Stato non potrà mettere la sua firma su una legge che sostanzia quello che si chiama nei testi di politica il dispotismo, la tirannia della maggioranza, che si ha quando la maggioranza anziché, come si deve fare in un sistema democratico-liberale, tutelare i diritti della minoranza li calpesta e fa coi propri numeri una legge che avvantaggia se stessa e svantaggia l'opposizione». Il terzo, il giorno dopo, da Fiuggi, ore 19.13: «Se la maggioranza pensasse di approvare una legge a lei conveniente e a noi sconveniente dimostrerebbe il suo dispotismo». Mai una smentita. Cinque anni e un mese dopo sarebbe tardino.
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