Da La Repubblica del 12/10/2005
La Terza Repubblica
di Massimo Giannini
È cominciato alla Camera il funerale della Seconda Repubblica. A officiare il rito è stato l'uomo che, per l'ufficio ricoperto, avrebbe dovuto assicurarne il buon funzionamento: Pier Ferdinando Casini. A deciderne l'eutanasia è stato l'uomo che nel '94 aveva contribuito a farla nascere, coltivando nel laboratorio virtuale di Arcore l'embrione dell'antipolitica. Silvio Berlusconi. Il "golpista elettorale", come l'ha ribattezzato Le Monde, è riuscito a trasformare la Casa delle Libertà nella caserma che forse ha sempre sognato. Con la lusinga, probabilmente. Con il ricatto, sicuramente. Lo dimostrano i guerreschi anatemi dello stesso Cavaliere sulla «cacciata dei traditori dai collegi». O le scandalose minacce di Calderoli sui «voti segreti che poi tanto segreti non sono».
Sta di fatto che, alle prime tornate di voto sulla riforma della legge elettorale, di franchi tiratori nelle file del centrodestra non ce ne sono stati. Il cammino che deve riportare l'Italia indietro di 15 anni è ancora lungo. Al varo definitivo del sistema proporzionale mancano ancora una trentina di voti segreti. Ma stavolta l'impressione è che il Cavaliere abbia davvero militarizzato la sua flaccida alleanza. Ha garantito la devolution a Bossi, pronto a chiudere senza strappi il caso Lombardia. Ha imposto l'ennesima figuraccia a Fini, un tempo orgoglioso paladino del maggioritario. Ha rotto l'asse Casini-Follini, trasformando il primo nel vero "garante" istituzionale di una penosa operazione di trasformismo, e il secondo nell'unico "prigioniero" moderato di una facinorosa coalizione di estremisti. Ha fatto in poche settimane quello che non è riuscito a fare in una legislatura: più che il leader, il conducator. E adesso si appresta a marciare sulle Camere: legge elettorale, riforma costituzionale, salva-Previti, Finanziaria, par condicio. E chissà cos'altro ancora, nel disperato ma a questo punto non del tutto irrealistico tentativo di riequilibrare i rapporti di forza con l'Unione prima delle elezioni del 2006.
Il "golpe elettorale" proporzionalista avviene contro la Costituzione, contro l'opposizione, contro la nazione. Contro la Costituzione, perché come hanno messo in evidenza gli uffici del Quirinale e fior di giuristi almeno in 9 punti la nuova legge viola la Carta fondamentale. Contro l'opposizione, perché come ha detto lo stesso Berlusconi, il provvedimento ha un solo obiettivo: «Con il ritorno al proporzionale Forza Italia prende il 30%». Buon "movente" per una riforma che dovrebbe disciplinare il migliore esercizio di una democrazia. Contro la nazione, perché mai fino ad ora i sedicenti "saggi" del Polo hanno saputo spiegare agli italiani perché convenga ripristinare un sistema elettorale che fu bocciato a furor di popolo dodici anni fa, né hanno potuto dimostrare come il Mattarellum abbia garantito dal '93 in poi meno governabilità rispetto all'esecrata "partitocrazia" della Prima Repubblica. Mentre diversi sondaggi (ultimo quello dell'Ipr) hanno dimostrato che il 62% dei cittadini preferisce il maggioritario, contro un risicato 28% favorevole al proporzionale.
Di qui una prima "lezione", che riguarda il centrodestra. Quando la posta in gioco è la sua sopravvivenza politica, il Cavaliere è anche capace di governare "contro". Contro, e non più «con» gli alleati. Contro, e non più "secondo" i sondaggi. Di qui anche una seconda «lezione», che riguarda il centrosinistra. Di fronte a un premier che teorizza un cambio in corsa delle regole al solo scopo di rendere ingovernabile il Paese per chi verrà dopo di lui, non ci sono e non ci possono essere spazi di trattativa, in quell'incognita terra di nessuno del "centro tra i due Poli". C'è poco da discettare sul "dialogo possibile", o sul "bipolarismo perfetto" della Germania di Angela Merkel. C'è solo la battaglia politica, aspra ma coerente. Da portare fino in fondo con coraggio. Proprio quel coraggio che finora è mancato ai leader dell'Ulivo. Se avessero fatto la lista unitaria prima o anche subito dopo le regionali, forse oggi la Cdl non si sarebbe avventurata in questo dissennato forcing di fine legislatura, e sarebbe stata costretta all'inseguimento sul difficilissimo terreno del "partito unico". E se anche avesse azzardato il voltafaccia sulla legge elettorale, la vergognosa strumentalità della manovra sarebbe esplosa con un fragore ancora più assordante, su un mercato politico già saldamente presidiato dal "listone" dei riformisti.
Ora, i leader del centrosinistra sono obbligati a scommettere sul buon esito delle primarie, e poi a trovare un qualche "tetto" per Romano Prodi. Il prossimo futuro torna incerto. Il Paese si affaccia sull'abisso di un'ignota "Terza Repubblica", di cui nessuno conosce la forma e il contenuto. Ma così vuole il Cavaliere. E tanto basta, purtroppo.
Sta di fatto che, alle prime tornate di voto sulla riforma della legge elettorale, di franchi tiratori nelle file del centrodestra non ce ne sono stati. Il cammino che deve riportare l'Italia indietro di 15 anni è ancora lungo. Al varo definitivo del sistema proporzionale mancano ancora una trentina di voti segreti. Ma stavolta l'impressione è che il Cavaliere abbia davvero militarizzato la sua flaccida alleanza. Ha garantito la devolution a Bossi, pronto a chiudere senza strappi il caso Lombardia. Ha imposto l'ennesima figuraccia a Fini, un tempo orgoglioso paladino del maggioritario. Ha rotto l'asse Casini-Follini, trasformando il primo nel vero "garante" istituzionale di una penosa operazione di trasformismo, e il secondo nell'unico "prigioniero" moderato di una facinorosa coalizione di estremisti. Ha fatto in poche settimane quello che non è riuscito a fare in una legislatura: più che il leader, il conducator. E adesso si appresta a marciare sulle Camere: legge elettorale, riforma costituzionale, salva-Previti, Finanziaria, par condicio. E chissà cos'altro ancora, nel disperato ma a questo punto non del tutto irrealistico tentativo di riequilibrare i rapporti di forza con l'Unione prima delle elezioni del 2006.
Il "golpe elettorale" proporzionalista avviene contro la Costituzione, contro l'opposizione, contro la nazione. Contro la Costituzione, perché come hanno messo in evidenza gli uffici del Quirinale e fior di giuristi almeno in 9 punti la nuova legge viola la Carta fondamentale. Contro l'opposizione, perché come ha detto lo stesso Berlusconi, il provvedimento ha un solo obiettivo: «Con il ritorno al proporzionale Forza Italia prende il 30%». Buon "movente" per una riforma che dovrebbe disciplinare il migliore esercizio di una democrazia. Contro la nazione, perché mai fino ad ora i sedicenti "saggi" del Polo hanno saputo spiegare agli italiani perché convenga ripristinare un sistema elettorale che fu bocciato a furor di popolo dodici anni fa, né hanno potuto dimostrare come il Mattarellum abbia garantito dal '93 in poi meno governabilità rispetto all'esecrata "partitocrazia" della Prima Repubblica. Mentre diversi sondaggi (ultimo quello dell'Ipr) hanno dimostrato che il 62% dei cittadini preferisce il maggioritario, contro un risicato 28% favorevole al proporzionale.
Di qui una prima "lezione", che riguarda il centrodestra. Quando la posta in gioco è la sua sopravvivenza politica, il Cavaliere è anche capace di governare "contro". Contro, e non più «con» gli alleati. Contro, e non più "secondo" i sondaggi. Di qui anche una seconda «lezione», che riguarda il centrosinistra. Di fronte a un premier che teorizza un cambio in corsa delle regole al solo scopo di rendere ingovernabile il Paese per chi verrà dopo di lui, non ci sono e non ci possono essere spazi di trattativa, in quell'incognita terra di nessuno del "centro tra i due Poli". C'è poco da discettare sul "dialogo possibile", o sul "bipolarismo perfetto" della Germania di Angela Merkel. C'è solo la battaglia politica, aspra ma coerente. Da portare fino in fondo con coraggio. Proprio quel coraggio che finora è mancato ai leader dell'Ulivo. Se avessero fatto la lista unitaria prima o anche subito dopo le regionali, forse oggi la Cdl non si sarebbe avventurata in questo dissennato forcing di fine legislatura, e sarebbe stata costretta all'inseguimento sul difficilissimo terreno del "partito unico". E se anche avesse azzardato il voltafaccia sulla legge elettorale, la vergognosa strumentalità della manovra sarebbe esplosa con un fragore ancora più assordante, su un mercato politico già saldamente presidiato dal "listone" dei riformisti.
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