Da La Repubblica del 18/10/2005

Primi cittadini in assemblea nell'aula del Consiglio regionale. "Lo Stato mandi pure i commissari"

Locride, l'ultimatum dei sindaci "Leggi speciali o ce ne andiamo"

L'assessore regionale Pirillo: "Mia moglie mi ha detto: stai attento, pensa ai nostri figli"
Il grido d'angoscia da Palizzi: mettano un maresciallo dell'Arma al nostro posto

di Attilio Bolzoni

REGGIO CALABRIA - Bisogna vederli da vicino i sindaci della Locride, bisogna guardare le loro facce e cercare nei loro occhi per scoprire fino in fondo la paura della Calabria. Ci sfilano davanti in silenzio, uno dopo l'altro con addosso la fascia tricolore. Sono quarantadue. Se ne vogliono andare in massa.

Abbandonare, fare posto ai commissari straordinari del governo.

Sono maschere di cera le loro facce. Abiti scuri, cravatte nere, barbe malfatte da mani tremanti, sono i sopravvissuti dell'ultima notte senza sonno, i sindaci dei paesi della Calabria più mafiosa, quella dei delitti che non si scoprono mai, delle impunità garantite, dei sicari sempre ignoti. Eccoli qui che entrano nel parlamento di Reggio per ricordare «l'amico Francesco», la riunione straordinaria del consiglio regionale, seduta solenne, gonfaloni, bandiere, alte uniformi, i fiori del lutto, il governatore Loiero e la sua giunta schierati nei banchi lassù e loro giù sulle poltrone vellutate a raccontarsi le loro rabbie e le loro angosce. Ci sono tutti. C'è Carmine Barbaro sindaco di Locri, c'è Vincenzo Foca sindaco di Ferrezzano, c'è Francesco Lucianò di Palizzi, c'è Vincenzo Ielo di Staiti, c'è Sisinio Zito sindaco di Roccella Jonica e presidente del comitato dei quarantadue primi cittadini della Locride. Ognuno di loro ha visto saltare in aria la propria auto o quella di un assessore, di un consigliere, di un impiegato comunale. Ognuno di loro ha un amico o un conoscente ammazzato, un vicino di casa, un parente. E' la Locride. E' la legge dei boss.

La voce di Francesco Lucianò, primo cittadino di Palizzi si alza all'improvviso tra le altre: «Noi ce ne andiamo, che lo Stato mandi pure i suoi commissari straordinari a sostituire noi tutti e metta anche un maresciallo dei carabinieri in ogni consiglio comunale». Si alza anche la voce di Piero Leone, consigliere della maggioranza di centro sinistra del comune di Locri: «Dobbiamo lasciare tutti il consiglio, ecco cos'è l'unica cosa giusta da fare a questo punto». E quella del consigliere di minoranza Dario Maranto: «Ci dimettiamo tutti, tutti insieme consegnamo le chiavi della nostra città a Roma». Si incontreranno tra qualche giorno i sindaci dei quarantadue comuni. E decideranno se stare ancora ad amministrare con la pistola puntata alla tempia o tentare il gesto estremo, clamoroso. La sfida: mollare tutto.

Restare lì è come firmare la propria condanna a morte. Fare gli amministratori onesti è come farsi spegnere lentamente, giorno dopo giorno. Non ce la fanno più a resistere in quei territori che i capi delle cosche oggi considerano proprietà loro, regnano in quei confini come se fossero piccoli «Stati canaglia», repubbliche indipendenti. E trafficano, comprano silenzi. E minacciano, minacciano sempre. «Ci sentiamo soli», sussurra il sindaco di Locri Carmine Barbaro. E poi dice: «La cura fatta fino ad ora dallo Stato non è andata bene, ce ne vuole un'altra». Anche a lui gli hanno fatto saltare in aria l'auto. Era posteggiata davanti al comune, nella strada principale del paese. Volevano bruciarla proprio lì la macchina del sindaco. Come l'auto del consigliere Antonio Alvaro, quando anni fa era assessore ai Lavori pubblici. O come l'auto dell'altro consigliere Eliseo Sorbara. E' l'incubo quotidiano per una delibera che non «dovevano» firmare o per una licenza che «dovevano» rilasciare. Sotto ricatto. Sempre.

Il consiglio comunale di Locri è schierato al gran completo. Nove uomini e una donna nella prima fila, dieci uomini nella seconda.

La donna si chiama Maria Antonietta Lombardi ed è l'assessore all'urbanistica della giunta di Locri. Ricorda: «Le telecamere avevamo chiesto e le telecamere chiederemo ancora. Magari non sarà molto garantista ma qualcuno deve pur vedere cosa accade nelle nostre strade e nelle nostre campagne». Alle sue spalle c'è l'assessore al Bilancio Alberto Brugnano. Chiede leggi speciali. E solo per la Locride: «Un decreto come quello che ci fu tanti anni fa per Reggio Calabria, ma non solo di natura finanziaria: vogliamo una vera e propria legge straordinaria anche in materia di pubblica sicurezza». La paura esaspera, la paura porta altra paura. C'è chi vuole una scuola di polizia a Locri per «formare» investigatori specializzati nelle `ndrine di questa zona, c'è chi vuole magistrati solo di origine reggina «perché gli altri non ci capiscono niente» o «stanno un anno e non vedono l'ora di andarsene». Si sfoga Roberto Filippone, capogruppo della maggioranza al comune di Locri: «Su 40 delitti degli ultimi anni non ne hanno scoperto neanche uno. In città di milioni di abitanti riescono a risolvere gialli intricati con i Ris e con i Ros, qui non si scopre mai nulla». E' la Locride delle esenzioni da pena, dei pasticci investigativi, delle faide giudiziarie che stanno insabbiando un'antimafia già fin troppo barcollante.

Bisogna vederli proprio da vicino i sindaci della Locride per capire come sarà difficile già da domani fare i sindaci. Dopo l'agguato a Francesco Fortugno, un bersaglio per intimorire tutti, un avvertimento collettivo. «Ognuno di noi è a rischio, mia moglie questa mattina prima che uscissi di casa mi ha detto per la prima volta: "Mario, per favore stai attento, i nostri figli": così mi ha detto», racconta Mario Pirillo, assessore regionale all'Agricoltura, mentre altri sindaci entrano nel parlamento di Reggio. Ci sono anche quelli dei paesi della Sila, dell'Aspromonte, quelli della piana di Gioia Tauro e quelli delle Serre. Sono tutti intorno ai loro colleghi della Locride. E anche loro sono tutti lì ad aspettare cosa accadrà domani o la prossima settimana o tra un mese. Arriva in aula la notizia che hanno «avvisato» in mattinata un consigliere regionale. «Farai la fine di Fortugno», gli hanno fatto sapere. Ma è «solo» un'altra minaccia. Una delle tante. D'ora in poi la Calabria dovrà fare i conti con ben altro di più insidioso. E non sarà certo qualche battuta poliziesca di caccia all'uomo o qualche latitante catturato a far riconquistare allo Stato quello che ha perduto, quei territori che così a lungo ha lasciato nelle mani di boss piccoli e grandi. In pochi mesi non potrà certo riprendersi ciò che ha abbandonato venti o trent'anni fa. E i sindaci della Locride lo sanno chi comanda veramente a casa loro.

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