Da Corriere della Sera del 18/10/2005
La rabbia dei sindaci contro il governo: qui non cambia niente, ci prende in giro
Il racconto dei primi cittadini: viviamo tra intimidazioni e illegalità continue, ma non siamo eroi
di Marco Imarisio
REGGIO CALABRIA - «C'è un macellaio che deve uccidere venti maialini. La sera prima, le bestiole si mettono d'accordo: appena apre il recinto, gli saltiamo addosso. Ma al mattino, pensano: a me non mi ha ancora preso, allora aspettiamo».
E aspettano che tocchi a loro, fiduciosi che anche questa volta andrà bene. Secondo Rocco Mustaca, primo cittadino di Casignana, quei maialini sono i sindaci della Locride, ed è chiaro chi è il macellaio. «Quando sono stato eletto, nel 2001, ero convinto di riuscire a cambiare una certa mentalità. Invece, siamo noi che stiamo cambiando». La favola, e l'immagine di un mattatoio, è un po' forte. Ma questa è la Calabria, di mezze misure non ce ne sono.
La vita dell'amministratore in un Comune della Locride non è una passeggiata. E gli standard comuni nel resto dell'Italia non aiutano a capire, vanno messi da parte. A Mustaca gli hanno sparato a pallettoni nella macchina soltanto una volta, era il marzo del 2004, poco dopo un'altra scarica sul portone del municipio. «E sono uno di quelli messi meglio», dice, e non sta scherzando, il problema è proprio questo. Casignana è un paesino di 900 abitanti. Un posto dove il sindaco deve resistere alle pressioni dei suoi 4 figli, che se ne vogliono andare a Nord, e non capiscono la testardaggine del padre. Mustaca ha 54 anni, la stessa età di Francesco Fortugno, con il quale ha condiviso università, passioni politiche e speranze. Dice: «Io ho avuto quel messaggio mafioso, e non avevo fatto niente per meritarmelo, niente di speciale». A leggerla bene, è una frase pericolosa. «Non si deve stupire, qui di eroi non ce ne sono. Anche perché sto lentamente scoprendo che noi, quelli che sperano in un futuro diverso, in fondo siamo minoranza, non siamo neanche così sicuri di avere molta gente che ci segue. Qui, se manca la luce in casa si rivolgono al sindaco. E se non ottengono nulla, vanno dai soliti noti, considerati autorità superiore allo Stato».
I sindaci della Locride che ieri ascoltavano le parole del ministro dell'Interno erano in un calderone dove ribollivano rassegnazione e sospetto, perché anche tra loro non sono molti quelli disposti a rilasciare a certi colleghi il certificato di integrità e pulizia. Da queste parti la zona grigia è vasta, e abitarla fa comunque bene al quieto vivere. «La mafia è diventata una macchia d'olio dai confini incerti, dove anche condurre una normalissima vita amministrativa può dare fastidio a qualcuno, anzi, a molti». Da Reggio, Camillo Barbaro è tornato nella sua Locri, per passare la sera nella camera ardente di Fortugno. Dice che a Locri tutto sommato la situazione «non è tragica». Domenica c'è stato questo cadavere eccellente, a lui nell'ottobre 2002 hanno dato fuoco all'auto appena comprata, un anno fa è stato ammazzato il presidente di una cooperativa, la sempiterna faida tra le famiglie Cataldo e Cordì va avanti. «Intendo dire che io non ho avuto problemi, a parte quell'episodio».
Dietro a queste parole più che rassegnazione c'è l'implicita accettazione di una situazione di fatto che è sfuggita di mano. «Questo è vero - dice Barbaro -. Qui si uccide molto. E il controllo statale del territorio non è adeguato alle esigenze, è un controllo ordinario per tempi e luoghi che non sono affatto ordinari». La delusione per le parole di Pisanu è evidente. All'uscita dall'incontro con il ministro, ieri pomeriggio, erano molti i sindaci che parlavano di dimissioni. Il presidente dell'associazione che riunisce 42 primi cittadini della Locride è Sisinio Zito, vecchio socialista, parlamentare dal 1976 al 1994, dal '98 nel municipio di Roccella Jonica. «E' inaccettabile che Pisanu dica che lo Stato sta facendo un buon lavoro, così ci prende in giro». Zito dà forma alla rabbia dei suoi colleghi. «Serve uno sforzo straordinario, come per il terrorismo, la mafia è una sorta di quotidiano regime terroristico. Dire come fa Pisanu che occorre più sviluppo economico-sociale, significa proiettarsi nel lungo periodo. Sommessamente, faccio notare che nel lungo periodo saremo tutti morti».
E aspettano che tocchi a loro, fiduciosi che anche questa volta andrà bene. Secondo Rocco Mustaca, primo cittadino di Casignana, quei maialini sono i sindaci della Locride, ed è chiaro chi è il macellaio. «Quando sono stato eletto, nel 2001, ero convinto di riuscire a cambiare una certa mentalità. Invece, siamo noi che stiamo cambiando». La favola, e l'immagine di un mattatoio, è un po' forte. Ma questa è la Calabria, di mezze misure non ce ne sono.
La vita dell'amministratore in un Comune della Locride non è una passeggiata. E gli standard comuni nel resto dell'Italia non aiutano a capire, vanno messi da parte. A Mustaca gli hanno sparato a pallettoni nella macchina soltanto una volta, era il marzo del 2004, poco dopo un'altra scarica sul portone del municipio. «E sono uno di quelli messi meglio», dice, e non sta scherzando, il problema è proprio questo. Casignana è un paesino di 900 abitanti. Un posto dove il sindaco deve resistere alle pressioni dei suoi 4 figli, che se ne vogliono andare a Nord, e non capiscono la testardaggine del padre. Mustaca ha 54 anni, la stessa età di Francesco Fortugno, con il quale ha condiviso università, passioni politiche e speranze. Dice: «Io ho avuto quel messaggio mafioso, e non avevo fatto niente per meritarmelo, niente di speciale». A leggerla bene, è una frase pericolosa. «Non si deve stupire, qui di eroi non ce ne sono. Anche perché sto lentamente scoprendo che noi, quelli che sperano in un futuro diverso, in fondo siamo minoranza, non siamo neanche così sicuri di avere molta gente che ci segue. Qui, se manca la luce in casa si rivolgono al sindaco. E se non ottengono nulla, vanno dai soliti noti, considerati autorità superiore allo Stato».
I sindaci della Locride che ieri ascoltavano le parole del ministro dell'Interno erano in un calderone dove ribollivano rassegnazione e sospetto, perché anche tra loro non sono molti quelli disposti a rilasciare a certi colleghi il certificato di integrità e pulizia. Da queste parti la zona grigia è vasta, e abitarla fa comunque bene al quieto vivere. «La mafia è diventata una macchia d'olio dai confini incerti, dove anche condurre una normalissima vita amministrativa può dare fastidio a qualcuno, anzi, a molti». Da Reggio, Camillo Barbaro è tornato nella sua Locri, per passare la sera nella camera ardente di Fortugno. Dice che a Locri tutto sommato la situazione «non è tragica». Domenica c'è stato questo cadavere eccellente, a lui nell'ottobre 2002 hanno dato fuoco all'auto appena comprata, un anno fa è stato ammazzato il presidente di una cooperativa, la sempiterna faida tra le famiglie Cataldo e Cordì va avanti. «Intendo dire che io non ho avuto problemi, a parte quell'episodio».
Dietro a queste parole più che rassegnazione c'è l'implicita accettazione di una situazione di fatto che è sfuggita di mano. «Questo è vero - dice Barbaro -. Qui si uccide molto. E il controllo statale del territorio non è adeguato alle esigenze, è un controllo ordinario per tempi e luoghi che non sono affatto ordinari». La delusione per le parole di Pisanu è evidente. All'uscita dall'incontro con il ministro, ieri pomeriggio, erano molti i sindaci che parlavano di dimissioni. Il presidente dell'associazione che riunisce 42 primi cittadini della Locride è Sisinio Zito, vecchio socialista, parlamentare dal 1976 al 1994, dal '98 nel municipio di Roccella Jonica. «E' inaccettabile che Pisanu dica che lo Stato sta facendo un buon lavoro, così ci prende in giro». Zito dà forma alla rabbia dei suoi colleghi. «Serve uno sforzo straordinario, come per il terrorismo, la mafia è una sorta di quotidiano regime terroristico. Dire come fa Pisanu che occorre più sviluppo economico-sociale, significa proiettarsi nel lungo periodo. Sommessamente, faccio notare che nel lungo periodo saremo tutti morti».
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