Da Punto Informatico del 26/02/2002
Originale su http://punto-informatico.it/p.asp?i=39210
I rifiuti hi-tech inquinano l'Asia
Lo sostiene un rapporto che fa luce su una pratica che non riguarda solo gli Stati Uniti ma che deve coinvolgere le coscienze degli utilizzatori dell'hi-tech
Roma - Una quantità impressionante di rifiuti hi-tech, ovvero di computer usati e altro hardware, non viene smaltito in impianti dedicati dei paesi di produzione ma, attraverso un circolo commerciale vizioso, finisce spesso in paesi in via di sviluppo, dove inquina territorio e ambiente. Ad affermarlo è il rapporto Exporting Harm: The High-Tech Trashing of Asia messo a punt da Basel Action Network (BAN) e Silicon Valley Toxics Coalition (SVTC) in collaborazione con Toxics Link India, Greenpeace China e SCOPE (Pakistan).
Secondo gli autori del rapporto, che analizza principalmente quanto accade in Asia, quantità enormi di rifiuti elettronici vengono esportati in Cina, India e Pakistan dove vengono smaltiti in modo assolutamente dannoso per la salute umana e profondamente inquinante per l'ambiente.
Tra le scoperte riportate nello studio ve ne sono alcune che destano particolare preoccupazione e che sembrano emblematiche di una situazione uscita da qualsiasi controllo.
"L'indagine - si legge in una nota diffusa dalle organizzazioni ambientaliste - ha scoperto un'area nota come Guiyu della provincia di Quangdong (Cina) che circonda il fiume Lianjiang dove circa 100mila operai vengono sfruttati per distruggere e smaltire computer obsoleti provenienti soprattutto dal nordAmerica". "Le operazioni - continua la nota - coinvolgono uomini, donne e bambini che faticano in condizioni primitive, spesso inconsapevoli dei rischi alla salute e all'ambiente che rappresentano operazioni come bruciare le plastiche e i metalli, utilizzare acidi sulla riva del fiume per estrarre oro, bruciare e fondere circuiti stampati, distruggere e buttare tubi catodici"... Secondo il rapporto sono tonnellate i rifiuti che finiscono nei fiumi, nei campi e nei canali di irrigazione, devastando l'ambiente al punto che l'acqua per gli operai viene importata su camion da 30 chilometri di distanza.
"Abbiamo trovato un incubo dell'età cyber - sostiene Jim Puckett, cordinatore di BAN - Lo chiamano riciclaggio ma è solo discarica con un altro nome. E fa orrore la scoperta che piuttosto che impedirlo, il governo americano in realtà incoraggi questo orrendo commercio al fine di evitare la ricerca di soluzioni vere alla quantità enorme di rifiuti informatici generati ogni giorno negli USA".
Va detto che gli Stati Uniti sono l'unico paese sviluppato che non ha sottoscritto la Convenzione di Basilea, un trattato dell'ONU che mette al bando la pratica dell'esportazione di rifiuti pericolosi dal mondo ricco ai paesi in via di sviluppo.
Secondo gli autori del rapporto, che analizza principalmente quanto accade in Asia, quantità enormi di rifiuti elettronici vengono esportati in Cina, India e Pakistan dove vengono smaltiti in modo assolutamente dannoso per la salute umana e profondamente inquinante per l'ambiente.
Tra le scoperte riportate nello studio ve ne sono alcune che destano particolare preoccupazione e che sembrano emblematiche di una situazione uscita da qualsiasi controllo.
"L'indagine - si legge in una nota diffusa dalle organizzazioni ambientaliste - ha scoperto un'area nota come Guiyu della provincia di Quangdong (Cina) che circonda il fiume Lianjiang dove circa 100mila operai vengono sfruttati per distruggere e smaltire computer obsoleti provenienti soprattutto dal nordAmerica". "Le operazioni - continua la nota - coinvolgono uomini, donne e bambini che faticano in condizioni primitive, spesso inconsapevoli dei rischi alla salute e all'ambiente che rappresentano operazioni come bruciare le plastiche e i metalli, utilizzare acidi sulla riva del fiume per estrarre oro, bruciare e fondere circuiti stampati, distruggere e buttare tubi catodici"... Secondo il rapporto sono tonnellate i rifiuti che finiscono nei fiumi, nei campi e nei canali di irrigazione, devastando l'ambiente al punto che l'acqua per gli operai viene importata su camion da 30 chilometri di distanza.
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