Da La Repubblica del 19/10/2005

Locride, sui manifesti il lutto per la "prematura scomparsa" senza mai citare la ‘ndrangheta

La terra dove i clan dettano legge in un anno 23 delitti, tutti impuniti

Non c'è mai stato un solo pentito qui, né un testimone di un omicidio o un attentato

di Attilio Bolzoni

LOCRI - In certi luoghi disperati come Locri a volte parlano solo i muri. E gridano silenzi. I muri della Calabria raccontano cosa è l'omertà ancora oggi, ancora oggi dopo l'omicidio di quel galantuomo che era Francesco Fortugno. Manifesti listati a lutto.

A centinaia sui muri, a migliaia. Ma non ce n'è soltanto uno sulle vie di Locri che porta traccia di una mafia o di una ‘ndrangheta che ha sparato domenica nel seggio, manifesti che ricordano solo «una prematura scomparsa». Omertà istituzionali e omertà private. Dei Comuni. Dei partiti. Delle aziende sanitarie locali. Dei circoli culturali. Perfino degli amici.

Sulla piazza del Tribunale di Locri si affacciano le finestre della casa di Francesco Fortugno, quelle dello studio dove tra mappamondi e libri riceveva ogni sera i suoi compaesani. E sotto, sotto ci sono i muri che «spiegano» la sua morte. L'autorità portuale di Gioia Tauro «esprime profondo dolore per l'improvvisa dipartita». I Lions «partecipano al dolore per la scomparsa». Il personale infermieristico dell'Asl di Palmi «costernato ne ricorda la figura». L'Asl di Locri «si unisce alla sofferenza della famiglia». Come il Circolo Arcobaleno e come il Comune di Grifoni, come l'Associazione Nuova evangelizzazione e tutti i reparti dell'ospedale dove per tanti anni Francesco Fortugno aveva lavorato. «È la paura, la paura che qui in Calabria abbiamo tutti», dice Anna Laganà, la madre di Maria Grazia, la vedova del vicepresidente del consiglio regionale ucciso. E sussurra la donna: «Abbiamo paura perché non si scopre mai nulla, non si scoprono mai gli assassini».

Nell'ultimo anno ce ne sono stati 22 di omicidi. Di quattro forse si sa qualcosa, sei inchieste sono state trasmesse alla procura antimafia di Reggio Calabria «per competenza territoriale» in quanto delitti certi di mafia, tutti gli altri sono a carico di ignoti. Non prendono mai un killer. Come quello che domenica pomeriggio ha ammazzato al seggio e poi, a passo lento, si è incamminato verso un'auto per sparire per sempre. «Se io conoscessi l'assassino o gli assassini farei subito i loro nomi: ora, in questo momento», racconta ancora Anna Laganà che aspetta il ritorno di sua famiglia dalla camera ardente allestita a Reggio per l'arrivo del presidente Ciampi.

Omicidi a carico di ignoti. Dicono che i sicari scendano sempre dalle montagne. Da San Luca, da Platì, da Africo, da tutti quei paesi della ‘ndrangheta più primitiva, quelle capitali del crimine dove fino al 1991 avevano sequestrato 147 uomini e donne e bambini e li avevano segregati tra i casolari delle loro fiumare.

«Valorizzazione area latitanti fiumara», era la dicitura di una delibera comunale di Platì sequestrata qualche tempo dai carabinieri nell'ufficio tecnico. Avevano stanziato soldi pure per «risistemare» il letto di un fiume dove si nascondevano i boss braccati. Nel ventre del paese erano riusciti a scavare chilometri e chilometri di cunicoli, una sorta di «metropolitana» per sfuggire ai blitz, alle retate. Tutti sapevano che cosa c'era là sotto. E tutti stavano zitti. Ne hanno arrestati a centinaia per omertà, hanno sciolto il consiglio comunale, hanno aperte le galere a intere famiglie. Ma poi a Platì, comandano sempre e solo loro.

È la Calabria. È la Calabria di una paura che porta altre paure. Non c'è mai stato un solo pentito nelle ‘ndrine della Locride. Non c'è mai stato un solo testimone di un omicidio o di uno di quei trecento e passa attentati, uno che ha visto saltare in aria l'auto di un sindaco o di un assessore, uno che ha sentito un colpo di fucile nella notte. Indagini a vuoto, indagini che non arrivano quasi mai a nulla. E tanti posti di blocco, tante battute «preventive» per controllare a tempo un territorio che invece controllano sempre di più quegli altri, quelli che comandano per davvero. Il Tribunale di Locri è proprio davanti alla casa di Francesco Fortugno. Il procuratore capo Giuseppe Carbone tira fuori dal cassetto della sua scrivania un foglio con i numeri che ieri l'altro ha consegnato al ministro degli Interni Pisanu: i delitti, numeri, percentuali, l'organico del suo ufficio. Allarga le braccia il procuratore, spiega quanto è lungo e quanto è vasto la Locride, quanto è difficile investigare. Parlano tutti i muri a Locri. Anche i muri del Tribunale. Su quello più grande gli hanno piazzato una lapide di marmo con scolpita una scritta: «A Zaleuco, locrese, primo legislatore del mondo occidentale».

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