Da Corriere della Sera del 21/10/2005
Polemiche in Croazia
Veleni nazionalisti sulla casa degli italiani
di Gian Antonio Stella
All'erta: stiamo invadendo la Croazia! Certo, fatte salve le grandi tavolate estive nelle trattorie di pesce o intorno alle grigliate di agnello degli agriturismi istro-dalmati, non se n'è accorto nessuno.
Ma il primo giornale di Zagabria ha messo la sparata in bocca al nostro governo.
Il giornale ha titolato proprio così: «Pronti a invadere la Dalmazia». Col risultato di versar sale su antichi rancori. E di guastare un momento di struggente solennità: dopo decenni di oblio, gli italiani di Zara hanno oggi una casa loro.
Era un sacco di tempo che aspettavano, il vecchio professor Gastone Cohen e gli altri che nella interminabile stagione del comunismo titino e poi della guerra civile serbo-croata tennero accesa la fiammella della nostra cultura in quella che per Luigi Federzoni fu «la figliola più somigliante» di Venezia, «la più degna, la più devota». Un’isola quasi totalmente italiana, dove le 72 calli e i 15 campielli portavano i nomi di San Simeone e San Rocco e piazzale Crispi e Madonna del Castello. Spazzata via dalla guerra, dalle vendette titine per i delitti fascisti, dalla pulizia etnica.
E tutto era pronto, oggi, per la grande festa dell'inaugurazione della prima sede di una comunità che pareva morta. Consegnata agli archivi e ai rimpianti. E che invece, ritrovata se stessa con l'adesione di oltre 250 italiani e una cinquantina di slavi legati alla nostra cultura, potrebbe dar vita addirittura, in tempi brevi, a un miracolo: la nascita di una scuola materna per bambini italiani. Destinati a raccogliere il testimone dei vecchi.
Non ci volevano, le nuove polemiche. Divampate dopo due sortite riprese dal Vecernji List di Zagabria. La prima del finiano Roberto Menia, che secondo il quotidiano avrebbe «affermato che quando la Croazia entrerà nell'Unione Europea l'Italia recupererà l'Istria, Fiume e la Dalmazia». La seconda di Carlo Giovanardi, reo di avere invocato un’«invasione culturale, economica e turistica al fine di ripristinare l'italianità della Dalmazia». Vero? Falso? «Si figuri se posso invocare un'invasione come l'intende qualche nazionalista locale!», sbuffa il ministro, che del governo Berlusconi è forse quello che si è speso di più su questi temi. Strilli del giornale: «Scandalo politico. Dichiarazione scioccante del ministro italiano».
Sullo sfondo, in realtà, ci sono due problemi assai seri. Che le nostre autorità e quelle croate, al di là delle reciproche attestazioni di simpatia confermate giorni fa dalla visita a Zagabria di Carlo Azeglio Ciampi accolto dal suo omologo Stipe Mesic, non sono ancora riuscite a superare. Il primo è quello posto dal nostro stesso capo dello Stato: il libero accesso al mercato immobiliare. Succede infatti, spiega Furio Radin, deputato della nostra comunità al parlamento croato, che «solo agli italiani sia negata, di fatto, la possibilità di comperare case o terreni in Istria o in Dalmazia. La richiesta (obbligatoria) di un’autorizzazione del governo viene quasi sempre respinta o tirata in lungo fino a farla cadere. Coi tedeschi, gli austriaci e i belgi è tutta un'altra storia: c'è addirittura un accordo. Loro sì e noi no?».
Non bastasse c'è il secondo nodo, che ancora Ciampi ha sottolineato: il problema dei beni degli esuli va risolto «prima che essi divengano ostacoli nel negoziato di adesione della Croazia all'Unione Europea». A ruota, Gianfranco Fini è stato più esplicito. Spiegando che l'Italia non ripeterà l'errore fatto con la Slovenia, quando diede l'assenso all'ingresso di Lubiana nella Ue senza praticamente chiedere nulla in cambio. Stavolta Zagabria dovrà impegnarsi a dare al tema una soluzione dignitosa.
La risposta croata, mentre un po' di esuli irriducibili accusavano Ciampi e Fini di tradimento per non esser stati ancora più duri, non si è fatta attendere. Prima Mate Granic, ex ministro degli esteri e consigliere di Mesic, ha detto che Zagabria come erede della Jugoslavia si atterrà agli accordi di Osimo (che riconobbero agli italiani espropriati praticamente un obolo) e comunque «non è realistico che un solo paese possa rappresentare un problema per l'ingresso della Croazia nella Ue». Poi lo stesso Mesic ha ribadito che per lui la questione è chiusa e che la Croazia deve farsi carico solo di finire di pagare un risarcimento piuttosto contenuto. Per chiudere come sempre: «E chi risarcirà le vittime croate del fascismo?"
Tensioni in vista. Tanto più che sul tavolo c'è una terza cosa: la denazionalizzazione dei beni sequestrati dai titini. Tema spinosissimo: «Almeno le case disabitate o i terreni sempre rimasti di proprietà dello Stato devono essere restituiti ai proprietari originari - spiega Maurizio Tremul, presidente dell'Unione degli italiani -. Non possiamo accettare che, caduto il comunismo, siano restituiti solo ai cittadini croati». Tantomeno, concorda Radin, se passa davvero un accordo per la restituzione anche agli austriaci. Inaccettabile.
Eppure, non è solo a Lubiana e a Zagabria che la nostra comunità ha problemi: anche a Roma. La legge che riconosce la cittadinanza agli italiani rimasti nell'ex-Jugoslavia era passata con il sì di tutte le forze politiche. Poi si è arenata. Hanno altri pensieri.
Ma il primo giornale di Zagabria ha messo la sparata in bocca al nostro governo.
Il giornale ha titolato proprio così: «Pronti a invadere la Dalmazia». Col risultato di versar sale su antichi rancori. E di guastare un momento di struggente solennità: dopo decenni di oblio, gli italiani di Zara hanno oggi una casa loro.
Era un sacco di tempo che aspettavano, il vecchio professor Gastone Cohen e gli altri che nella interminabile stagione del comunismo titino e poi della guerra civile serbo-croata tennero accesa la fiammella della nostra cultura in quella che per Luigi Federzoni fu «la figliola più somigliante» di Venezia, «la più degna, la più devota». Un’isola quasi totalmente italiana, dove le 72 calli e i 15 campielli portavano i nomi di San Simeone e San Rocco e piazzale Crispi e Madonna del Castello. Spazzata via dalla guerra, dalle vendette titine per i delitti fascisti, dalla pulizia etnica.
E tutto era pronto, oggi, per la grande festa dell'inaugurazione della prima sede di una comunità che pareva morta. Consegnata agli archivi e ai rimpianti. E che invece, ritrovata se stessa con l'adesione di oltre 250 italiani e una cinquantina di slavi legati alla nostra cultura, potrebbe dar vita addirittura, in tempi brevi, a un miracolo: la nascita di una scuola materna per bambini italiani. Destinati a raccogliere il testimone dei vecchi.
Non ci volevano, le nuove polemiche. Divampate dopo due sortite riprese dal Vecernji List di Zagabria. La prima del finiano Roberto Menia, che secondo il quotidiano avrebbe «affermato che quando la Croazia entrerà nell'Unione Europea l'Italia recupererà l'Istria, Fiume e la Dalmazia». La seconda di Carlo Giovanardi, reo di avere invocato un’«invasione culturale, economica e turistica al fine di ripristinare l'italianità della Dalmazia». Vero? Falso? «Si figuri se posso invocare un'invasione come l'intende qualche nazionalista locale!», sbuffa il ministro, che del governo Berlusconi è forse quello che si è speso di più su questi temi. Strilli del giornale: «Scandalo politico. Dichiarazione scioccante del ministro italiano».
Sullo sfondo, in realtà, ci sono due problemi assai seri. Che le nostre autorità e quelle croate, al di là delle reciproche attestazioni di simpatia confermate giorni fa dalla visita a Zagabria di Carlo Azeglio Ciampi accolto dal suo omologo Stipe Mesic, non sono ancora riuscite a superare. Il primo è quello posto dal nostro stesso capo dello Stato: il libero accesso al mercato immobiliare. Succede infatti, spiega Furio Radin, deputato della nostra comunità al parlamento croato, che «solo agli italiani sia negata, di fatto, la possibilità di comperare case o terreni in Istria o in Dalmazia. La richiesta (obbligatoria) di un’autorizzazione del governo viene quasi sempre respinta o tirata in lungo fino a farla cadere. Coi tedeschi, gli austriaci e i belgi è tutta un'altra storia: c'è addirittura un accordo. Loro sì e noi no?».
Non bastasse c'è il secondo nodo, che ancora Ciampi ha sottolineato: il problema dei beni degli esuli va risolto «prima che essi divengano ostacoli nel negoziato di adesione della Croazia all'Unione Europea». A ruota, Gianfranco Fini è stato più esplicito. Spiegando che l'Italia non ripeterà l'errore fatto con la Slovenia, quando diede l'assenso all'ingresso di Lubiana nella Ue senza praticamente chiedere nulla in cambio. Stavolta Zagabria dovrà impegnarsi a dare al tema una soluzione dignitosa.
La risposta croata, mentre un po' di esuli irriducibili accusavano Ciampi e Fini di tradimento per non esser stati ancora più duri, non si è fatta attendere. Prima Mate Granic, ex ministro degli esteri e consigliere di Mesic, ha detto che Zagabria come erede della Jugoslavia si atterrà agli accordi di Osimo (che riconobbero agli italiani espropriati praticamente un obolo) e comunque «non è realistico che un solo paese possa rappresentare un problema per l'ingresso della Croazia nella Ue». Poi lo stesso Mesic ha ribadito che per lui la questione è chiusa e che la Croazia deve farsi carico solo di finire di pagare un risarcimento piuttosto contenuto. Per chiudere come sempre: «E chi risarcirà le vittime croate del fascismo?"
Tensioni in vista. Tanto più che sul tavolo c'è una terza cosa: la denazionalizzazione dei beni sequestrati dai titini. Tema spinosissimo: «Almeno le case disabitate o i terreni sempre rimasti di proprietà dello Stato devono essere restituiti ai proprietari originari - spiega Maurizio Tremul, presidente dell'Unione degli italiani -. Non possiamo accettare che, caduto il comunismo, siano restituiti solo ai cittadini croati». Tantomeno, concorda Radin, se passa davvero un accordo per la restituzione anche agli austriaci. Inaccettabile.
Eppure, non è solo a Lubiana e a Zagabria che la nostra comunità ha problemi: anche a Roma. La legge che riconosce la cittadinanza agli italiani rimasti nell'ex-Jugoslavia era passata con il sì di tutte le forze politiche. Poi si è arenata. Hanno altri pensieri.