Da Corriere della Sera del 21/10/2005
Dalla regione di Cità sarà impossibile per l’ex oligarca coagulare l’opposizione a Putin
Khodorkovskij spedito in Siberia
Il magnate sconterà i lavori forzati in un remoto villaggio
di Fabrizio Dragosei
MOSCA - Mikhail Khodorkovskij fa ancora paura e così si è deciso di spedirlo in Siberia, assieme al suo ex socio e coimputato Platon Lebedev. Il patròn della Yukos, che era stato l'uomo più ricco della Russia, ha subìto una condanna a otto anni e ora li sconterà ai lavori forzati in una colonia penale a cinquemila chilometri da Mosca. Oltre i reticolati del campo IK-10 della regione di Cità, incuneato tra Cina e Mongolia, Khodorkovskij avrà parecchie difficoltà a vedere parenti o avvocati che dovranno sobbarcarsi sei ore di volo più altre sette in macchina. L'idea che attorno all'ex magnate possa coagularsi l'opposizione a Putin, appare ora fantastica.
A Krasnokamensk la vita dei mille reclusi è dura, anche se nel sistema carcerario russo, ereditato dall'Urss e dagli zar, c'è di peggio. Nella stessa regione finirono i decabristi che nel dicembre del 1825 avevano organizzato una rivolta. Poi fu la volta dei nemici del bolscevismo. Negli anni sessanta venne creata la colonia di Krasnokamensk per far lavorare i reclusi nelle miniere di uranio.
Oggi la sveglia è sempre all'alba, ma l'attività si svolge in una fabbrica tessile, in officine meccaniche o a produrre cemento. C'è un'ora al giorno di libertà, ma nel campo IK-10 si passeggia poco, visto che già in questo periodo siamo a 9 gradi sotto zero e in pieno inverno si arriva facilmente ai meno quaranta.
In barba alla norma che prevede di spedire i reclusi in campi non troppo lontani da casa, anche Lebedev è finito oltre gli Urali. Ma molto più a Nord, al di là del Circolo Polare Artico. Nel campo di Kharp, situato nella regione Yamalo-Nenets, le giornate sono già cortissime. D'inverno il sole non sorge mai e c'è luce solo grazie alla neve che riflette il bagliore. Ma, luce o non luce, a Kharp si lavora ugualmente. Una volta gli zek, come venivano chiamati i reclusi in epoca sovietica, avevano l'abitudine di sputare in terra appena uscivano dalla baracca al mattino. Se la saliva si congelava in volo, voleva dire che il termometro era sceso sotto i meno 50. E allora niente lavoro.
I compagni di prigionia di Khodorkovskij sono soprattutto ladri e truffatori, con condanne fra i tre e i cinque anni. «Qui non ci sono criminali incalliti», ha dichiarato il direttore del campo. E questa è certamente una bella consolazione per l'ex oligarca. All'interno del territorio del campo, dicono quelli che lo conoscono bene, ci si può muovere liberamente. In generale la vigilanza è piuttosto rilassata in queste istituzioni.
Per la maggior parte si trovano in località sperdute e quasi irraggiungibili. Non a caso Solzhenitsyn, il più famoso prigioniero politico sovietico, ha parlato di arcipelago Gulag. I lager, soprattutto quelli del Grande Nord, erano come isole in mezzo a un mare di tundra e di ghiaccio. Fuggire era impossibile perché non c'era dove andare. E, per buona misura, nei trasferimenti le guardie tenevano i mitra spianati e pronti a far fuoco. Un passo a destra o a sinistra della linea di marcia era considerato tentativo di fuga.
A Krasnokamensk la vita dei mille reclusi è dura, anche se nel sistema carcerario russo, ereditato dall'Urss e dagli zar, c'è di peggio. Nella stessa regione finirono i decabristi che nel dicembre del 1825 avevano organizzato una rivolta. Poi fu la volta dei nemici del bolscevismo. Negli anni sessanta venne creata la colonia di Krasnokamensk per far lavorare i reclusi nelle miniere di uranio.
Oggi la sveglia è sempre all'alba, ma l'attività si svolge in una fabbrica tessile, in officine meccaniche o a produrre cemento. C'è un'ora al giorno di libertà, ma nel campo IK-10 si passeggia poco, visto che già in questo periodo siamo a 9 gradi sotto zero e in pieno inverno si arriva facilmente ai meno quaranta.
In barba alla norma che prevede di spedire i reclusi in campi non troppo lontani da casa, anche Lebedev è finito oltre gli Urali. Ma molto più a Nord, al di là del Circolo Polare Artico. Nel campo di Kharp, situato nella regione Yamalo-Nenets, le giornate sono già cortissime. D'inverno il sole non sorge mai e c'è luce solo grazie alla neve che riflette il bagliore. Ma, luce o non luce, a Kharp si lavora ugualmente. Una volta gli zek, come venivano chiamati i reclusi in epoca sovietica, avevano l'abitudine di sputare in terra appena uscivano dalla baracca al mattino. Se la saliva si congelava in volo, voleva dire che il termometro era sceso sotto i meno 50. E allora niente lavoro.
I compagni di prigionia di Khodorkovskij sono soprattutto ladri e truffatori, con condanne fra i tre e i cinque anni. «Qui non ci sono criminali incalliti», ha dichiarato il direttore del campo. E questa è certamente una bella consolazione per l'ex oligarca. All'interno del territorio del campo, dicono quelli che lo conoscono bene, ci si può muovere liberamente. In generale la vigilanza è piuttosto rilassata in queste istituzioni.
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