Da La Repubblica del 24/10/2005

La guerra del New York Times Il garante: "Licenziate Judith"

La Miller travolta dai veleni del Cia gate

La reporter incarcerata era nota per aver appoggiato la tesi di Bush sulle armi di distruzione di massa di Saddam
Sotto accusa il direttore Keller, a due anni dal clamoroso caso Jayson Blair che costò il posto al suo predecessore
"Questa è solo la punta dell'iceberg. Devono pagare anche i vertici che l'hanno protetta"
Una email di scuse: "Ci ha ingannato" Ma il danno di immagine è enorme

di Alberto Flores D'Arcais

NEW YORK - «Vuoi l'opinione di uno che non fa parte di alcuna cordata? Quello che succede all'interno della redazione sta diventando un regolamento di vecchi conti». Di fronte al vecchio palazzo sulla 43esima strada un reporter del New York Times racconta la crisi che ha investito il prestigioso giornale americano coperto dall'anonimato - «del resto tutta questa storia nasce dal problema delle fonti, giusto?» - e fuori dal grande open space di una redazione che nel week-end è stata più animata del solito.

«Il Cia-gate è solo la punta dell'iceberg. Non basterà certo licenziare Judith per risolvere tutti i problemi e poi se paga lei dovrebbero pagare anche il direttore che l'ha coperta e il proprietario che l'ha difesa». Judith è la signora Miller, 58 anni, reporter di punta del quotidiano, vincitrice (insieme ad altri) del premio Pulitzer 2002 per un'inchiesta sui pericoli globali del terrorismo, embedded col Pentagono durante i primi mesi della guerra in Iraq, sposata dal 1993 con Jason Epstein il fondatore della New York Review of Book. Furono proprio i suoi reportage da Bagdad, in cui parlava delle «armi di sterminio di massa», a renderla invisa a diversi suoi colleghi, a provocare le proteste di molti lettori e a costringere qualche tempo dopo la direzione del New York Times a dover ammettere: «ci siamo sbagliati».

Nei giorni scorsi nel vecchio edificio della "Old Grey Lady" (la "vecchia signora in grigio" come viene chiamato affettuosamente il Nyt) si erano levate molte voci a chiedere che la Miller venisse licenziata; non per il suoi articoli dall'Iraq ma per il ruolo avuto nel cosiddetto Cia-gate. Pur non avendo mai scritto una riga sulla intricata vicenda lei è l'unica che si è fatta (finora) 85 giorni di galera: ufficialmente per difendere il diritto della categoria a non rivelare le proprie fonti.

«Bullshit». Il giudizio secco e un po' volgare viene da un altro collega del New York Times che poi lo spiega in modo più approfondito: «La verità è che lei ha voluto andare in galera per rifarsi una verginità dopo tutte le balle che aveva scritto sulle armi di Saddam: ha detto che non poteva rivelare la sua fonte quando questa gli aveva dato il via libera già da un anno; ha mentito al suo caporedattore dell'ufficio di Washington e adesso scopriamo anche che ha mentito al direttore che l'aveva difesa a spada tratta».

Accuse forti che da giorni girano nelle email interne della redazione, accuse che sono arrivate a decine anche nel webmail del direttore Bill Keller. Il quale venerdì pomeriggio ha inviato una email circolare a tutto lo staff del quotidiano in cui accusa a sua volta Judith Miller di avere «fuorviato» lui e il giornale e ammette di «non aver capito per tempo i segnali d'allarme» che arrivavano dalla redazione. Ieri a chiedere ufficialmente le dimissioni della reporter è stato Byron Calame, garante dei lettori del Nyt: «I problemi che Miller deve affrontare dentro e fuori la redazione sono tanti e tali che difficilmente potrà rimettere piede al giornale come reporter».

«Calame ha fatto il suo dovere, Keller come sempre è arrivato tardi. E poi a lui le cose che scriveva Judith piacevano; lui era favorevole alla guerra in Iraq, lui sapeva che la fonte era Libby e non ha mai detto nulla, lui l'ha difesa contro la redazione ancora una settimana fa». I particolari di quanto successo negli ultimi giorni vengono raccontati così: «Solo dopo l'ultima deposizione di Judith al Gran Giurì - quando lei ha ammesso di aver parlato con Libby molto prima di quanto si sapeva ma aggiungendo di «non ricordare» chi fosse la sua fonte - il direttore ha capito di essere stato preso in giro dalla sua protetta. Venerdì pomeriggio ci ha scritto la email ammettendo cose che tutto il giornale sapeva e di cui parlava da giorni. Una email inviata da non si sa dove, visto che ufficialmente Keller è all'estero. Come andrà a finire? Non lo so perché il direttore ha molti appoggi e i suoi uomini sono abili nel gestire i malumori della redazione. Quel che è certo è che Raines è stata costretto a dimettersi per molto meno. E adesso qualcuno vuole regolare vecchi conti».

Quali sarebbero questi vecchi conti è presto detto. Due anni e mezzo fa il New York Times venne travolto da uno scandalo - Jayson Blair, un reporter afro-americano, ammise di avere copiato e inventato alcuni articoli - definito sulle colonne del quotidiano «il punto più basso raggiunto in 152 anni di storia del giornale»; scandalo che costò il posto al direttore Howell Raines e al suo vice Gerald Boyd costretti a dimettersi dall'editore Arthur Ochs Sulzberger jr., l'ultimo rampollo della famiglia che da oltre cent'anni è proprietaria del Nyt. Al posto di Raines - nominato nel 2001 - venne chiamato Bill Keller, un ex vicedirettore che due anni prima aveva conteso il posto proprio a Raines.

Fra i due, oltre alla rivalità per la direzione, non correva troppo buon sangue anche per una diversa concezione del giornale; Raines, un liberal, era per «modernizzare» il giornale (cosa che fece) dando più spazio in prima pagina anche a temi considerati «leggeri» (spettacolo, sport, storie personali); Keller, ex capo degli Esteri e premio Pulitzer vinto quando era corrispondente a Mosca, è invece più in linea con la vecchia tradizione un po' austera del giornale, quella che pubblica All the News That's Fit to Print, «tutte le notizie che meritano di essere stampate». «Fatti un giro nei blog che parlano della vicenda, lo sai come chiamano adesso il nostro giornale? Quello che pubblica "tutte le bugie" che meritano di essere stampate». «Sai cosa ti dico?, interviene un altro reporter, «che se Jayson Blair fosse stato bianco forse sarebbe ancora al suo posto; e magari Raines sarebbe ancora il direttore e lui di certo non avrebbe fatto tutti questi errori. Con buona pace di Keller e della Miller».

Il direttore Keller e l'editore Arthur Sulzberger non sono al momento disponibili a parlare. Le telefonate e le email per incontrarli vengono lasciate senza risposta o con un diniego di qualche segretaria («ora no, lei capisce, la situazione è complicata») e la promessa di un incontro «quando tutte le cose saranno più chiare». Keller non è in redazione e i suoi vice non sono autorizzati o non se la sentono di rilasciare dichiarazioni. Il vicedirettore Jill Abramson è stata del resto esplicita giorni fa: «Su questa vicenda abbiamo sbagliato tutto».

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