Da La Repubblica del 23/10/2005

Se tornano i veleni che inquinano lo Stato

Una "manina" sapiente spinge sotto i riflettori ciò che è ininfluente

di Giuseppe D'Avanzo

ERA un uomo storto, Francesco Fortugno ucciso una settimana fa a Locri? Era davvero una persona per bene, come hanno detto Ciampi, Pisanu, Prodi, D'Alema, e la Calabria pulita di Loiero, di Minniti, del vescovo Bregantini? O, Fortugno, lo era soltanto apparentemente perché in realtà tesseva un filo segreto con la 'ndrina di Giuseppe Morabito, Tiradiritto? Cade l'umore a vedere come, ai livelli infimi, il tempo non passa. Uccidere un uomo, si sa, è soltanto la prima mossa per i mafiosi. Per garantirsi l'impunità, dopo averlo accoppato o addirittura prima di accopparlo, è utile corrompere la verità della vita e della morte dello sventurato.

Se è innocente, bisogna farlo colpevole. Se è trasparente, opaco. Chi mai si dannerà l'anima per trovare il colpevole e la ragione di quell'assassinio? È un metodo che abbiamo visto al lavoro con buoni risultati nel corso del tempo. Anche Giovanni Falcone lo patì. Gli misero una bomba sulla scogliera davanti a casa. Soffiarono malignamente che «se l'era messa da solo». In queste ore, è la memoria di Francesco Fortugno a pagare per la ricca fiction che sempre segue un omicidio "eccellente".

Dai cd-rom di un'indagine milanese, nata per mettere le mani su Tiradiritto latitante, saltano fuori 31 telefonate tra Fortugno e il genero del mafioso. Sono davvero 31 le telefonate? E poi di quali telefonate si tratta? Se si prova a rispondere a queste domande non inutili, affiora un quadro interessante. Delle 31 telefonate, tra "tentativi di chiamata", telefonate interrotte dopo pochissimi secondi (cade la linea), telefonate registrate più volte, le conversazioni sono in totale 12 in tre anni (1997/2000). Non proprio un'assidua familiarità, pare. Bisogna però chiedersi di che cosa parlano Fortugno e il genero di Tiradiritto, entrambi medici. Risponde l'investigatore che ha condotto l'inchiesta: «Di cose da medici, per dir così. Ne parlano anche brevemente perché la più lunga di quelle telefonate effettive dura appena 181 secondi». Sono conversazioni così irrilevanti che, nell'indice dell'istruttoria, la rubrica dei controlli su 464 linee telefoniche non fa nemmeno riferimento all'utenza di Francesco Fortugno. Tuttavia, una "manina" sapiente (o disgraziata), nelle ore successive al delitto, riesce ad estrarne una traccia da un calderone di centinaia di file per avvelenare il metabolismo dei media dimenticando che, tra quei file, ci sono addirittura le prove dei contatti telefonici, con una mediazione tra il genero del mafioso (ormai latitante) e due utenze in carico al Viminale, al ministero dell'Interno. Notizia di un qualche interesse in giorni in cui si discute molto della «qualità» della presenza dello Stato in Calabria.

La mossa di spingere sotto i riflettori ciò che è ininfluente, e nascondere ciò che è essenziale, dà qualche pensiero. Chi ha in mano quei cd-rom è dentro lo Stato, ne è un funzionario o un servitore. Il suo passo falsario è fraudolento o soltanto irresponsabile? Se non ci si accontenta di restare alla superficie degli eventi, occorre chiederselo perché, se fraudolento, si avrebbe la conferma che è stata ed è anche la protezione dello Stato a garantire il potere della ‘ndrangheta. Se il passo è soltanto irresponsabile, si comprende meglio come, in Calabria, lo Stato giochi la sua partita con una squadra mediocre e inetta, come peraltro ci raccontano i conflitti interni che impegnano la magistratura calabrese, sopra ogni altra cosa.

Quel che conta è che, a una settimana dalla morte di Francesco Fortugno, 19 telefonate - irrilevanti, da qualsiasi punto di vista - hanno allontanato l'attenzione dagli assassini e dalla ‘ndrangheta per scaricarla, gonfia di sospetti, sulla vittima. La verità non può che uscirne con le ossa rotte, ed è già una tragedia. Diventa una catastrofe, se si osserva come una notizia falsa (Fortugno era in rapporti con ‘ndrangheta) ripropone e cristallizza il luogo comune nazionale che il mondo in Calabria nasca infetto e il calabrese cresca colpevole. Questo quadro culturalmente pessimistico coagula nel dibattito pubblico, nel ceto politico, nelle burocrazie, l'inerzia, la diffidenza e un distacco frigido dal fallimento della sovranità statale in quell'angolo d'Italia. Inspessisce, per dirla con le parole del governatore Agazio Loiero, una «nebulosa che rende indistinti i fatti, le storie, le responsabilità». Ci si chiede «chissà che cosa c'è dietro» e, nel vuoto di una risposta e nel pieno della disinformazione, si guarda altrove. Un ritorno al passato tanto più grave perché, con la morte di Francesco Fortugno, questa tradizionale cautela per qualche giorno è stata sospesa, con coraggio e responsabilità, dal capo dello Stato, dai leader del centro-sinistra, dal ministro dell'Interno, purtroppo non dal presidente del Consiglio. Di coraggio, responsabilità e buone informazioni, al contrario, avranno bisogno coloro che ora dovranno concordare le "cose da fare subito" per restituire libertà e decenza democratica alla vita di una terra che, come scrive l'Economist, «non è un'enclave senza regole dell'ex-Unione Sovietica, ma una regione della quarta potenza economica europea».

La prova dell'auspicata inversione di rotta l'avremo presto. In settimana. Il Parlamento esamina la legge delega sui beni confiscati alla mafia. Presentata dal governo e dalla maggioranza, prevede che la revisione per la confisca può essere fatta da chiunque ne abbia interesse. «Non c'è precedente al mondo di questa legislazione» ha gridato alla Camera il deputato calabrese Marco Minniti. Che ha implorato: «Fermatevi prima che sia troppo tardi. Così disarmate tutti». Si fermeranno davvero governo e maggioranza? O non si cureranno di spuntare la più efficace arma per ferire le mafie? Di certo, sarà questo l'immediato riscontro per sapere se, dopo l'assassinio di Fortugno, il degrado della Calabria è diventato affare di tutti, finalmente una questione nazionale. O deve essere una rogna che hanno da grattarsi da soli i calabresi. Si sa, tutti rognosi. Chi più chi meno.

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

Costituito un gruppo speciale di investigatori. Sette operazioni per individuare la rete che ha insanguinato la Calabria da maggio
Omicidio Fortugno, i cinque mesi della task force anti-'ndrangheta
Fondamentale la scoperta di una pistola dello stesso calibro di quella usata per l'omicidio dell'esponente della Margherita
su La Repubblica del 21/03/2006
Rapporto di Legautonomie. In provincia 33 intimidazioni nel 2005
Politici nel mirino

News in archivio

''Provenzano ha consolidato la sua 'strategia di inabissamento'''
Dia: ''Ponte di Messina tra gli interessi della mafia''
su Adnkronos del 04/04/2006
L'esecutore materiale sarebbe Salvatore Ritorto, 27 anni, di Locri. Provvedimento restrittivo anche per il capo cosca Vincenzo Cordì
'ndrangheta: omicidio Fortugno, arrestati i killer grazie a collaboratore di giustizia
Dopo cinque mesi di indagini individuati gli assassini
su La Repubblica del 21/03/2006
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0