Da Corriere della Sera del 25/10/2005

«Il rischio di pressioni e ricatti è continuo»

Agazio Loiero, presidente della Calabria: la ’ndrangheta ha conquistato nuovi territori «I voti della mafia? Ma noi abbiamo fatto la campagna elettorale contro la criminalità»

di Giovanni Bianconi

Presidente Loiero, lei governa la Regione Calabria: è vero o no che siete esposti al rischio di pressioni, ricatti o condizionamenti da parte della malavita?
«Senza dubbio questo rischio c’è, perché da noi la criminalità organizzata è molto pervasiva ed è penetrata anche in territori che in passato le erano estranei. Però io credo che in quest’idea ci sia una sorta di pregiudizio sull’alterità calabrese».

Cioè?
«È facile immaginare che oltre i confini della nostra regione possa accadere di tutto. Come se il nostro fosse il territorio solo dell’anarchia e della violenza. Ma la Calabria è anche altro. È quella dei ragazzi di Locri che escono di casa e gridano "no alla mafia" senza paura, nonostante le preoccupazioni e i timori dei loro genitori. I condizionamenti, forse, riguardano i genitori. Sono un problema generazionale».

Chi governa appartiene alla generazione dei genitori dei ragazzi di Locri, presidente.. .
«Le ripeto che il rischio di condizionamento c’è: parliamo di una criminalità organizzata, la ’ndrangheta, che è diventata più forte della mafia siciliana. Sul territorio se ne avverte la presenza, ed è possibile che si finisca per tenerne conto. Perché è facile dire "reagite" o "resistete", ma a Locri negli ultimi 16 mesi ci sono stati 24 omicidi rimasti impuniti. Lì è difficile schierarsi con lo Stato contro l’Antistato; fino all’omicidio del povero Franco Fortugno, quando un cittadino di Locri usciva di casa incontrava più facilmente un rappresentante dell’Antistato che dello Stato».

Quindi?
«Quindi si può arrivare a subire ricatti e a fare patti con la malavita. Ma io e la mia coalizione ci siamo candidati per non subire questa condizione. E ci sono amministratori che resistono moltissimo, spesso rischiando la vita. Per esempio il giovane sindaco di Locri. È una persona perbene, come lo era Franco Fortugno, mi deve credere sulla parola. Per questo dico che le insinuazioni su telefonate di anni fa, con un malavitoso forse all’epoca incensurato, che era anche un medico come lui, significano molto poco».

Veramente qualche problema con la giustizia quel medico l’aveva già avuto, e le telefonate sono entrate nell’inchiesta sull’omicidio. Non crede che i magistrati debbano fare chiarezza su ogni aspetto, per quanto antico, anche con «indagini scomode» come ha scritto Sergio Romano sul Corriere?
«Certo. Così come è opportuno fare chiarezza su tutti i contatti. Compresi, se esistono, quelli che porterebbero al ministero dell’Interno. Ma senza perdere di vista che l’omicidio di Franco ha avuto un’esecuzione rigorosamente di ’ndrangheta: oltre al valore dell’uomo ucciso contano il giorno e il luogo in cui è avvenuto, e questi sono segnali indubitabilmente politici. È un messaggio alla nostra Giunta e al rinnovamento che stiamo portando avanti in questa regione».

Anche con l’appoggio di amministratori appena transitati dall’altro schieramento al vostro, e altri ancora sono pronti a farlo.
«E che c’entra il cambio di casacca con la criminalità? Io ho vinto con un distacco del 20 per cento, noi abbiamo propagandato il nostro programma con grande anticipo e da tempo si aveva l’impressione che saremmo prevalsi. Questo può aver provocato anche lo spostamento di schieramento da parte di alcuni politici».

E non può aver provocato uno spostamento di consensi anche da parte della ’ndrangheta?
«Ma se noi abbiamo fatto tutta la campagna contro la criminalità organizzata! Nello statuto della Regione inseriremo un articolo in cui scriveremo che la Calabria ripudia la mafia, richiamandoci all’articolo 11 della Costituzione dove si dice che l’Italia ripudia la guerra. Sinceramente troverei sorprendente se la mafia avesse votato per noi».

Nello statuto avete aggiunto anche i sottosegretari agli assessorati, e si dice che lo abbiate fatto perché non vi bastavano i posti da spartire, vista la gente e i partiti che avete imbarcato...
«Quella è un’idea che m’è venuta perché lo stesso statuto mi obbligava a scegliere gli assessori all’interno del Consiglio, tranne due. Così, per prendere degli esperti esterni sono ricorso a questa modifica che del resto ha già degli imitatori: in Lombardia hanno fatto lo stesso».

Fortugno aveva fatto la campagna elettorale da assessore alla Sanità in pectore: perché non l’ha nominato?
«Sa quanta gente ha cercato voti presentandosi come assessore? Lui si considerava tale, come tanti altri in altri posti, ma io non avevo promesso niente a nessuno. Certo che poi dei prezzi ai partiti li ho dovuti pagare nell’assegnazione degli incarichi, ma non quello di assessore alla Sanità: io ho voluto una donna e un ex magistrato».

Crede che la minaccia e il segnale dell’omicidio Fortugno riguardi anche questa mossa?
«Credo che riguardi cose che noi abbiamo fatto, che all’esterno possono sembrare piccole ma da noi sono rivoluzionarie. Come lo spoil system negli incarichi dirigenziali, la costituzione di parte civile nei processi di ’ndrangheta, le deleghe a province, comuni e comunità montane: con quella decisione vengono smantellati centri di potere che si sono accumulati in decenni, e rompere questi meccanismi dà fastidio a molti. È rischioso, ma giusto. E noi andremo avanti».

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