Da La Repubblica del 28/10/2005
La Procura di Roma pronta a usare l'autorizzazione concessa dal ministro Castelli
Caso Calipari, dopo le perizie verso il processo ai soldati Usa
di Claudia Fusani
ROMA - «Con una perizia che dice che la pattuglia Usa ha sparato contro l'auto per uccidere sembra obbligatorio andare a processo. Si tratta di decidere l'ipotesi di reato: eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi oppure omicidio volontario con dolo eventuale». I magistrati della procura di Roma, i pm Franco Ionta, Erminio Amelio e Pietro Saviotti, hanno avuto il tempo di ragionare sulla perizia che ha ricostruito le sequenze del film della sera del 4 marzo a Bagdad quando un posto di blocco americano - la blocking position 541 - ha fatto fuoco sulla Toyota Corolla uccidendo il funzionario del Sismi Nicola Calipari e ferendo l'ostaggio appena liberato Giuliana Sgrena.
La domanda, ora che l'indagine è in pratica conclusa (le parti civili hanno trenta giorni per depositare la loro perizia) è una sola: che fine fa l'inchiesta? La risposta è un viluppo tecnico-giuridico che si muove tra due estremi: la possibilità di celebrare un processo a Roma a un militare americano; un conflitto tra Roma e Washington, tra palazzo Chigi e la Casa Bianca che finora si è sempre rifiutata di collaborare e di rispondere alle rogatorie inoltrate dall'Italia.
La procura ha la competenza per procedere: lo dice il codice di procedura penale e, soprattutto, lo ha detto il Guardasigilli che nel marzo scorso, dopo la morte di Calipari, autorizzò subito la procura ad aprire l'inchiesta. Un passaggio, quello, fondamentale.
«Avverto molto imbarazzo, vogliono mettere a tacere il caso» ha detto ieri Giuliana Sgrena. Negli uffici di piazzale Clodio i magistrati sono invece al lavoro per superare gli ostacoli, «a questo punto - ribadiscono - tutti e solo di natura giurisdizionale». Come quello della identificazione completa del militare che ha fatto fuoco con il mitra M240 calibro 7.62. Non è sufficiente il nome di Mario Lozano estratto dalla relazione Vangijel. La soluzione è suggerita, proprio in questi giorni, dalla procura spagnola. Madrid, infatti, pur non sapendo i nomi dei militari Usa che nell'aprile 2003 spararono contro il quindicesimo piano dell'hotel Palestine uccidendo un cameramen spagnolo, ritiene sufficiente l'identificazione militare dei tre soggetti, dov'erano e cosa stavano facendo al momento dell'attacco.
Il temuto, ma pare scontato, conflitto tra stati, esploderà nel momento in cui la procura di Roma farà un invito a comparire o firmerà una misura cautelare per il militare Usa. A quel punto Washington avrò due possibilità. La meno probabile: mediare con Roma e consegnare il militare protetto da una serie di garanzie. La più probabile: fa scattare la riserva di giurisdizione che mette i soldati Usa al riparo da ogni tribunale se non quello di casa. Sarebbe annullando così la firma del ministro della Giustizia e il volere di palazzo Chigi, principale alleato di Bush nella guerra in Iraq.
La domanda, ora che l'indagine è in pratica conclusa (le parti civili hanno trenta giorni per depositare la loro perizia) è una sola: che fine fa l'inchiesta? La risposta è un viluppo tecnico-giuridico che si muove tra due estremi: la possibilità di celebrare un processo a Roma a un militare americano; un conflitto tra Roma e Washington, tra palazzo Chigi e la Casa Bianca che finora si è sempre rifiutata di collaborare e di rispondere alle rogatorie inoltrate dall'Italia.
La procura ha la competenza per procedere: lo dice il codice di procedura penale e, soprattutto, lo ha detto il Guardasigilli che nel marzo scorso, dopo la morte di Calipari, autorizzò subito la procura ad aprire l'inchiesta. Un passaggio, quello, fondamentale.
«Avverto molto imbarazzo, vogliono mettere a tacere il caso» ha detto ieri Giuliana Sgrena. Negli uffici di piazzale Clodio i magistrati sono invece al lavoro per superare gli ostacoli, «a questo punto - ribadiscono - tutti e solo di natura giurisdizionale». Come quello della identificazione completa del militare che ha fatto fuoco con il mitra M240 calibro 7.62. Non è sufficiente il nome di Mario Lozano estratto dalla relazione Vangijel. La soluzione è suggerita, proprio in questi giorni, dalla procura spagnola. Madrid, infatti, pur non sapendo i nomi dei militari Usa che nell'aprile 2003 spararono contro il quindicesimo piano dell'hotel Palestine uccidendo un cameramen spagnolo, ritiene sufficiente l'identificazione militare dei tre soggetti, dov'erano e cosa stavano facendo al momento dell'attacco.
Il temuto, ma pare scontato, conflitto tra stati, esploderà nel momento in cui la procura di Roma farà un invito a comparire o firmerà una misura cautelare per il militare Usa. A quel punto Washington avrò due possibilità. La meno probabile: mediare con Roma e consegnare il militare protetto da una serie di garanzie. La più probabile: fa scattare la riserva di giurisdizione che mette i soldati Usa al riparo da ogni tribunale se non quello di casa. Sarebbe annullando così la firma del ministro della Giustizia e il volere di palazzo Chigi, principale alleato di Bush nella guerra in Iraq.