Da La Repubblica del 31/10/2005

New Delhi, allerta dopo le bombe

La strage rivendicata da un gruppo di guerriglieri del Kashmir

di Raimondo Bultrini

NEW DELHI - È una città blindata New Delhi, il giorno dopo le esplosioni che hanno insanguinato la festa delle Luci di Diwali. La tensione è altissima, la polizia fa controlli a tappeto, le misure di sicurezza sono rafforzate e le forze dell'ordine mantenute in costante pre-allerta. Ma sono di nuovo aperti i mercati colpiti dalle bombe che hanno ucciso oltre 60 persone e ne hanno ferite 180 due giorni fa, anche se ieri erano semideserti. Un segnale per far capire che la vita deve andare avanti, mentre sulla strage mette la firma un gruppo di guerriglieri del Kashmir.

Con una telefonata a un'agenzia di stampa di Srinagar, nel Kashmir indiano, secondo la tv locale NdTv24x7, "Islami Inqilabi Mahaz" ("Gruppo islamico rivoluzionario") si è attribuito la paternità degli attentati, minacciando una nuova ondata di violenze. «Questi attacchi proseguiranno finché l'India non ritirerà le sue truppe dal Kashmir e non metterà fine alle sue inumane attività», ha ultimato il portavoce del gruppo, Ahmed Yar Gaznavi.

Gli inquirenti rispondono che la mano delle bombe è una sola, ma non sembrano convinti che sia quella di "Inqilabi". Potrebbe essere un tentativo di depistare la ricerca dei veri responsabili, dicono. Dietro questa sigla ci potrebbe essere un'organizzazione più strutturata. Forse "Lashkar-e-Taiba", uno dei principali gruppi separatisti del Kashmir di base in Pakistan, accusato dell'attacco al Parlamento federale di New Delhi del 2001. Karnail Singh, coordinatore delle forze di polizia, spiega: «Sappiamo che "Inqilabi" fu creato nel '96, che da allora non è stato particolarmente attivo, e che tuttavia ha legami con Lashkar-e-Taiba, che insieme al Jaish-e-Mohammed (esercito di Mohammed), è tra i principali gruppi estremisti della guerriglia separatista del Kashmir pachistano ritenuto vicino ad Al Qaeda».

In queste ore gli esperti di antiterrorismo si interrogano sulle ragioni degli attentati. «È possibile che volessero colpire il processo di pace tra India e Pakistan», dice Rohan Gunaratna, studioso di Singapore. Poche ore dopo le esplosioni i diplomatici dei due paesi hanno raggiunto un accordo per riaprire ai civili la Linea di controllo che divide il Kashmir, dal 7 novembre, e poter raggiungere le popolazioni colpite dal terremoto.

Arriva intanto la condanna della comunità internazionale, da Solana alla Rice, e il Pakistan li definisce «un criminale atto di terrorismo», mentre il primo ministro Singh visita gli oltre cento feriti ricoverati in ospedale a New Delhi e in un messaggio alla tv dice: «Siamo determinati a combattere il terrorismo in tutte le sue forme». Le autorità locali raccomandano prudenza e fanno appello alla gente a evitare le aree affollate nei giorni della festa hindu di Diwali martedì prossimo e di quella islamica di Eid al-Fitr. Le indagini proseguono: una ventina di persone sono state fermate per essere interrogate, ma il ministro degli Interni Sri Prakash Jaiswal conferma che ancora non ci sono stati arresti connessi agli attentati.

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