Da La Repubblica del 06/11/2005

Cina, ospedali solo per ricchi in corsia come a Wall Street

Nella capitale crolla il mito dello Stato Welfare

Il costo delle visite mediche, dei ricoveri, dei farmaci è proibitivo. I più poveri spesso rinunciano alle cure
Nella Repubblica popolare, governata da un partito che si definisce comunista, tutto si paga, anche nei servizi pubblici
Nell'atrio i pazienti vengono accolti da un tabellone su cui scorrono i listini dei prezzi, come fossero il valore delle azioni Microsoft
Con una larga percentuale della popolazione economicamente disagiata e priva di assicurazione, molti non hanno accesso alle terapie

di Federico Rampini

PECHINO - Si avvista da lontano l'insegna rossa sul tetto del grande palazzo: Istituto di Pechino per le malattie respiratorie e cardiovascolari. Se mai un giorno la febbre aviaria dovesse diventare un'epidemia umana, questa sarà una delle trincee strategiche nella reazione del sistema sanitario cinese. Appena varcato il portone, la sorpresa per il visitatore straniero è garantita. In uno dei più avanzati ospedali pubblici della capitale, il salone d'ingresso accoglie la folla dei pazienti con dei tabelloni elettronici luminosi che sembrano le quotazioni di Borsa di Wall Street. Ed è proprio così, sono quotazioni quelle che sfilano senza sosta sui grandi schermi. Sono i prezzi di ogni visita specialistica. Delle analisi del sangue. Degli interventi chirurgici. A fianco, su un'altra parete si illuminano i prezzi dei medicinali, che scorrono su e giù come fossero la parità euro- dollaro o il valore delle azioni Microsoft. Perfino sul muro dove sono elencati i nomi dei medici, accanto a ogni professore e alla relativa specializzazione c'è in bella evidenza una cifra in yuan, il costo della visita. Nella sanità pubblica cinese tutto si paga e - in proporzione ai salari locali - si paga caro. Drappelli di malati e dei loro familiari si accalcano all'ingresso dell'ospedale, scrutando attentamente i vari listini: le operazioni, le medicine, le visite. Bisogna farsi i conti in tasca prima di prendere appuntamento, e in certi casi ci si rassegna e si torna a casa. Prendo appunti mentre il tabellone lampeggia veloce. Un intervento di pronto soccorso per la rianimazione: 120 yuan (12 euro). Una lastra di raggi X: 30 euro. Una diagnosi sul sistema immunitario: 40 euro. Venti euro le analisi del sangue.

Queste tariffe non sarebbero esose in un paese occidentale ma a Pechino i salari di molti lavori manuali si aggirano ancora sui 100 euro al mese. Per operai e muratori, fattorini e commesse, autisti e donne delle pulizie, i grandi schermi luminosi all'ingresso dell'ospedale pubblico sono il simbolo di una barriera invalicabile. Perfino il costo dell'assistenza infermieristica è alto per le tasche dei ceti popolari - 10 euro al giorno i ricoveri post-operatori - eppure la qualità del servizio sembra modesta a giudicare dai pazienti posteggiati sui letti nei corridoi o nello stesso salone d'ingresso, accuditi dai familiari. Non si salvano le medicine. Nove euro una sola confezione per diabetici. Tre euro il Kan Rui Tan anti-allergico.

Due euro una scatoletta di banali pastiglie contro il raffreddore.

Per chi ne guadagna cento al mese, anche un'influenza è un taglio nel tenore di vita. Sui farmaci - lo denuncia apertamente la stampa governativa - c'è un racket di tangenti tra le cause farmaceutiche e i dottori, un business reso più lucroso dal fatto che gli ospedali stessi gestiscono le farmacie e redistribuiscono i profitti tra i medici.

La Repubblica popolare cinese, governata da un partito che non ha mai smesso di definirsi comunista, è passata in un ventennio dallo statalismo egualitario alla scomparsa di ogni Welfare State. Tutto si paga, anche nei servizi pubblici. Zhang Jian, 43enne impiegato di una televisione di Pechino, fa parte del ceto medio. Guadagna 2000 euro lordi al mese, cioè venti volte un manovale. E' un benestante eppure anche lui sente il morso finanziario di una sanità che pubblica è solo di nome. Lui col contributo aziendale ha accesso all'assicurazione sanitaria di Stato pagando di tasca sua la modesta cifra di 15 euro mensili. «Ma fino a 2000 yuan (200 euro) di spesa - dice Zhang - lo Stato non mi rimborsa niente, devo pagarmi tutto, anche il pronto soccorso. Per le operazioni più importanti, poi, il rimborso è decrescente. Dai 2000 ai 5000 yuan lo Stato si fa carico del 90 per cento, poi dell'85 per cento, poi dell'80 per cento via via che il costo sale». Questi rimborsi hanno un altro limite, valgono solo per le cure ricevute in pochi ospedali pubblici convenzionati. Chi va a farsi curare altrove non è coperto. E le cliniche private per nuovi ricchi dilagano a macchia d'olio. Zhang per una banale operazione di emorroidi è dovuto andare nel privato e ha speso 3500 yuan: due mesi di salario operaio. China Daily, organo ufficiale del governo, rivela che nelle grandi città il 60 per cento degli abitanti sono sprovvisti di assicurazioni e devono pagarsi tutte le cure.

Se il cittadino di Pechino vive lo choc dei tabelloni luminosi con le "quotazioni" della sua salute ogni volta che va all'ospedale, è nelle campagne che la situazione è più drammatica. China Daily ammette che tra gli abitanti delle zone rurali - 800 milioni di cinesi - la quota di quelli che non hanno nessun rimborso sanitario balza al 90 per cento. Il risultato è che molti contadini non vedono mai un medico né mettono piede in un ospedale, salvo in punto di morte. Ai tempi di Mao Zedong nelle campagne giravano i mitici "medici scalzi" che dovevano portare le cure elementari alla popolazione più povera. Anche se la propaganda maoista li esaltava, la loro competenza era modesta e i metodi arcaici.

Almeno però riuscirono a far scendere i livelli di mortalità, a un'epoca in cui la Cina era un gigante povero che stentava a sfamare i suoi abitanti. Ora il paese è una potenza economica ma è diventata una versione estremista dell'economia di mercato.

Il dissesto del sistema sanitario non preoccupa solo i cinesi. Sono appena stati individuati nuovi focolai della febbre aviaria.

L'Organizzazione mondiale della sanità considera la Cina come il "laboratorio" ideale perché la malattia passi dall'animale all'uomo e assuma dimensioni epidemiche. Con un miliardo e 300 milioni di abitanti, 14 milioni di pollame d'allevamento, e il 70 per cento dei passaggi mondiali di uccelli migratori, questa è la zona del pianeta a maggior rischio. E' anche un anello debole nelle difese d'emergenza che dovrebbero scattare. Nel caso dell'epidemia della Sars si persero sei mesi perché il riflesso autoritario del regime censurò le notizie sulla malattia. Ora Pechino sembra decisa a praticare la trasparenza. Ma se la febbre aviaria diventa una pandemia umana, i primi focolai saranno nelle regioni rurali più sprovviste di strutture sanitarie. Mentre ospedali e medici si specializzano nel vendere cure alla nuova middle class agiata delle grandi metropoli, il resto della Cina deve sperare nella buona sorte.

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