Da Corriere della Sera del 06/11/2005
Periferie francesi, la notte più violenta
Centinaia di auto bruciate. I genitori delle vittime: ora basta. Due cortei silenziosi contro il caos
di Massimo Nava
PARIGI - Nemmeno elicotteri, fotocellule e tremila poliziotti fermano l'onda di violenza nelle periferie francesi. Ripetitiva e preordinata, la guerriglia è ricominciata sabato sera, sfiorando il centro di Parigi, con tre auto incendiate nella terza circoscrizione. Gruppi di giovani (sono stati fermati ragazzini di 10 e 12 anni, con bottiglie incendiarie) hanno assaltato scuole, asili, centri sociali, stazioni di polizia. Una furia cieca, che suscita la reazione della popolazione esasperata, rimette in circolo parole d'ordine xenofobe, destabilizza il governo francese e il suo uomo forte, il ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy.
All'ombra di blocchi di cemento uguali, alti e grigi, le carcasse di auto bruciate fanno ormai parte del paesaggio: più di 300, nella decima notte di vandalismi, assalti a negozi e luoghi pubblici, aggressioni a tutto ciò che rappresenta la Francia bianca, dai pompieri agli agenti, dai sindaci agli operatori sociali spediti da queste parti, con una montagna di sussidi, a predicare integrazione nei valori della République .
Parigi è davvero vicina e lontanissima. La «Nazionale 3» attraversa cittadine appiccicate alla metropoli. Una grande Brianza più povera, zeppa di fabbriche, autosaloni, supermercati, shopping center, depositi. Ma anche di asili nido, campi gioco, licei, ritrovi. Non c'è nulla di più falso dell'immagine di bidonville abitata da disperati. L'apartheid è territoriale. Si traduce nel senso di esclusione di una generazione nata e cresciuta in Francia. Si rafforza con i confini invisibili delle bande, della piccola criminalità, del sommerso che garantisce sopravvivenza e consumi. I proclami di Sarkozy sono stati benzina sul fuoco, hanno prodotto rivalsa e umiliazione generalizzata, attizzato micce in tante altre città della Francia, da Strasburgo a Marsiglia, da Rennes a Tolosa. Ieri sera persino sulla Costa Azzurra, da Cannes a Nizza.
L'effetto moltiplicatore di televisione, blog, cellulari è stato devastante. Estremisti e mestatori hanno trovato facile consenso. Un sindacato di poliziotti denuncia la presenza di islamisti radicali nei disordini, il che è possibile in quartieri da cui sono partiti anche volontari per l'Iraq. Al tramonto, si preparano bottiglie molotov. Le bande si spostano da un quartiere all'altro, decidono obiettivi da colpire. «Sarkozy ci considera tutti teppisti? Glielo abbiamo dimostrato. Adesso ci deve chiedere scusa». Ma la cenere è incandescente da tempo: la mente corre ad un episodio premonitore di tre anni fa, quando la nazionale di calcio, infarcita di campioni maghrebini, venne fischiata da migliaia di giovani che sostenevano la squadra avversaria, l'Algeria.
Clichy-sur-Bois è stato l'avvio della rivolta. Qui è deserto anche il McDonald's. E sembra un angolo di Occidente in un quartiere di donne velate, caffetani colorati e insegne arabe e africane.
Gruppetti di giovani - incappucciati nelle felpe abbondanti da rappeur - tirano dritto, con occhi bassi che tradiscono rancore e paura. Qui sono morti i due adolescenti che si erano rifugiati in una centrale elettrica per sfuggire alla polizia. E qui si è compiuto il misfatto che fa temere una deriva religiosa della protesta: tre lacrimogeni finiti dentro la moschea, mentre la gente pregava. «Incidente», secondo le versioni ufficiali, ma qui tutti credono il contrario. «Non c'era motivo di attaccarci. Questa è una comunità tranquilla. Ci sono piccoli delinquenti, come dappertutto. Sopravviviamo, come hanno fatto i nostri padri venuti dall'Algeria», spiega un giovane. Le cifre parlano per lui: la metà dei 28 mila abitanti ha meno di 25 anni, un quarto sono disoccupati. Ma qui il governo ha stanziato 330 milioni di euro per rinnovare 4.000 alloggi. «Adesso siamo tutti in collera, ma almeno si parla di noi. Cattivi e famosi, evviva».
I soli che sembrano in grado di calmare la rivolta sono gli adulti di questa generazione «no future». Genitori, insegnanti, operatori sociali, capi religiosi, sindaci che stanno dando la più dignitosa dimostrazione di civiltà alla Francia impaurita, ostile, preoccupata per la sua immagine. Anche i genitori delle vittime di Clichy hanno rivolto un appello di pace. A Epinay, una marcia silenziosa, per solidarietà con l'impiegato pestato a morte nelle notti scorse. Una marcia turbata da estremisti di destra, venuti qui a urlare «questa gente odia la Francia». A Aulnay, tremila sono sfilati dietro uno striscione «No alla violenza, si al dialogo». Ci sono anche coraggiosi come Mourad, operatore sociale maghrebino, che ha cercato di fermare una banda con bottiglie incendiarie. Lo hanno insultato e picchiato: «Mi senso umiliato. Il mio lavoro non conta più. Ma di chi è la colpa?».
All'ombra di blocchi di cemento uguali, alti e grigi, le carcasse di auto bruciate fanno ormai parte del paesaggio: più di 300, nella decima notte di vandalismi, assalti a negozi e luoghi pubblici, aggressioni a tutto ciò che rappresenta la Francia bianca, dai pompieri agli agenti, dai sindaci agli operatori sociali spediti da queste parti, con una montagna di sussidi, a predicare integrazione nei valori della République .
Parigi è davvero vicina e lontanissima. La «Nazionale 3» attraversa cittadine appiccicate alla metropoli. Una grande Brianza più povera, zeppa di fabbriche, autosaloni, supermercati, shopping center, depositi. Ma anche di asili nido, campi gioco, licei, ritrovi. Non c'è nulla di più falso dell'immagine di bidonville abitata da disperati. L'apartheid è territoriale. Si traduce nel senso di esclusione di una generazione nata e cresciuta in Francia. Si rafforza con i confini invisibili delle bande, della piccola criminalità, del sommerso che garantisce sopravvivenza e consumi. I proclami di Sarkozy sono stati benzina sul fuoco, hanno prodotto rivalsa e umiliazione generalizzata, attizzato micce in tante altre città della Francia, da Strasburgo a Marsiglia, da Rennes a Tolosa. Ieri sera persino sulla Costa Azzurra, da Cannes a Nizza.
L'effetto moltiplicatore di televisione, blog, cellulari è stato devastante. Estremisti e mestatori hanno trovato facile consenso. Un sindacato di poliziotti denuncia la presenza di islamisti radicali nei disordini, il che è possibile in quartieri da cui sono partiti anche volontari per l'Iraq. Al tramonto, si preparano bottiglie molotov. Le bande si spostano da un quartiere all'altro, decidono obiettivi da colpire. «Sarkozy ci considera tutti teppisti? Glielo abbiamo dimostrato. Adesso ci deve chiedere scusa». Ma la cenere è incandescente da tempo: la mente corre ad un episodio premonitore di tre anni fa, quando la nazionale di calcio, infarcita di campioni maghrebini, venne fischiata da migliaia di giovani che sostenevano la squadra avversaria, l'Algeria.
Clichy-sur-Bois è stato l'avvio della rivolta. Qui è deserto anche il McDonald's. E sembra un angolo di Occidente in un quartiere di donne velate, caffetani colorati e insegne arabe e africane.
Gruppetti di giovani - incappucciati nelle felpe abbondanti da rappeur - tirano dritto, con occhi bassi che tradiscono rancore e paura. Qui sono morti i due adolescenti che si erano rifugiati in una centrale elettrica per sfuggire alla polizia. E qui si è compiuto il misfatto che fa temere una deriva religiosa della protesta: tre lacrimogeni finiti dentro la moschea, mentre la gente pregava. «Incidente», secondo le versioni ufficiali, ma qui tutti credono il contrario. «Non c'era motivo di attaccarci. Questa è una comunità tranquilla. Ci sono piccoli delinquenti, come dappertutto. Sopravviviamo, come hanno fatto i nostri padri venuti dall'Algeria», spiega un giovane. Le cifre parlano per lui: la metà dei 28 mila abitanti ha meno di 25 anni, un quarto sono disoccupati. Ma qui il governo ha stanziato 330 milioni di euro per rinnovare 4.000 alloggi. «Adesso siamo tutti in collera, ma almeno si parla di noi. Cattivi e famosi, evviva».
I soli che sembrano in grado di calmare la rivolta sono gli adulti di questa generazione «no future». Genitori, insegnanti, operatori sociali, capi religiosi, sindaci che stanno dando la più dignitosa dimostrazione di civiltà alla Francia impaurita, ostile, preoccupata per la sua immagine. Anche i genitori delle vittime di Clichy hanno rivolto un appello di pace. A Epinay, una marcia silenziosa, per solidarietà con l'impiegato pestato a morte nelle notti scorse. Una marcia turbata da estremisti di destra, venuti qui a urlare «questa gente odia la Francia». A Aulnay, tremila sono sfilati dietro uno striscione «No alla violenza, si al dialogo». Ci sono anche coraggiosi come Mourad, operatore sociale maghrebino, che ha cercato di fermare una banda con bottiglie incendiarie. Lo hanno insultato e picchiato: «Mi senso umiliato. Il mio lavoro non conta più. Ma di chi è la colpa?».
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