Da La Repubblica del 07/11/2005

Come placare questo odio

di Renzo Guolo

I BAGLIORI degli incendi che illuminano le notti francesi ci mostrano i limiti dei modelli di integrazione degli immigrati sin qui adottati in Europa. Gli attentati di Londra e l'assassinio di Teo Van Gogh hanno reso evidente la crisi del multiculturalismo, sia in versione comunitarista britannica, sia in quella olandese fondata sui pilastri confessionali. Nel tentativo di riconoscere identità collettive nello spazio pubblico, entrambi lo hanno trasformato in un reticolo di comunità non comunicanti. Ora è la volta dell'edificio assimilazionista francese, basato su principi del tutto opposti, a mostrare le sue crepe.

Superate le insidiose questioni poste dall'affaire del velo, separando nettamente cittadinanza e identità religiosa, sfera privata e sfera pubblica, la Francia si accorge che quel modello di stampo universalista, assai generoso in termini di accesso alla cittadinanza e di affermazione dell'uguaglianza formale, non è sufficiente a produrre integrazione tra i suoi cittadini che vivono nelle periferie.

Non basta, insomma, concedere la cittadinanza se poi i diritti che ne derivano non possono essere esercitati a causa di disuguaglianze economiche e sociali che li vanificano di fatto. Contrariamente ai loro padri o "fratelli maggiori", agli incendiaires di Aulnay o Clichy non è più sufficiente l'essere francesi; essi chiedono di accedere a quello sportello della modernità che per loro appare quasi sempre chiuso. Divenuti francesi, le seconde o terze generazioni di giovani magrebini o africani che in queste notti senza notte accendono roghi che credono purificatori, non si accontentano più dell'esaltazione della loro uguaglianza formale. O di vedersi indicato a esempio di integrazione riuscita quella nazionale di calcio, che vede militare nelle sue file più figli di immigrati che di autoctoni.

La spirale dell'emarginazione che li avvolge, a volte indolentemente coltivata dietro al mantenimento di identità etniche e tribali tanto rassicuranti quanto riproduttrici di marginalità sociale; spesso condizione obbligata per l'assenza di politiche pubbliche capaci di promuovere integrazione e mobilità sociale ascendente, si trasforma così in odio. Quell'odio che ci aveva mostrato già dieci anni fa nel suo film Kassowitz titolato, non a caso, La haine. Un vero e proprio pugno nello stomaco profetico per gli spettatori. Un sentimento, quello dell'odio, sfociato in gesta criminogene, in forme di jacquerie urbana alimentate non solo dai disperati senza futuro ma, anche, dalla delinquenza di quartiere decisa a regolare i conti con la tolleranza zero di Sarkozy. Una rivolta che si estende ormai fuori dai quartieri che le stesse istituzioni hanno lasciato diventare "no go areas", spazi urbani e sociali in cui fare rapide incursioni di polizia lasciati poi sostanzialmente a sé stessi. Rivolta che si allarga alle periferie dell'intero Esagono. Destinata a scavare un'ulteriore barriera tra la Francia, non solo quella profonda, e gli immigrati; a dare fiato alla xenofobia mai troppo latente. I suoi protagonisti non chiedono un diverso sistema politico ma l'accesso al mercato dei consumi; lavori meno precari, la fine della coabitazione claustrofobica nei quartieri ghetto. Insomma il loro sogno non è far riemergere la vecchia talpa che scava in nome dell'unità dei "nuovi dannati della terra", quanto quell'inclusione che nemmeno il modello renano, ormai insidiato nelle fondamenta dalla crisi fiscale dello stato e dall'ideologia dello stato minimo, sembra più poter assicurare.

Nella periferizzazione delle periferie hanno giocato un ruolo essenziale fattori come la concentrazione urbana in alcuni quartieri dei gruppi etnici; un modello educativo pencolante tra un concreto tribalismo etnico e familiare e quello veicolato astrattamente dalla scuola assimilazionista; una marginalità che si è riprodotta, se non con poche eccezioni, anche sul terreno scolastico: generando così ulteriore marginalità. Condizionamento ambientale, impossibilità di uscire dal ghetto spaziale e culturale, qualità dei servizi pubblici, tutto ha riprodotto quella separatezza dalla quale molti sembrano ormai convinti che non resti che separarsi. Da questa disperata rinuncia nasce quel processo che in Francia ha visto, in questi anni, il totale abbandono della banlieu da parte dello Stato, delle forze politiche, dell'associazionismo.

Ripensare l'integrazione diventa, dunque, un passo necessario per garantire la pace sociale in una società ormai senza rete. Il caso francese mostra che la sola concessione della cittadinanza formale, senza politiche sociali di sostegno che colmino il gap nelle opportunità di accesso non può placare l'odio dei nuovi casseurs. Non sarà una maglia con il nome di Thuram o Vieirà sulle spalle a rimettere in forma l'immaginario collettivo dei giovani che languono lungo i marciapiedi di Barbés. Lo scarto tra responsabilità, e scelta, individuale e vincoli di sistema appare troppo grande per essere superato da soli. Senza un intervento pubblico che affronti questi temi non solo la Francia ma l'intera Europa è destinata a diventare nei prossimi anni palcoscenico delle nuove rivolte dell'odio. Sbaglia chi ritiene che dietro a esse vi siano gruppi islamisti. Ma quelle organizzazioni islamiste che in queste ore hanno fatto da "pompiere" per spegnere l'incendio sociale, hanno esercitato nella circostanza una supplenza istituzionale; occupando il vuoto lasciato da partiti e istituzioni. Un'azione che darà loro un prestigio che non sarà facile ridimensionare. E che farà transitare in quelle file quanti cercheranno nella strada della reislamizzazione identitaria delle comunità immigrate un antidoto non solo alla microcriminalità, la droga e il carcere ma anche alla marginalità sociale. Una vera politica di integrazione diventa dunque indispensabile prima che la polarizzazione sociale si trasformi, anche, in irriducibile scontro sui valori.

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