Da Corriere della Sera del 11/11/2005
Originale su http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/11_Novembre/11/parigi.shtml

Viaggio nei sobborghi di Parigi, teatro degli scontri degli ultimi giorni

Tra gli incendiari della banlieue: «Non abbiamo capi, solo odio»

I figli degli immigrati che vivono nelle periferie messe a ferro e fuoco: «Noi siamo veri francesi. Ma per noi non c'è futuro»

di Massimo Nava

PARIGI - Il coprifuoco può essere necessario come misura di ordine pubblico, ma sembra superfluo quando ci si addentra nella sterminata periferia parigina. E' il deserto perfetto e non capisci se tutto è fermo e chiuso perché i giovani ribelli hanno paura dei poliziotti che pattugliano le strade o perché questo è il modello quotidiano di milioni di cittadini che si alzano all'alba e qui ci tornano a dormire.

«La ricreazione è finita», dice il sindaco di Raincy, il primo a emettere un divieto di circolazione per minorenni cattivi, che però non risiedono nel suo comune fiorito, con insegne di boutiques e ristoranti esotici - sushi bar e couscous - dove la borghesia che non si può più permettere di vivere a Parigi ha comprato case da tremila euro al metro quadrato. Il suo è un editto «sanitario». Il pericolo di contagio è un chilometro più in là, a Clichy-sous-Bois, il ghetto etnico all’origine dalla fiammata di disordini che ha sconvolto la Francia. Qui si entra in un altro mondo. Fra blocchi di cemento allineati, grigi e uguali, cambiano i colori della pelle, i vestiti delle donne, le insegne di mercati e luoghi pubblici. Ci sono la macelleria araba e il bagno turco, la moschea e il primo «Burger King Muslim». Solo i graffiti sui muri ci riportano in Occidente.

Ma nel deserto perfetto di questa notte, vedi soltanto keuf (così chiamano i poliziotti) e pompieri, accampati vicino a carcasse di auto bruciate. Il coprifuoco ha avuto effetti immediati, «nessun allarme sulle frequenze radio», dice il capitano della «gendarmerie», con gli occhi gonfi per l'ennesimo turno di servizio. Clichy-sous- Bois vuol dire «sotto il bosco». Un tratto bucolico che si ripete in decine di comuni che vogliono ricordare fiumi, foreste e vigneti, ma dove ci si vergogna di vivere. «Già è difficile con il cognome che porti e la fotografia, ma se dai questo indirizzo, le possibilità di trovare un lavoro diminuiscono subito», racconta Rachid, giovane diplomato.

Dai piani alti dei blocchi di cemento, se il cielo è sereno, si vede la Tour Eiffel illuminata. E' un miraggio, ma raggiungibile in metropolitana. I giovani beur, figli e nipoti d'immigrati, francesi a tutti gli effetti, ci vanno al sabato, con il cappellino da basket, le scarpe da tennis e le scritte americane sulla tuta. Guardano le vetrine, provano con scarso successo a entrare in una discoteca, e tornano a casa, con le «stigmate» del territorio, più arrabbiati di prima. E sfasciano questa Francia che non possono vivere e consumare come gli altri.

Clichy è al sesto posto nella classifica delle città più povere di Francia: 36 per cento di disoccupati fra i 15 e i 18 anni. Nemmeno la polizia che sorveglia le banlieues è «mista»: è stato calcolato che soltanto l'uno per cento dei commissari è di origine straniera. Quando vengono intervistati dicono «Noi francesi». «Io lo sono più degli altri. Mio nonno ha combattuto in Indocina e mio padre in Algeria. Siamo noi che abbiamo fatto la Francia - dice Yusuf, impiegato in una ditta di pulizie -. Volevo studiare, ma qui sono prevenuti anche gli insegnanti. Ti spingono all'indirizzo professionale e tu capisci che non sarai mai come gli altri. I più deboli si perdono per strada. Quelli che bruciano le macchine e le scuole hanno quindici anni. Non si rendono nemmeno conto di combattere contro se stessi. Adesso siamo diventati tutti un problema di criminalità e d'integrazione. Che brutta parola, usata a sproposito per noi francesi».

Nel deserto perfetto, senza traffico e in assenza apparente di vita, la segregazione territoriale è ancora più evidente e doppia. Fra la periferia e Parigi e all'interno delle stesse periferie. Chi vive maluccio nella capitale si trasferisce nei quartieri rinnovati, dove un tempo vivevano gli operai e gli immigrati italiani, spagnoli, polacchi. Maghrebini e africani restano nel ghetto, separato da un cavalcavia o dai binari del metrò.

Ad Aulnay (sempre sous bois, sotto il bosco), dove è andato in fumo un autosalone della Renault e il guardiano è in fin di vita, i prezzi delle case sono aumentati del 30 per cento negli ultimi due anni. Gli ottantamila abitanti s'identificano con chi sta a nord e chi sta a sud. Dice Anne, impiegata di questo sud borghese: «Abbiamo cambiato le abitudini. Si cerca di tornare a casa molto presto. L'unica cosa che abbiamo in comune con il nord è il metrò e a bordo può succedere di tutto». Qui già in passato il sindaco aveva provato a dichiarare il coprifuoco per difendere le aiuole fiorite e le isole pedonali. L'ostilità, come in tanti comuni «sous bois», è palpabile, si traduce nel consenso alle misure di repressione e nel grande pericolo politico che colpisce al cuore le certezze francesi: il Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen che da queste parti vorrebbe far arrivare l'esercito.

A «sud» ci sono il teatro comunale, i negozi e gli uffici di L’Oréal. A «nord» c'è la «Cité 3000». Il nome indica il numero di alloggi, che sono alveari con le padelle satellitari alla finestra. In quelli di Aulnay vivono trentamila persone, il 40 per cento della popolazione, una cinquantina le «nazionalità» rappresentate. Gli ultimi arrivati sono turchi e cinesi. Le statistiche sono ripetitive nella banlieue: il doppio di giovani e il doppio di disoccupati. In alcuni villaggi sur bois, i casermoni per i beurs sono blocchi orizzontali di 400 metri. Dentro ci sta tutto, dal minimarket all'ambulatorio. Per i ragazzini, nemmeno un bar.

Da queste parti, le ultime notti sono state durissime. Ci sono carcasse di auto e cumuli d'immondizia, perché i cassonetti servivano per roghi e barricate. Con il coprifuoco, i poliziotti si annoiano infreddoliti sui gipponi. «Stasera sono tutti in casa, forse si sono sfogati abbastanza. O forse non c'è più benzina per le molotov», dice Mohammed, che si presenta come «mediatore sociale». «Abbiamo cercato di fermarli, di convincerli a smettere. Ma tiravano pietre anche ai pompieri. Chi crede che ci siano bande organizzate dovrebbe conoscere questi ragazzini. Qui non ci sono capi di nessun tipo, né padri né professori né boss. Sono abbandonati a se stessi, dormono di giorno ed escono di notte».

Eppure, Aulnay è una delle zone da cui giovani diplomati sono stati ammessi a Science-Po, l'istituto universitario superiore di scienze politiche. I 180 ragazzi della banlieue hanno ottenuto risultati equivalenti a quelli dei coetanei bianchi arrivati dai licei esclusivi. «L’unica cosa saggia che ho sentito dal governo in questi giorni - spiega un amico del mediatore - è che i francesi devono cambiare mentalità. Anche se vivessimo nei quartieri più belli del mondo ci vedrebbero diversi. I poliziotti dovrebbero cominciare a darti del lei e a smetterla di provocare e insultarti».

Cinquemila macchine ridotte a cenere non aiutano. Anzi. Tre quarti dei francesi approvano il coprifuoco. In diversi comuni, i cittadini hanno organizzato ronde di autodifesa, pattugliamenti con cellulari ed estintori. Nella Seine-Saint-Denis, il dipartimento 93 del deserto perfetto, la criminalità è aumentata del 30 per cento in dieci anni. Il 40 per cento dei fermati in questi giorni sono minori.

A Grigny, nell'Essone, gli elicotteri volteggiano sulla più emblematica architettura della segregazione, la «Grande Borne», un serpente di cemento che si annoda su stesso, dove sono stipati dodicimila abitanti. Gruppetti di ragazzini se ne stanno accovacciati negli androni. Si rifiutano di parlare allo «straniero» e non è il caso d'insistere. Gli «integrati» di Grigny si sono trasferiti in un quartiere più decente, a poche decine di metri. Fared, marocchino, paga 600 euro al mese per 60 metri quadrati. E' cittadino francese, perché suo padre aveva servito l' Armée . Tende e divani del salotto ci portano a Casablanca. Il telegiornale, su schermo piatto, racconta questa «intifada» francese di cui Fared si vergogna. «L'unica cosa che conta è la famiglia. Se dai qualche sberla, i ragazzi crescono educati e rispettosi. Qui, di notte, succede di tutto. Mi hanno rubato la radio, la macchina, un camioncino. Alla terza volta non fai nemmeno denuncia. Però se parcheggi male, il poliziotto ti fa la multa». Fared ha fatto il muratore e il tassista per mandare tre figlie nei licei dei paesi fioriti, come Savigny-sur-Orge, dove si studia in un castello della Rinascenza e al pomeriggio si va alla palestra di danza. Anche qui, il coprifuoco è entrato in vigore prima che il governo lo annunciasse, invocato dai cittadini in seguito all'assalto di una scuola.

A Grigny ci sono la fabbrica della Coca Cola e i laboratori della Formula Uno Renault, ma l'attività più attraente per i giovani disoccupati della «Grande Borne» è la raccolta di vestiti usati, organizzata da un centro sociale. Gli altri gironzolano nei parcheggi. Non tutti hanno avuto un padre come Fared.

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