Da La Repubblica del 16/11/2005

Il conflitto fra Tamil e governo e le altre tensioni rischiano di rallentare la ricostruzione

Sri Lanka dopo lo tsunami al voto sognando la pace

di Giampaolo Cadalanu

COLOMBO - Amanullah Siteghe continua a girare senza problemi per le strade di Pottuvil, nonostante le minacce di morte. È stato delegato dalla Fao per tenere i contatti con le organizzazioni non governative del villaggio, nella costa sud-orientale dello Sri Lanka. Bisognava assegnare le prime case ricostruite dopo lo tsunami, con l'aiuto della Cooperazione italiana. Sono 63, non sono ancora pronte, ma sotto la tettoia rovente dell'ex scuola, dove si discutono i problemi comuni, musulmani, indù, buddisti e cristiani si sono fatti avanti tutti assieme, discutendo in due lingue diverse (sinhala e tamil), ognuna con le proprie ragioni. La Fao ha messo a disposizione i suoi tecnici, ma le decisioni sono prese dalla comunità stessa, con riunioni fiume che sembrano sedute collettive di autocoscienza. «E alla fine», dice Amanullah, «la gente si è convinta che abbiamo fatto le scelte giuste». Ma per un momento alla tragedia dell'onda assassina si è affiancato l'incubo di nuovi conflitti, meno sanguinosi ma più complicati della guerra fra cingalesi e tamil.

Anche i pescatori di Arugam Bay, poco lontano, litigano. Quelli della cooperativa locale spingono in mare una barca bianca e blu, lucida, nuova di zecca: sulla fiancata c'è l'obbligatorio "ex voto", con il nome delle Ong italiane che ne hanno seguito la costruzione. Il panorama è mozzafiato: nuvole cariche, onde morbide, una spiaggia spettacolare. A poche centinaia di metri c'è Crocodile Rock, un "punto d'onda" famosissimo fra gli amanti del surf. Ma chi è rimasto escluso dall'assegnazione delle prime barche non pensa ai turisti, e sfoga la rabbia protestando con i funzionari delle Ong.. I tempi sono lunghi, anche perché la tecnologia locale è insufficiente, spiega il rappresentante di un'agenzia Onu, «prima c'erano tre cantieri, ora ce ne sono 16. Ma sono costruttori improvvisati: producono barche che non reggeranno nemmeno una tempesta, altro che tsunami».

A stemperare i furori c'è solo il fatalismo dei pescatori: l'immenso apparato di assistenza messo in moto dalla solidarietà internazionale lavora a pieno ritmo, ma le tensioni sono forti e lo spirito di ricostruzione del dopo-catastrofe sembra già esaurito. L'isola intera aspetta i risultati delle elezioni presidenziali di oggi. Gli aiuti internazionali sono stati generosi: basteranno come occasione di pace, o torneranno i massacri? Altrove la "diplomazia dei terremoti" ha funzionato: varata fra Grecia e Turchia, proseguita fra India e Pakistan, l'abilità a sfruttare le catastrofi naturali per gettare "nuovi ponti" fra parti in conflitto sembrava una buona soluzione anche nello Sri Lanka.

L'oceano impazzito aveva preteso la vita di 30 mila persone, praticamente la metà dei caduti nella guerra fra i tamil dell'Ltte e il governo di Colombo. Troppi morti: la presidente Chandrika Kumaratunga e il partito delle Tigri erano disponibili a un "cessate il fuoco" per consentire la distribuzione degli aiuti nelle zone costiere devastate. Ma l'accordo è durato poco: i nazionalisti cingalesi del Jvp, alleati della signora, hanno abbandonato la coalizione, facendo saltare il "meccanismo congiunto" messo in piedi subito dopo l'emergenza. E le armi hanno ripreso a farsi sentire.

Ora la Kumaratunga deve lasciar spazio al suo erede Mahinda Rajapakse, che contende la presidenza al candidato dell'opposizione, Ranil Wickramasinghe. Il primo strizza l'occhio ai nazionalisti, il rivale invece sembra più disponibile alla pacificazione. Per i tamil, uno vale l'altro. Ma fino a quando non verrà definita la nuova linea, il Paese aspetta, e persino i tempi della ricostruzione diventano più lunghi. Dice il volontario di una Ong italiana: «Combattiamo con ostacoli burocratici esasperanti. Un esempio? Per comprare il cemento a prezzo agevolato serve un timbro del distretto. Un foglio che ci fa risparmiare il 15 per cento di tasse, anzi: che lo fa risparmiare ai beneficiari. A volte questo timbro arriva con settimane di ritardo». E fra le righe si fa largo il sospetto che il governo voglia "centellinare" gli interventi di ricostruzione per sfruttarli politicamente.

Ma c'è ancora chi si batte per la pace. Mauro Celladin, impegnato a Muthur, nel nord-est dell'isola, ammette senza difficoltà: «Lavorare qui non è facile». È zona "calda": qui Tigri e governativi hanno combattuto aspramente fino al 2003. Celladin lavora con Intersos, Ong italiana specializzata in interventi su zone "difficili". Si occupa di sostegno ai pescatori e ha messo in piedi anche un programma di assistenza psico-sociale per le famiglie colpite dallo tsunami. «Lavoriamo anche per il dialogo. Abbiamo organizzato persino un torneo di calcio fra bambini. E quando li abbiamo portati nella zona indù, i piccoli tamil erano stupiti. Continuavano a dire: guarda, anche qui gli alberi sono come da noi. La sabbia, vedi, anche la sabbia è uguale... ».

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