Da Corriere della Sera del 17/11/2005

I violenti di Parigi? Figli della poligamia

di Massimo Nava

PARIGI - Brutto segno quando una società in crisi cerca capri espiatori. Dopo il linguaggio crudo di Sarkozy, che vuole ripulire le periferie con il getto d’acqua, oggi sappiamo che le cause di tanta violenza non sono disoccupazione di massa e discriminazione di decine di migliaia di giovani, figli d’immigrati e cittadini francesi, ma poligamia e promiscuità delle famiglie d’origine. Lo ha detto il ministro del Lavoro Gerard Larcher. Questo il suo ragionamento: le famiglie numerose e poligame, la mancanza di una figura paterna, inducono talvolta comportamenti antisociali nei giovani. «Non sorprende che alcuni di loro abbiano difficoltà a trovare impiego, perché chi non è adatto a un lavoro non lo troverà», dice il ministro. Confortato da Bernard Accoyer, capogruppo dell’Ump, il partito gollista all’Assemblea, il quale sostiene che i poteri pubblici sono stati «troppo lassisti» e che occorre affrontare il problema dei ricongiungimenti familiari dai Paesi d’origine.

Pierre Cardo, un altro deputato della destra, denuncia che la poligamia sia ufficialmente proibita, ma tollerata, come dimostrano indagini citate da Jacques Kossowski (sempre Ump), che stima in almeno ventimila il numero delle famiglie poligame e fa i conti di quanto costano al contribuente e di quanto ricevono, in sussidi e alloggi, per ogni figlio a carico.

Sul tema si era esibita anche un’illustre accademica, Hélène Carrère d’Encausse, ambasciatrice di una sensibilità diffusa, oggi espressa senza riserve. Non poteva mancare la voce del leader xenofobo Jean-Marie Le Pen, il quale si rallegra del fatto che finalmente si facciano saltare i tabù «sui disastri di un’immigrazione incontrollata».

Tante voci fanno un pensiero unico, con una regia che ha il consenso della maggioranza: quella dello «sceriffo di Francia», il ministro degli Interni Nicolas Sarkozy. La fiammata di violenze, innescate dalle sue provocazioni verbali, sembrava averlo indebolito. In realtà, la Francia sconvolta si appiattisce sulla sua terapia: stato d’emergenza, polizia permanente nei quartieri, lotta alla criminalità, processi spediti, espulsione di stranieri responsabili di incidenti, sistemi di videosorveglianza.

Chirac e de Villepin usano toni diversi, ma si adeguano. Anche Sarkozy interviene sulla poligamia, in un’intervista a L’Express : «è una delle differenze culturali che rende più difficile l’integrazione di un giovane francese d’origine africana rispetto a un giovane francese di origine diversa». Chiede quindi maggiori controlli: più che svolta autoritaria, su cui si esercitano le opposizioni (ma con prudenza, perché la «sicurezza» è un valore che interessa i ceti popolari), la svolta è elettorale, con un occhio di riguardo alle paure dei francesi e ai voti di Le Pen in libera uscita. Le banlieues sono un problema, ma anche la soluzione per cambiare: «Il malessere delle periferie è il malessere della Francia», dice Sarkozy e picconando il sistema pretende di rifondarlo a sua immagine.

Banlieues, disordini e poligamia sono la punta d’iceberg di un modello egualitario sbagliato. Per questo, con la repressione, si gettano le basi di una politica diversa: controllo delle frontiere, discriminazione positiva, quote per i nuovi arrivati.

A ben vedere, tante cose sono cominciate con gli incendi nel cuore di Parigi, dove morirono decine di immigrati, squatter e poligami. Alla pena del primo giorno, seguirono gli sgomberi forzati. E, a ben vedere, la poligamia che si vorrebbe stroncare continua a esistere non per arretratezza di costumi, ma proprio perché migliaia di donne non trovano mezzi e sostegno per liberarsene.

La legge che la proibisce esiste da dodici anni e pretende di sanare convenzioni firmate dalla Francia con i Paesi africani di provenienza in cui la poligamia è pratica diffusa. Nel territorio francese di Mayotte, dove la popolazione locale, al 90 per cento, è musulmana, la poligamia è stata accettata.

Di fatto, per rispettare la legge, migliaia di seconde o terze mogli sono messe di fronte a una scelta lacerante: divorziare per mantenere il permesso di soggiorno, cercare di ottenere un secondo alloggio per liberarsi del marito, coabitare con altre mogli e decine di figli fingendo di non essere poligame.

I problemi esistono anche per i mariti «divorziati» che dovrebbero continuare a occuparsi di mogli e figli. Nella precarietà, il raggruppamento clandestino diventa una soluzione protettiva, anche per i figli, non una causa di violenza. E la richiesta di alloggi è condizionata dalla paura di rendere pubblico lo stato giuridico del gruppo familiare. «Se mancano gli alloggi, è difficile smettere di coabitare. Dove dovrebbero vivere le mogli abbandonate o divorziate? E dove dovrebbero andare figli e nipoti costretti a vivere con nonni e genitori?», si chiede Jean Baptiste Eyraud, dirigente dell’associazione «Diritto alla casa».

La Francia discute d’integrazione. Gli immigrati di edilizia. Sarkozy di ordine e sicurezza.

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