Da L'Unità del 15/11/2005
Originale su http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC...

Chiude il Summit di Tunisi, snobbato anche il "digital divide"

di Toni De Marchi

Tunisi - In Africa soprattutto, ma anche in altri continenti, ci sono ben quaranta Paesi che hanno una connettività internet verso il resto del mondo inferiore a 10 megabit al secondo. A casa mia, a Roma, la mia connessione internet è a 12 megabit al secondo. Cioè io dispongo personalmente del venti per cento di banda in più di quella utilizzabile da tutti gli abitanti di qualche Stato sub-sahariano. Un po’ me ne vergogno, lo ammetto, ma la vergogna dovrebbe essere di tutti, se è vero che il digital divide, oggi, è la nuova, inesorabile frontiera dell’esclusione e non c’è emigrazione che tenga per farla superare. I numeri sono impressionanti, se pensiamo che la minuscola Danimarca ha il doppio di banda internet disponibile (la banda misura la “larghezza” delle connessioni digitali: più è ampia, maggiore è il numero e la velocità delle connessioni possibili) di tutto il Sud America e i Carabi messi insieme. E se diciamo che il Giappone ha tre volte la banda disponibile dell’Africa forse non ci stupiamo, ma quando scopriamo che a Seul ci sono più utilizzatori internet che in tutta l’Africa sub-sahariana con l’eccezione del Sud Africa, è arrivato il momento di una un esame di coscienza collettivo.

In teoria, il World Summit on the Information Society che si conclude venerdì a Tunisi, avrebbe potuto o dovuto essere questa sorta di esame di coscienza collettivo che il mondo sviluppato (G8 e una manciata di altri Paesi) dovrebbe fare prima che la frattura digitale tra il Nord e il Sud (virtuali) diventi altrettanto insanabile di quella del mondo reale. Perché, se l’attenzione di tutti si è ossessivamente fissata sul problema del controllo di internet, l’altra grande sfida del Summit era il superamento dell’esclusione digitale. Una sfida che per molti, la maggioranza senz’altro, dei quasi ventimila partecipanti a questa gigantesca kermesse dell’era digitale, rappresenta in realtà “la” sfida tout court, la speranza di essere tra quelli che riescono a mangiare qualche candito della torta e non solo le briciole che cadono dal piatto dei ricchi.

Una sfida tradottasi in una presenza vociante, forte: il Summit di Tunisi è stato prima di tutto il Summit di un mondo che rifiuta di restare ancora una volta fuori della porta. Basta una scorsa alla lista degli oratori. Il mondo digitalmente satollo dei ricchi è venuto con delegazioni di basso livello: ministri, sottosegretari. Gli affamati hanno invece giocato la carta dei presidenti, dal palestinese Mahmud Abbas al senegalese Abdulaye Wade. Quest’ultimo ha riassunto i risultati finora raggiunti dal fondo di solidarietà contro il digital divide promosso l’anno scorso a Ginevra dal Senegal con l’adesione formale di gran parte dei partecipanti al Summit. Ebbene, Wade non ha potuto portare grandi risultati: i fondi promessi, sinora, sono dell’ordine dei sette o otto milioni di dollari e di questi mezzo milione messo a disposizione dallo stesso Senegal. Wade si è lamentato soprattutto del fatto che le aziende, le grandi beneficiarie della rivoluzione di internet e delle tecnologie connesse, non si siano fatte avanti con donazioni.

Eppure che le aziende siano parte del processo a Tunisi lo si è visto molto bene. Non solo l’amministratore delegato della Intel (l’azienda che produce il “cervello” di quasi la metà dei computer del mondo) ha parlato all’apertura del Summit assieme a Kofi Annan, ma all’interno del Kram Palace dove si è svolto il vertice era allestita una grande mostra campionaria dove i grandi nomi dell’informatica erano presenti. Uno Smau del digital divide dove c’era Microsoft e lo stand di Cuba, Hp e il Mali, l’Iran e Sun Microsystems. Anche l’Italia c’era, e l’azienda più importante presente gestisce call center. Ha aperto una filiale anche in Tunisia: tra poco, quando telefonerete per l’assistenza alla lavatrice di casa aspettatevi che vi rispondano da Djerba.

Inclusion era la parola d’ordine della mostra collaterale, inclusione. Che per molti era sinonimo di affari. Insomma, ognuno è venuto con una propria idea e se ne è andato serbandosela stretta. Resta, del Summit, un calendario di impegni formali e quel Forum mondiale della rete che ritroveremo l’anno prossimo in Grecia. Non molto, ma almeno il riconoscimento che internet, oggi, non è più l’affare soltanto di qualcuno.

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