Da IPS del 10/12/2005
Originale su http://www.ipsnotizie.it/nota.php?idnews=559

La schiavitù non è un problema del passato

di Mario de Queiroz

LISBONA - Donne africane, dell’America Latina o dell’est europeo che cercano una vita migliore nell’Unione europea, bambini che lavorano nelle industrie di vestiti o scarpe del sud-est asiatico, giovani cui mancano professionalità e formazione o a volte la stessa capacità di leggere e scrivere: sono queste le facce della schiavitù all’inizio del XXI secolo.

Ogni anno, da mezzo milione a 700.000 donne e bambini rimangono vittime del traffico di esseri umani e sono costretti alla schiavitù sessuale, denuncia l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), con sede a Ginevra. Molti di coloro che riescono a fuggire riferiscono in seguito di essere stati letteralmente trascinati in questo destino da amici o parenti.

La caduta dei governi socialisti nell’Europa centrale e dell’est all’inizio degli anni ’90 ha intrappolato nella prostituzione forzata nell’Unione Europea (Ue) moltissime donne provenienti da questi paesi. Le cifre sono aumentate ulteriormente, in conseguenza delle guerre nella regione balcanica tra il 1995 e il 1999.

Tra i fattori che hanno contribuito a questo fenomeno, l’OIM indica le alte percentuali di impiego, i grandi flussi di migrazione e gli effetti della globalizzazione, compresa la crescita nei “servizi personali” offerta su Internet.

Nel 2004, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'istruzione, la scienza e la cultura (UNESCO) ha disposto una serie di attività ed eventi in occasione dell’Anno internazionale per commemorare la lotta contro la schiavitù e la sua abolizione.

La dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 afferma che “nessuno dovrà essere tenuto in schiavitù o servitù; la schiavitù e il commercio di schiavi dovranno essere proibiti in ogni loro forma”.

Il 2 dicembre, Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù, si ricorda il giorno in cui nel 1949 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione per la soppressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione di altri da parte di terzi.

La Convenzione è uno degli strumenti internazionali mirati a sradicare la schiavitù, che sopravvive oggi nelle forme di schiavitù del debito, lavoro forzato di adulti e bambini, sfruttamento sessuale di minori, traffico di esseri umani e matrimoni forzati.

Il Brasile, ex colonia portoghese, è un esempio al riguardo. Non solo è stata la destinazione di milioni di schiavi trasportati dai portoghesi dalla costa africana occidentale, ma è tuttora vessata dalla schiavitù contemporanea.

Ad una conferenza nella città brasiliana di Curitiba, il parroco brasiliano Ricardo Rezende, attivista in favore dei contadini senza terra, ha elogiato la decisione, adottata l’anno scorso dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva, di creare una commissione interministeriale per combattere la schiavitù. Tuttavia, il problema persiste. “I 'gatos' (gatti), nome dato a intermediari assunti dai 'fazendeiros' (grossi proprietari terrieri), hanno come obiettivo zone segnate da siccità e disoccupazione, e offrono lavori di disboscamento della foresta, promettendo cure sanitarie e buoni salari”, ha dichiarato Rezende. “Danno anche un 'anticipo' per persuadere i lavoratori a lasciare le loro famiglie”.

”Il giorno successivo viene loro comunicato che potranno lasciare la proprietà solo quando avranno finito di pagare i loro debiti: il costo del trasporto, il liquore che hanno bevuto durante il viaggio, i pasti e l’anticipo dato. Viene inoltre chiesto loro di comprare arnesi di lavoro e cibo allo spaccio della piantagione”.

”I debiti non vengono generalmente finiti di pagare perché il periodo di lavoro concordato giunge al termine, e gli uomini vengono rilasciati senza ricevere alcun pagamento”, ha aggiunto.

I lavoratori non scappano perché “sono stati portati in queste enormi proprietà a tarda notte, già ubriachi (con il liquore dato loro durante il viaggio), non conoscono la strada per tornare a casa, non hanno parenti o amici, e temono di subire le stesse umiliazioni (o veri e propri abusi) inflitte a chi viene catturato cercando di fuggire”, ha proseguito il prete.

Discutendo precedenti tentativi di combattere la schiavitù, il professore portoghese José Moreira da Silva dell’Università di Minho, nel nord del Portogallo, denuncia il fatto che “non ci sia niente nella Bibbia che condanni tale pratica” come uno degli ostacoli all’eliminazione di tale pratica in Europa o nelle Americhe.

I nemici più grandi di chi ha combattuto la schiavitù “sono i cristiani, la grande maggioranza dei quali approvava la schiavitù”, ha rivelato Moreira da Silva.

Per secoli, il commercio di schiavi è stata per il Portogallo fonte di inesauribile ricchezza. Nei secoli XV, XVI e XVII, si basava sulla cattura diretta degli africani in regioni costiere, e sullo scambio di prigionieri di guerra musulmani catturati dai portoghesi con schiavi africani provenienti dall’interno forniti dai condottieri arabi rivali. Gli schiavi di maggior valore venivano mandati in Brasile. I rimanenti già catturati venivano rapidamente acquistati da inglesi, francesi e olandesi; la “mercanzia” umana veniva consegnata direttamente nelle loro colonie oppure prelevavano gli schiavi dalle isole portoghesi di Capo Verde e Sao Tomé e Principe, i più grandi mercati di schiavi dell’epoca.

Tra il 1580 e il 1640, Spagna e Portogallo costituivano un unico regno, e il commercio di schiavi transatlantico era dominato dai portoghesi.

Un saggio del gennaio 2002 dello scrittore portoghese Manuel L. Pontes, che vive a St. Louis, Missouri, rivela che il commercio di schiavi era un modo eccellente per ottenere profitti facili e veloci.

Nel nome di Dio, prosegue Pontes, la cristianità ha dato ai portoghesi il diritto di “salvare” piamente le anime degli africani distruggendo le loro vite, malgrado il Portogallo non avesse mai avuto motivo di dichiarare guerra alla popolazione africana.

Lo scrittore ricorda che nel XVI secolo, Lisbona aveva il monopolio sul commercio grazie al Trattato di Tordesillas (1494), che aveva diviso tra Spagna e Portogallo il mondo extra-europeo. Anche il papa aveva dato la sua benedizione al commercio di schiavi dall’Africa occidentale, che venivano spediti in Europa prima di essere mandati in Brasile.

Nel 1444, una nave portoghese aveva depositato 235 schiavi africani in un porto dell’Algarve, regione meridionale del Portogallo – principio di un commercio che sarebbe durato più di tre secoli.

Pontes fa notare che, nonostante la schiavitù non fosse una novità in Europa, essendovi già esistita per secoli, il Trattato di Tordesillas le aveva dato una dimensione completamente nuova in Portogallo.

Lo scrittore racconta che, dopo il 1444, mezzo secolo prima che Cristoforo Colombo approdasse nelle Americhe, la cattura di schiavi in Africa era diventata talmente barbara e disumana, che gli stessi paesi coinvolti furono costretti a prendere delle misure per rendere la pratica più umana.

Il commercio di uomini era divenuto gradualmente più organizzato, con il consenso, il sostegno e la protezione dei regni interessati. Allo stesso tempo, il Portogallo iniziò a percepire la competizione con i commercianti di schiavi di Francia, Gran Bretagna e Olanda. La scoperta di nuove terre aveva espanso i loro imperi e la domanda di schiavi era pertanto cresciuta.

Lisbona, tuttavia, continuava ad avere la meglio su gran parte del traffico. Anche oggi, piccole fortezze portoghesi note come “entrepostos” testimoniano gli orrori di questo commercio su tutta la costa del Golfo di Guinea, non solo nelle ex colonie portoghesi.

Negli entrepostos, gli africani catturati o acquisiti tramite il commercio con gli arabi venivano legati con gioghi di legno stretti intorno alla nuca e le mani dietro la schiena. Prima che venissero scaricati, il vescovo di Angola li battezzava.

Nel 1550, il cronista portoghese Cristóvão de Oliveira riferiva che circa 10.000 persone, ovvero il 10 per cento della popolazione di Lisbona - la città più ricca d’Europa in quel momento - erano schiavi.

Mentre la città cresceva, quella proporzione si riduceva, ma in termini assoluti, all’inizio del XVIII secolo il numero di negri e mulatti a Lisbona arrivò a 30.000, e continuò a crescere fino al 1761, quando il Portogallo abolì la schiavitù.

Nonostante il Portogallo e il resto dei paesi del mondo lo abbia eliminato da tempo, il lavoro in schiavitù esiste ancora in molti paesi, sotto forma di lavoro vincolato o forzato e anche di schiavitù per discendenza, fa osservare l’Anti-Slavery International, una delle più antiche organizzazioni per i diritti umani nel mondo.

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